La preoccupazione crescente dell'«invasione» di rifugiati e migranti, raccontano i commentatori politici, ha aiutato l'elezione di Donald Trump (vedi l'articolo Un marziano alla Casa Bianca di Francesco Tuccari su Aula di Lettere) e ha avuto un peso nel voto sulla Brexit. Ma i dati mostrano una realtà diversa rispetto a questa narrazione. Lo dice uno speciale interamente dedicato al rapporto tra scienza e migrazione pubblicato dalla rivista Nature e disponibile online in forma completamente gratuita.
Non siamo di fronte al picco storico
«Il supposto aumento della migrazione e dello spostamento forzato di persone ci dice di più del panico morale sulla migrazione rispetto a quanto ci dicano sulla realtà». La dichiarazione di Nando Sigona, scienziato sociale dell'Università di Birmingham (Regno Unito), è riportata da Declan Butler nel suo articolo dal titolo Che cosa ci dicono di dati sui rifugiati. Per esempio, gli stessi esperti dell'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) dichiarano che attualmente stiamo assistendo al più grosso fenomeno di migrazione mai registrato. Ma i dati riportati su Nature mostrano qualcosa di leggermente diverso, almeno prendendo in considerazione solamente i rifugiati:
Il numero dei rifugiati è cresciuto negli ultimi anni fino a raggiungere livelli simili a quelli visti all'inizio degli anni Novanta. I dati mostrati sono quelli forniti dall'UNHCR e non tengono in considerazione i palestinesi, che vengono contati da un'altra agenzia delle Nazioni Unite (Immagine: Nature)
L'UNHCR stima che nel 2015 i rifugiati siano stati 21,3 milioni, numero di poco più alto rispetto ai 20,6 milioni del 1992. Quando, però, la popolazione mondiale era pari ai due terzi di quella attuale.
Sul fronte della migrazione in senso lato, Gay Abel, statistico dell'Istituto di Demografia di Vienna, una delle eccellenze mondiali in questo settore, ha studiato le dinamiche dei flussi negli ultimi 50 anni, concludendo che il numero di migranti è rimasto sostanzialmente stabile nel tempo. Se però si considerano i dati come percentuale della popolazione mondiale, allora oggi siamo di fronte al punto più basso degli ultimi 50 anni. L'istituto ha anche provato a realizzare una visualizzazione dei flussi migratori tra il 1990 e il 2010 che si può consultare in un sito dedicato.
Le difficoltà di misurare i migranti
In un altro articolo dello speciale di Nature, intitolato provocatoriamente Tracciare le migrazioni è un casino, Huub Dijstelbloem dell'Università di Amsterdam (Paesi Bassi) passa in rassegna le difficoltà di misurare effettivamente le persone che si spostano da un paese a un altro. Accanto al un puzzle normativo complesso che si presenta quando si guarda la fotografia globale, ci sono le difficoltà di evitare gli errori nell'accertamento dell'identità dei migranti quando passano le frontiere. Ma c'è da mettere in conto anche l'impossibilità di monitorare cosa accade in larghe fette di territorio di molti paesi dove il territorio non è direttamente controllato dalle forze militari o di polizia.
Huub Dijstelbloem racconta anche delle possibilità di aiuto offerte dalla tecnologia e dalla scienza, che permetterebbero, per esempio, di evitare di contare più volte lo stesso migrante, perché magari viene registrato in paesi diversi (raramente le rotto migratorie coinvolgono solamente lo stato di partenza e quello di destinazione finale). L'impiego delle impronte digitali, del DNA o della scansione dell'iride per l'identificazione univoca solleva, però, una serie di problemi legati alla privacy delle persone e ha effetti profondi (e negativi) sulla percezione psicologica che gli stessi migranti hanno di sé. In ultima analisi, conclude il ricercatore, si tratta di sistemi che hanno un valore soprattutto sul piano politico, ma non aiutano davvero a risolvere il problema della quantificazione dei migranti.
Infine, la difficoltà forse più grande, ma che in gran parte esula dalla problematica di contare coloro che si spostano e tenere traccia di dove si spostino, è la difficoltà di distinguere tra richiedenti asilo (che si potrebbero quindi tramutare in rifugiati) e migranti economici. È anche da questa confusione che traggono ulteriore linfe i populismi che sfruttano il fenomeno migratorio per fini politici. Ma, avverte lo speciale di Nature, il fatto che sia difficili non significa che misurare meglio i flussi migratori non sia un passo necessario per comprenderli e poterli gestire in modo migliore.
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Immagini: Speciale Migrazione di Nature