Il granchio blu atlantico, Callinectes sapidus, è una specie aliena che a partire dall’estate del 2023 ha invaso le aree lagunari a nord del mare Adriatico, sulle coste di Emilia-Romagna e Veneto. Le prime segnalazioni della sua presenza nel mar Mediterraneo risalgono al 1949, e l’ipotesi più accreditata è che sia arrivato nelle acque di zavorra delle navi transatlantiche. Si tratta infatti di una specie nativa della costa atlantica dell’America Settentrionale, che ha una delle sue popolazioni più grandi nella Baia di Chesapeake, sull’estuario del fiume Hudson, al confine tra Virginia e Maryland negli Stati Uniti.
L’allarme è stato lanciato dagli allevatori di cozze, vongole e ostriche delle zone lagunari del Delta del Po, preoccupati per l’impatto che questa specie sta avendo sulle loro attività.
Callinectes sapidus è un crostaceo dell’ordine dei decapodi, come aragoste, gamberi, scampi e gamberetti, che vive in acque costiere, lagune ed estuari, su fondali sabbiosi o fangosi. È una specie estremamente adattabile e vorace e nella sua dieta rientrano gasteropodi e bivalvi, come cozze, vongole e ostriche, oltre ad altri crostacei decapodi, piccoli pesci, vermi e meduse.
L’invasione
Secondo l’ultimo rapporto sulle specie invasive pubblicato da IPBES, il comitato intergovernativo che mette in contatto scienza e politica sui temi della biodiversità e degli ecosistemi, una specie aliena diventa invasiva quando la sua diffusione ha un impatto sulla biodiversità, gli ecosistemi e le specie locali. Il rapporto aggiunge che molte specie invasive hanno un effetto negativo anche sul contributo che l’ambiente offre alle persone, come i beni e i servizi ecosistemici e una buona qualità della vita.
«Il processo di invasione da parte di una specie aliena richiede tempo, è lento e fragile e procede per passi successivi», ha dichiarato a Nature Italy Gianluca Sarà, ecologo marino dell’Università di Palermo. Non deve sorprendere quindi che dalle prime segnalazioni all’invasione siano trascorsi più di settanta anni. Per diventare invasiva una specie aliena deve prima di tutto stabilirsi nell’area geografica dove è stata introdotta a causa dell’attività umana. Stabilirsi significa arrivare ad avere una popolazione autosufficiente, in grado cioè di mantenere la sua dimensione. Solo a quel punto il numero di individui può aumentare in modo incontrollato e portare all’invasione della nuova area geografica.
Sarà spiega come ognuno di questi passaggi comporti dei processi probabilistici. Per riprodursi, la femmina emette un propagulo, cioè un sacchetto, che può contenere fino a otto milioni di uova, che affida alle correnti d’acqua. Le uova si schiudono in zone a maggiore salinità rispetto a dove vengono deposte. «Più aumenta la distanza che i propaguli devono percorrere per schiudersi, più diminuisce il numero di esemplari che sopravvivono», spiega Sarà. Per esempio, nell’area dello Stagnone di Marsala, dove per raggiungere le zone di salinità favorevole alla schiusa i propaguli devono percorrere 40 chilometri, l’innesto del processo di crescita demografica è molto più difficoltoso.
L’aumento della temperatura delle acque del mar Mediterraneo ha favorito un’accelerazione in questo processo graduale e probabilistico di affermazione del granchio blu. Sarà e il suo gruppo di ricerca hanno studiato la reazione della specie alla temperatura, costruendo la cosiddetta curva di termo-tolleranza. Questa curva indica che anche se il granchio blu sopravvive fino a 40°C, le sue prestazioni metaboliche sono massime intorno a 24°C.
Man mano che le temperature medie del mare Adriatico sono aumentate, i luoghi lungo la costa dove il granchio riusciva a trovare condizioni ottimali alla sua sopravvivenza e riproduzione sono aumentati anche nella zona più settentrionale, quella interessata dall’invasione dell’estate 2023. Questo spiegherebbe anche perché le prime popolazioni stabili di granchio blu sono state osservate già nel 2014 nella parte più meridionale dell’Adriatico, nell’area lagunare di Lesina e Varano in Puglia.
Oltre al cambiamento climatico, un altro fattore che potrebbe aver contribuito all’invasione del granchio blu è la perdita di biodiversità causata dalle attività umane. Almeno questa è l’ipotesi avanzata nel caso dell’invasione di un’altra specie di granchio blu, originaria del Mar Rosso e chiamata Portunus segnis, che a partire dal 2015 ha invaso le acque del Golfo di Gabes, lungo le coste meridionali della Tunisia.
Jamila Ben Souissi, esperta di biodiversità marina dell’Università di Tunisi, osserva infatti come l’invasione di questa specie sia avvenuta in Tunisia ma non nella vicina Libia. «In Libia l’ecosistema marino è molto più sano che in Tunisia e questo potrebbe in qualche modo aver sfavorito l’insediamento e l’espansione del Portunus segnis», ha dichiarato a Nature Italy.
Come convivere con l’invasione
La scorsa estate, il governo italiano da una parte ha stanziato fondi per risarcire gli allevatori delle zone colpite, dall’altro ha autorizzando una licenza di pesca straordinaria per cercare di contenere al massimo l’espansione del granchio blu. Tuttavia, visto che l’eradicazione della specie non è un obiettivo realistico, occorre mettere a punto strategie di contenimento e riduzione dei danni e per farlo è necessario conoscere il ciclo di vita del granchio blu nelle aree colpite.
L’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPA Veneto) in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha effettuato due sopralluoghi, uno ad agosto e uno a ottobre dello scorso anno, per stimare la dimensione della popolazione, la percentuale di femmine e maschi, la percentuale di femmine ovigere, cioè contenenti uova, e l’entità dei danni causati ai bivalvi allevati nella zona delle lagune di Canarin e Scardovari, sul Delta del Po. Entrambi i sopralluoghi hanno confermato l’elevata densità della specie e constatato che causa danni assai rilevanti ai bivalvi. Gli autori dei sopralluoghi hanno però sottolineato come per comprendere il ciclo di vita della specie nelle due aree sia necessario un monitoraggio più frequente e sistematico.
Un tentativo in questa direzione era stato fatto in Puglia, nelle lagune di Lesina e Varano, interessate dall’invasione già nel 2014. Lucrezia Cilenti, biologa marina presso l’Istituto per le risorse biologiche marine e le biotecnologie del CNR, insieme al suo gruppo aveva ricostruito il ciclo di vita, individuando in particolare l’area della laguna preferita dalle femmine. Questo permetterebbe di attuare delle operazioni di pesca selettiva e controllare così la dimensione della popolazione.
Allo stesso tempo è importante trasformare il granchio in una risorsa. Una possibilità è quella di promuovere la sua introduzione nell’alimentazione locale, come si sta cercando di fare in Italia. Il governo tunisino aveva fatto un passo in più e nel 2015, quando il Portunus segnis aveva invaso il Golfo di Gabes, aveva stanziato fondi per promuoverne la trasformazione e l’esportazione. Oggi sono quasi cinquanta i grandi impianti della zona che lavorano il crostaceo e lo vendono sui mercati internazionali.
Tuttavia, questa strategia va ben ponderata. Nelle reti dei pescatori sono sostanzialmente scomparse tutte le altre specie di pesci presenti prima del 2015, e non sappiamo quali altri impatti abbia avuto questa invasione sulla biodiversità locale. «Dal 2018 stiamo studiando gli impatti sulla biodiversità, ma la ricerca richiede tempo», ha dichiarato a Nature Italy Ben Souissi e ha aggiunto che ora è necessario trovare un compromesso tra questioni sociali ed economiche e la conservazione della biodiversità.
immagine di copertina: DCChefAnna from Pixabay
Esemplari di granchio blu in vendita al mercato del Pireo, in Grecia (immagine: Wikipedia)