Ötzi torna a far parlare di sé! In corrispondenza delle ferite presenti sul corpo mummificato dell’uomo del Similaun sono infatti stati identificati alcuni globuli rossi: si tratta del più antico campione di sangue umano mai rinvenuto.
Il sangue di Ötzi
Già in passato diversi studiosi avevano tentato di rinvenire tracce di sangue dal corpo di Ötzi, ma senza fortuna. Persino l’indagine della sua aorta aveva dato risultati deludenti. Oggi, un gruppo di ricercatori italiani e tedeschi può finalmente dire di essere riuscito ad identificare con successo cellule del sangue di Ötzi, risalente a più di cinquemila anni fa. Per farlo, gli scienziati hanno utilizzato un doppio approccio: dapprima hanno analizzato i tessuti in prossimità delle ferite presenti sulla mano della mummia e sulla schiena, là dove la freccia che ha ucciso l’uomo del Similaun penetrò nel suo corpo. Per farlo, i ricercatori si sono serviti di un microscopio a forza atomica: uno strumento che – unendo nanotecnologie e ricerca biomedica – permette di scandagliare in dettaglio le superfici, restituendone un’immagine tridimensionale con un altissimo livello di risoluzione. Nel caso di Ötzi, l’immagine ottenuta indicava la presenza di globuli rossi, con la caratteristica forma a ciambella che conosciamo oggi.
Secondo test: raggio laser
Per confermare che i corpuscoli identificati fossero effettivamente globuli rossi e non, ad esempio, batteri o pollini, gli scienziati hanno poi adottato un secondo metodo di indagine, basato sulla spettroscopia Raman. Colpendo il tessuto in esame con un raggio laser e analizzando la luce riflessa è possibile identificare alcune importanti caratteristiche molecolari del campione: un’indagine che ha confermato che, nei tessuti mummificati dell’uomo dei ghiacci si trova, di fatto, il più antico campione di sangue mai ritrovato.
L’esame delle ferite di Ötzi ha inoltre rivelato la presenza di fibrina: si tratta di una proteina prodotta dal nostro corpo in caso di lesioni, per favorire la coagulazione del sangue. Tracce di fibrina sono però rinvenibili sono nelle ferite fresche: il ritrovamento sembra quindi demolire la teoria secondo cui Ötzi morì diversi giorni dopo essere stato ferito dalla freccia che lo uccise.
Al di là dell’unicità di questa scoperta, lo studio potrebbe dare nuovi spunti di indagine nell’ambito della medicina forense. Uno dei quesiti su cui a lungo ci si è interrogati è, ad esempio, quanto a lungo possano mantenersi le tracce di sangue sulla scena di un crimine e quali alterazioni siano da attendersi al passare del tempo. L’impiego di sistemi di indagine presi in prestito dalle nanotecnologie potrebbe dare una svolta significativa in questo campo: del resto, se hanno funzionato con un delitto di cinquemila anni fa, perché non testarli su crimini più recenti?