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Il cervello del genio in una app

Di Einstein conosciamo tutto. Anche il suo cervello nei dettagli anatomici, che ora sono stati raccolti in una app.
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Come sarà il cervello di un genio? Ci saranno differenze anatomiche tra il cervello di Albert Einstein e il cervello di un uomo dal QI medio? Adesso è possibile vedere, «fettina per fettina», immagine per immagine, il cervello di Einstein in una app disponibile per curiosi, studenti e docenti (e forse anche feticisti del grande fisico). E scoprire che non è la sola anatomia a rendere un cervello geniale.

Ce n’è una per gestire le prenotazioni dei treni, una che riconosce la musica, un’altra ancora che misura chilometri percorsi e calorie bruciate quando andiamo in bicicletta. Probabilmente il mondo delle app per smartphone e tablet è bello proprio perché è vario. E il 25 settembre 2012 si è arricchito di una nuova creatura pensata per studiare il cervello di Albert Einstein sull’iPad.

Il cervello di Einstein in una app
L’idea è di Steve Landers, consulente del National Museum of Health and Medicine di Chicago, che ha messo in vendita il software che trovate qui per 9,99 dollari.
L’applicazione contiene 350 immagini del cervello dello scienziato, ottenute dal museo medico di Chicago tramite scansioni, e permetterà a scienziati, insegnanti e studenti di osservare la materia grigia del più grande fisico di tutti i tempi come se la stessero guardando attraverso un microscopio. Il ricavato delle vendite dell’applicazione andrà al National Museum of Health and Medicine di Silver Spring, in Maryland, e finanzierà l’allestimento di un museo di storia della medicina che sarà inaugurato a Chicago nel 2015.
 

La sezione occipitale del cervello di Albert Einstein nella preview della app NMHMC Harvey Collections

 
Un «ladro» di nome Thomas Harvey
Fin qui, apparentemente, tutto bene. In realtà lo sviluppo dell’applicazione è stato accompagnato da un acceso dibattito su quelle che sarebbero state le intenzioni di Einstein, il quale aveva lasciato chiare disposizioni testamentarie: i suoi manoscritti erano destinati all’Università ebraica di Gerusalemme, il violino al nipote Bernhard e il suo corpo al vento. Come ha spiegato il consigliere del museo di Chicago Jim Paglia, insomma, "non avrebbe voluto «un circo» intorno alle sue spoglie". Anche perché tutta questa vicenda ha già inizio con uno dei più incredibili furti della storia.
All’indomani della scomparsa di Einstein, avvenuta il 18 aprile 1955, circola voce infatti che il patologo responsabile dell’autopsia, Thomas Harvey, abbia sottratto il cervello dello scienziato prima di mandare il suo corpo al forno crematorio. La conferma la dà lo stesso Harvey il giorno dopo in una conferenza stampa, durante la quale spiega che il suo obiettivo è quello di studiare il cervello del genio e regalarne i segreti alla scienza.
Le reazioni, come è facile immaginarsi, non si fanno attendere. Il patologo viene licenziato dall’ospedale, Otto Nathan, esecutore testamentario e amico intimo di Albert, lo accusa di essere un «ladro» e la famiglia, benché delusa e amareggiata, decide di non percorrere vie legali purché il medico condivida la sua reliquia con l’intera comunità scientifica. Così dopo averlo ben fotografato, Harvey prepara 240 vetrini con campioni di diverse aree del cervello di Einstein e li mette a disposizione di chiunque voglia studiarli.
E sono proprio questi campioni, scannerizzati e digitalizzati, a costituire il cuore della app sviluppata da Landers e colleghi più di settant’anni dopo. Thomas Harvey custodirà il cervello di Einstein per più di quarant’anni, fino a quando nel 1998, si deciderà a riconsegnarlo all’ospedale di Princeton.
 
Giovani, app...licatevi!
A differenza di quanto egli probabilmente immaginava, tuttavia, davanti alla porta del suo laboratorio la fila per ottenere campioni della preziosa materia grigia non ci sarà mai. I primi studi vengono eseguiti infatti solo nel 1985 da Marian Diamond, una neuroscienziata della University of California – Los Angeles (Ucla), mentre i più recenti sono quelli di Sandra Witelson della McMaster University, pubblicati su Lancet nel 1998 e quelli di Jorge Colombo della Ucla, pubblicati su Brain Researches Review. Nel loro complesso questi studi ci raccontano un cervello che sembra «fuori dal comune».
Oltre a essere più leggero della media (circa 1,2 chilogrammi), il cervello di Einstein mancava completamente di un solco, chiamato fessura di Silvio, e quindi aveva due aree più unite tra loro. A questo si deve aggiungere un numero maggiore di cellule gliali che rifornivano i neuroni di nutrienti, una corteccia cerebrale più sottile, ma con una densità più elevata di neuroni e alcune aree più estese rispetto alla popolazione media.
 

Dettaglio della sezione occipitale del cervello di Albert Einstein nella preview della app NMHMC Harvey Collections

La genialità è tutta nell'anatomia?
Benché possa sembrare difficile che da poche differenze anatomiche riscontrate in un uomo di 76 anni scaturiscano intuizione, capacità di ragionamento e talento musicale, i ricercatori che investiranno i 9 dollari e 99 centesimi per scaricare la app ripartiranno proprio da qui. Ma dovranno fare attenzione, perché le immagini rappresentano solo una parte del cervello di Einstein e risultano di difficile catalogazione. Data l’età delle scansioni, potrebbe essere complicato capire da quali zone provengono esattamente i dettagli, anche perché manca un modello anatomico in 3D.
Niente, tuttavia, sembra scalfire l’ottimismo di Steve Landers, che in occasione del lancio della nuova app ha dichiarato: "Non vedo l’ora di vedere cosa scopriranno le future generazioni di neuroscienziati e mi piace pensare che Einstein sarebbe stato eccitato all’idea, perché avrebbe capito il valore della ricerca per la scienza".
 

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