Alla scoperta di Kepler 20, il sistema planetario con all’interno i primi due esopianeti finora identificati con dimensioni simili alla Terra. Perchè questa scoperta segna un traguardo tanto importante per la Missione Kepler della NASA? Nel frattempo è stata giudicata una delle scoperte più importanti dello scorso anno.
Siamo a quota trentatré: tanti sono i pianeti finora scoperti dall’occhio di Kepler, il telescopio spaziale della NASA noto anche come «cacciatore di pianeti». Ma tra questi trentatré, due hanno un posto speciale nel cuore degli astronomi. Si tratta di Kepler 20e e Kepler 20f, i più piccoli pianeti finora identificati al di fuori del nostro Sistema Solare, entrambi con dimensioni simili a quella della Terra.
Alla scoperta di Kepler 20e e Kepler 20f
I due fratelli planetari della Terra si trovano a circa mille anniluce da noi e fanno parte del sistema planetario Kepler 20, all’interno della Costellazione della Lira. Insieme ad essi, altri tre pianeti orbitano attorno alla stessa stella: simile al nostro Sole, ma un po’ più piccola e un po’ più fredda. Nondimeno, sulla superficie di Kepler 20f, il cui raggio è di poco superiore a quello del nostro Pianeta, le temperature si aggirano intorno ai 427°C: sufficienti per rendere l’ambiente di questo piccolo pianeta roccioso del tutto inospitale. Ancora peggiori sono le condizioni di Kepler 20e, un pianeta roccioso di poco più piccolo di Venere, sulla cui superficie si raggiungono anche i 760°C.
Le alte temperature non sono che una conseguenza della distanza alla quale questi pianeti orbitano intorno alla stella Kepler 20, tant’è vero che Kepler 20e impiega appena 6,1 giorni terrestri a completare un’orbita, mentre per Kepler 20f ne sono necessari poco più di diciannove (19,6). Come se non bastasse, si ritiene che entrambi i pianeti orbitino attorno alla propria stella senza ruotare sul proprio asse: come conseguenza, una faccia è sempre esposta alla luce, mentre l’altra rimane costantemente al buio.
Lontani e inospitali. Perché tanto scalpore?
La missione Kepler è nata proprio con lo scopo di ricercare la presenza di pianeti abitabili nell’Universo intorno a noi. Sebbene Kepler 20e e 20f si trovino ben fuori da quella che viene definita zona abitabile (in cui l’acqua può mantenersi allo stato liquido), la loro scoperta è tutt’altro che trascurabile. Si tratta infatti della prima volta che ad essere identificati sono due esopianeti così piccoli. Il telescopio Kepler va alla ricerca di transiti planetari, cioè di diminuzioni nell’intensità luminosa di una stella quando un corpo celeste orbita di fronte ad essa. Ma i pianeti di piccole dimensioni sono un osso duro anche per le strumentazioni di ultima generazione di questo «cacciatore di pianeti». Normalmente, quando il telescopio spaziale trasmette un transito planetario, gli astronomi cercano una conferma basandosi sull’effetto che la forza gravitazionale di questi pianeti dovrebbe avere. Purtroppo, per pianeti di piccole dimensioni, gli effetti gravitazionali sono praticamente impossibili da rilevare. In questo caso si è quindi proceduto con metodo statistico, replicando più volte l’osservazione dei transiti per diminuire la possibilità che si trattasse di un dato casuale o, come si dice in gergo, di un falso positivo.
Un’altra peculiarità deriva dall’organizzazione planetaria di Kepler-20, a dir poco inconsueta (come mostra l’animazione qui sopra). Le differenze saltano agli occhi immediatamente quando si guarda al nostro Sistema Solare, in cui i pianeti più piccoli e rocciosi orbitano vicino al Sole, mentre quelli più grandi e gassosi sono raggruppati nelle orbite più esterne. Il sistema Kepler 20 esula completamente da questo schema, con i due pianeti più piccoli (Kepler 20e e 20f) alternati alle orbite di tre pianeti più grandi (di dimensioni comunque inferiori a quelle di Nettuno), di cui Kepler 20b è quello più vicino alla stella. Gli scienziati non hanno ancora una spiegazione in merito: forse i pianeti si sono formati altrove e sono poi stati attratti in un secondo momento dai dischi di materiale in rotazione attorno alla stella. L’unica certezza è che dovremo abituarci a sganciare i nostri modelli dal Sistema Solare: a quanto pare là fuori c’è una varietà di mondi possibili, che aspetta solo di incrociare lo sguardo di Kepler.