Una molecola dell’immunità innata, la Mannose Binding Lectin (MBL), sembra essere in grado di legarsi a molecole di mannosio sulla proteina Spike, bloccando così il virus SARS-CoV-2, anche nella variante Omicron. La scoperta è avvenuta nell’ambito di uno studio internazionale coordinato da ricercatori di Humanitas University e dell’Irccs Ospedale San Raffaele. I risultati sono stati pubblicati il 31 gennaio 2022 sulla rivista Nature Immunology.
Che cos’è l’immunità innata? È la linea di difesa più antica dal punto di vista evolutivo, quella che condividiamo con gran parte degli animali. Si tratta di una dote sostanzialmente uguale per tutti, che ci accompagna fin dalla nascita.
È fatta di cellule, come i macrofagi, i neutrofili, le cellule NK. Ma è anche fatta di molecole, come quelle del sistema del complemento, che circolano nel sangue e nei vasi linfatici. Nell’insieme ci aiutano a difenderci anche contro SARS-CoV-2, il virus responsabile di Covid-19, e dalle sue ormai numerose varianti.
Il sistema innato è il più rapido a entrare in azione e quando è efficace distrugge quasi istantaneamente gli invasori, proteggendo i nostri tessuti, eliminando i detriti cellulari e chiamando rinforzi in caso di bisogno. Precede la più lenta immunità adattativa, quella fatta di anticorpi e di cellule T, che contribuisce a stimolare e che è potenziata dai vaccini.
L’immunità innata è da sempre il cavallo di battaglia degli immunologi di Humanitas, diretti da Alberto Mantovani. Da marzo 2020 il gruppo di ricerca, coordinato da Cecilia Garlanda, si è messo a studiare l’interazione tra l’immunità innata e il virus SARS-CoV-2. In particolare, grazie anche al sostegno di Dolce & Gabbana, hanno potuto approfondire il ruolo di alcune molecole che, per la struttura dei loro geni, possono essere considerate antenati degli anticorpi.
Hanno così scoperto che la Mannose Binding Lectin (MBL) si legava alla proteina Spike del virus e lo bloccava. Questo legame rassicurante non era scontato, dato che il sistema innato è in genere efficace contro germi che la nostra specie conosce da millenni. Non era affatto detto che sapesse anche intercettare SARS-CoV-2, che è un virus inedito per l’umanità.
A ogni nuova variante i ricercatori di Humanitas si sono chiesti se la MBL avrebbe mantenuto la propria efficacia. Finora la risposta è stata, fortunatamente, positiva. Il primo indizio è venuto da Sarah Mapelli, bioinformatica di Humanitas, che in collaborazione con ricercatori dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona, ha trovato che anche la proteina Spike di Omicron può essere vista e riconosciuta da MBL.
L’efficacia che si mantiene ha probabilmente a che fare con un riconoscimento di segnali che connotano collettivamente numerosi invasori. Uno di questi è, per esempio, il mannosio. Un altro è la mancanza del rivestimento che si trova invece sulle cellule che ci appartengono, grazie al sistema del complemento.
Se l’abbraccio di MBL con Spike è così mortifero per il virus, perché molta gente si ammala di Covid-19? Il problema è che ognuno di noi può avere tipi diversi di MBL, specificati da geni lievemente differenti, e che non tutti i tipi sono ugualmente potenti ed efficaci. I ricercatori hanno in effetti osservato che alcune variazioni genetiche di MBL sono associate a una malattia Covid-19 più grave. Ciò è stato possibile grazie all’analisi di campioni biologici ottenuti da pazienti dell’ospedale e da dati clinici depositati in banche dati internazionali, a cura di Rosanna Asselta di Humanitas University.
Il sistema innato a volte mostra i suoi limiti anche contro invasori noti. Nell’incessante gara evolutiva tra difese dell’ospite e capacità infettive del patogeno, alcuni batteri e virus hanno a volte imparato a farsi passare per l’ospite stesso. Lo hanno fatto, per esempio, mimando il rivestimento protettivo del complemento che contraddistingue i tessuti umani. Quasi tutti gli aggressori che bazzicano da millenni il nostro sistema innato hanno provato queste o altre strategie mimetiche per eluderne la sorveglianza. Anche se SARS-CoV-2 è una novità per noi umani, la famiglia dei coronavirus cui appartiene ci frequenta da tempo e non è fatta solo di novellini.
Anche se l’intervento del sistema innato non è completamente efficiente, può comunque limitare la sfrenata riproduzione di un batterio o un virus. Senza freni, un microbo penetrato all’interno dell’organismo può fare qualche triliardo di copie di se stesso in 24 ore. Quando invece il sistema innato ha pieno successo, la vittoria è per noi talmente indolore che non ce ne accorgiamo neppure.
Possiamo dire che l’unico, vero limite del sistema innato è la veneranda età delle sue strategie: le tattiche della nostra prima linea di difesa, pur molto efficaci ancora oggi, sono piuttosto imitate da gran parte degli aggressori, che scampano così all’attacco.
MBL potrebbe essere utilizzato come biomarcatore? I medici potrebbero valutare quale variante di MBL si trova nel sangue dei pazienti. Quelli con un tipo di MBL associato a una malattia Covid-19 più grave potrebbero essere considerati a maggiore rischio e ricevere cure più tempestive e potenti.
Le proteine MBL più efficaci potrebbero essere utilizzate come farmaci antivirali? È possibile, secondo Elisa Vicenzi dell’Irccs Ospedale San Raffaele, che ha collaborato allo studio. Ulteriori studi di validazione sia in laboratorio sia in clinica saranno tuttavia necessari, per l’uso di MBL sia terapeutico, sia come biomarcatore.
Come interagisce questo meccanismo protettivo di prima linea di difesa con la risposta immunitaria più lenta e adattativa indotta dai vaccini? Di preciso non si sa, anche se è noto che il sistema innato collabora con quello adattativo lanciando segnali di allarme che richiamano l’intervento di anticorpi e cellule T.
Il sistema adattativo è lento quando incontra un batterio o un virus per la prima volta. Diventa invece piuttosto veloce quando ha già potuto conoscere le fattezze di un microrganismo patogeno, grazie al vaccino come quelli potenti ed efficaci contro SARS-CoV-2.
I vaccini hanno mostrato finora di offrire una protezione importante e fondamentale contro tutte le varianti di Covid-19, sia agli individui sia alla società. Hanno infatti permesso di contenere fortemente i casi gravi e i ricoveri. Così il sistema sanitario e gli ospedali, pur sotto forte pressione, non sono completamente sopraffatti e possono prendersi cura, oltre che dei pazienti con Covid, anche di malati che soffrono di altre patologie.
Per scrivere questo post ho letto:
Stravalaci, M., Pagani I. et al., Recognition and inhibition of SARS-CoV-2 by humoral innate immunity pattern recognition molecules, Nature Immunology (31/1/2022). Allo studio, di cui i primi autori sono Matteo Stravalaci, di Humanitas, e Isabel Pagani, dell’Irccs Ospedale San Raffaele, hanno contribuito anche gruppi di ricerca della Fondazione Toscana Life Science, diretti da Rino Rappuoli, dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona e della Queen Mary University di Londra.
La parte generale dell’articolo sul sistema immunitario innato è adattata da: Rino Rappuoli, Lisa Vozza, I vaccini dell’era globale, seconda edizione Zanichelli (2022).
Nell’immagine di apertura (Nature Immunology) un modello del complesso tra la proteina Spike e la MBL.
Cecilia Garlanda nel suo laboratorio (immagine: Humanitas)