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Il continente perduto

C'è un microcontinente spezzettato sotto l’Oceano Indiano? L’idea arriva da un gruppo di geologi dopo aver analizzato 20 zirconi emersi dalle sabbie delle Mauritius.
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Non stiamo parlando della mitica Atlantide o dell’Eldorado. Secondo un gruppo internazionale di geologi il continente perduto avrebbe lasciato tracce delle sua esistenza nelle sabbie delle Isole Mauritius ed è quindi stato battezzato Mauritia. Sarebbe talmente antico che non avrebbe materialmente potuto trovar posto in alcun mito. Quando esisteva Mauritia, nel precambriamo (o, più precisamente, nel Proterozoico) gli eucarioti pluricellulari avevano da poco cominciato a fare capolino, e solo successivamente, nel periodo Cambriano si sarebbe verificata stata la famosa esplosione di biodiversità che narrano i testi di paleontologia.

 

Vista panoramica delle Mauritius viste da La Pouce (Immagine: Clément Larher, via Wikimedia Commons)

Una questione di date
La chiave della scoperta sta nella datazione di una ventina di zirconi provenienti dalle sabbie basaltiche delle spiagge mauriziane. Mentre è noto che i basalti dell’area non sono più antichi di 9 milioni di anni, la datazione radiometrica col metodo Uranio-Piombo degli zirconi comprende un periodo che va da (almeno) 1.91 miliardi a 660 milioni di anni fa. Secondo i ricercatori tali zirconi facevano parte della litosfera di un antichissimo continente, Mauritia appunto, che tra il Cretaceo e il Cenozoico fu smembrato dall’attività dei plume (risalite di materiale ad altissima temperatura dagli strati del mantello a ridosso del nucleo esterno che si pensa coinvolta nel meccanismo della tettonica a placche) Réunion e Marion, che tuttora alimentano il vulcanesimo dell’area. In seguito la stessa intensa attività magmatica avrebbe ricoperto i frammenti, mentre eruzioni recenti avrebbero portato in superficie qualche roccia dai poveri resti del microcontinente (nel complesso non occupava più superficie di Creta), che poi si è erosa lasciando dietro di sé solo i resistentissimi zirconi analizzati dai ricercatori.

Asso nella manica
Si tende a escludere che questi possano essere stati portati dal vento, dal mare da altre fonti esterne sulle rive delle Mauritius, visto che le coste più vicine sono a 900 km di distanza, ma anche se sono stati il primo indizio nello studio, da poco pubblicato su Nature Geoscience, i geologi hanno un altro asso nella manica: i resti di Mauritia possono essere nascosti alla nostra vista, ma non a quella dei satelliti, i cui dati coi giusti calcoli possono mostrarci le anomalie gravitazionali che indicano accumuli di massa. Come già suggerito da studi precedenti, anche in base a ricostruzioni sismiche, in quest’area pare proprio che ci sia un ispessimento anomalo della crosta oceanica, la quale invece di essere tra i 5 e 10 km raggiunge in spessore 25-30, con un punte di 32 km, un ordine di grandezza compatibile con resti di crosta continentale.

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