Il luogo è sempre lo stesso: l’Università di Cambridge, in Gran Bretagna. L‘oggetto di ricerca, pure: il DNA. A cambiare sono i protagonisti. All’inizio degli anni Cinquanta, Francis Crick e James Watson vi scoprono la struttura a doppia elica del DNA e pubblicarono i loro risultati in un paper estremamente celebre, anche per la brevità, che uscì sulle pagine di Nature nel 1953. Sessant’anni dopo un gruppo di ricercatori guidato dall’italiana Giulia Biffi mostra come il DNA possa assumere anche una conformazione a "quadrupla elica", dimostrando che questa possibilità si verifica anche nel genoma umano. I risultati sono stati da poco pubblicati su Nature Chemistry.
10 anni di sforzi
Lo studio è il risultato di una ricerca lunga un decennio, culminata nel riuscito tentativo di mostrare queste particolari strutture, chiamate in gergo G-quadruplexes, all’interno di cellule umane viventi. Si formano in in regioni del DNA particolarmente ricche di uno dei suoi mattoni fondamentali, la guanina, da cui deriva la 'G' del nome inglese. Dell’esistenza di queste quadruplette si era a conoscenza da alcuni decenni, grazie ad alcune osservazioni in vitro. Ora, invece, i ricercatori del team di Cambridge le hanno osservate in vivo per la prima volta e alcuni indizi fanno pensare che questo tipo di situazione si verifichi più frequentemente in quelle cellule che si dividono rapidamente, come per esempio quelle tumorali.
La strada è ancora lunga
Proprio gli esperimenti condotti da Giulia Biffi hanno permesso di identificare in modo più preciso il momento in cui la struttura a quattro si manifesta con più frequenza. I risultati indicano la fase di replicazione del DNA, poco prima della divisione cellulare, come il momento in cui le G-quadruplexes sono più frequenti. Secondo i ricercatori di Cambridge il lavoro da fare per comprendere a fondo questo meccanismo è ancora tanto. In particolare, sebbene ci siano degli indizi, è ancora presto per indicare una relazione tra le 'eliche quadruple' e il cancro. Quello che invece appare chiaro è che sebbene siano passati sessant’anni l’Università di Cambridge continua ad attirare su di sé l’attenzione in campo biologico. Questa volta, però, con un tocco di tricolore in più.