Un esperimento che ha fatto storia
Quando la Terra era ancora un giovane pianeta, nella sua atmosfera si potevano trovare acqua, metano, ammoniaca, monossido di carbonio. Non vi era invece traccia delle biomolecole che formano gli esseri viventi: la loro comparsa rappresenta, da un punto di vista chimico, il primo passo verso l’origine della vita. Ma come si è passati da un mondo inorganico al pullulare di biomolecole organiche? Per rispondere a questa domanda, nel 1953 Stanley Miller e il suo docente Harold Urey progettarono un esperimento destinato a finire su tutti i libri di testo. In un pallone di vetro introdussero gli ingredienti fondamentali: acqua, monossido di carbonio e ammoniaca. Poi, come in tutte le scenografie che si rispettino, un po’ di effetti speciali: scariche elettriche che simulassero la cascata di fulmini che i due immaginavano avesse investito la Terra durante la sua adolescenza planetaria.
Diagramma dell'esperimento classico di Miller-Urey (Immagine: Wikimedia Commons).
Alla fine dell’esperimento nel pallone erano presenti, oltre alle molecole di partenza, anche cinque diversi amminoacidi. Era bastato davvero poco per creare le condizioni favorevoli alla comparsa di molecole organiche a partire da molecole inorganiche.
Senza nulla togliere alla sua importanza storica, l’esperimento di Miller-Urey ha negli anni perso di valore. Al tempo si pensava che l’origine della vita fosse legata in modo indissolubile alla comparsa di amminoacidi e proteine enzimatiche. La teoria del mondo a RNA ha però relegato in soffitta le conclusioni di Miller e Urey, nel cui pallone di reazione non vi era traccia di acidi ribonucleici. O, semplicemente, nessuno si era premurato di verificarlo perché al tempo le proteine monopolizzavano l’attenzione degli scienziati intenti a cercare le molecole dalla vita.
Il remake dell’esperimento di Miller-Urey
Anche se le conclusioni di Miller e Urey sono focalizzate sulla formazione di amminoacidi, non è però detto che tutto l'esperimento sia da buttare. Un gruppo di ricercatori francesi ha deciso di ripetere l’esperimento di Miller e Urey tenendo conto delle conoscenze attuali. Ampliando il raggio delle ricerche, hanno rinvenuto tra i prodotti di reazione la formammide.
Molecola di formammide (Wikimedia Commons).
Per quanto semplice, questa molecola deve aver giocato un ruolo chiave nelle prime fasi dello sviluppo della vita. La formammide si forma per reazione tra due molecole inorganiche, l’ammoniaca e il monossido di carbonio, e può a sua volta trasformarsi in ognuna delle quattro basi dell’RNA. Per farlo, è però necessario che siano presenti le giuste condizioni: catalizzatori specifici, radiazioni UV oppure, come suggerito da studi precedenti, onde d’urto molto violente.
Proprio come quelle che avrebbero causato gli impatti di meteoriti al suolo.
A questo punto è entrata in campo la collaborazione con i ricercatori cechi che, grazie al Prague Asterix Laser System, sono stati in grado di generare in laboratorio onde d’urto dell’ordine dei terawatt. Ripetendo l’esperimento in queste nuove condizioni, non solo si è formata formammide, ma la reazione è proseguita portando alla formazione di tutte e quattro le basi dell’RNA: la prova tangibile che l’impatto di meteoriti ha creato le condizioni adatte alla formazione della prima biomolecola della vita, l’RNA.
Rimane da chiarire se questo modello - in particolare quello relativo alla composizione dell’atmosfera primordiale - sia plausibile. Ma di certo questo studio ridà vita al valore scientifico di un esperimento che si conferma essere uno dei capisaldi della ricerca sull'origine della vita: è la dimostrazione che simili condizioni possono portare alla nascita della vita. La domanda successiva è se, in tutto l'Universo, queste condizioni siano state una prerogativa della Terra o anche di altri pianeti.
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