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L'australopiteco che diventò Homo

A quattro anni dalla scoperta, i resti fossili di Australopithecus sediba ci offrono uno spaccato del suo stile di vita, e sembrano confermare l’ipotesi che questo ominide fosse un antenato del genere Homo.
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A quattro anni dalla scoperta, i resti fossili di Australopithecus sediba ci offrono uno spaccato del suo stile di vita, e sembrano confermare l’ipotesi che questo ominide fosse un antenato del genere Homo.

Australopithecus sediba è una delle scoperte fossili più importanti degli ultimi anni. I suoi resti sono stati rinvenuti nel 2008 a Malapa, vicino a Johannesburg (Repubblica del Sudafrica), e risalgono a circa due milioni di anni fa. Da subito i paleontologi sono rimasti colpiti dall’anatomia di questa nuova specie: un miscuglio di caratteri arcaici, tipici degli australopitechi, con altri più moderni. Lo scopritore Lee Berger della Wits University sostiene come altri scienziati che A. sediba sia il miglior candidato come antenato del genere Homo.
 



Lee Berger con un cranio di Australopithecus sediba, da lui scoperto in Sud Africa nel 2008 (Immagine: Wikimedia Commons)


Cronologia degli studi anatomici
Nel 2011 la rivista Science ha pubblicato cinque articoli che descrivevano l’anatomia di due esemplari battezzati MH1 e MH2. Uno dei dati più interessanti è stata la scoperta, grazie a esperimenti con la luce di sincrotrone, di un cervello di dimensioni ancora ridotte, ma già in via di modernizzazione. Anche la mano, illustrata sulla copertina della rivista, appare incredibilmente simile alla nostra. Il piede e l’anca, poi, rivelano l’adattamento al bipedismo, mentre un tallone gracile e il robusto malleolo tradiscono il legame con le ancestrali abitudini arboricole.

Sul numero di Science del 12 aprile scorso, sono apparsi sei nuovi articoli che completano l’analisi sull’anatomia di questo ominide, rivelando il modo in cui camminava, masticava e si muoveva. Peter Schmid e collaboratori, dell’Università di Zurigo, hanno scoperto per esempio che la forma del torace e del piede non gli avrebbero consentito di correre.
 

La Malapa valley, in Sud Africa, dove sono stati scoperti i resti di A. sediba (Immagine: Wikimedia Commons)


Pessimo corridore, camminatore originale
Le costole fossili ci giungono in genere molto frammentarie, perciò la ricostruzione della forma della gabbia toracica è alquanto ardua. Per più di 30 anni, quindi, la questione della comparsa di un torace cilindrico nei nostri antenati è rimasta oggetto di aspri dibattiti tra gli antropologi. Fortunatamente, i resti del cinto toracico di A. sediba sono in gran parte completi, fornendo ai ricercatori un quadro morfologico abbastanza preciso. A conferma del mosaico anatomico di antico e moderno, questo ominide mostra una cassa toracica superiore di forma ancora scimmiesca, cioè stretta e conica, come si può osservare ancora oggi in oranghi, scimpanzé e gorilla. Quella tipica del genere Homo è molto più larga e cilindrica, in linea con il nuovo modello di locomozione basato sulla resistenza nella deambulazione e nella corsa.

Lo scheletro di MH1, completo di cranio, appartenente a un giovane maschio (Immagine: Wikimedia Commons)


Il torace inferiore di A. sediba, in compenso, appare meno svasato lateralmente rispetto a quello dei primati, con una vita più sottile e più simile alla morfologia tipicamente umana. Le spalle erano in rilievo, come se fossero perennemente alzate. Un esame degli arti inferiori rivela che tallone, metatarso, ginocchio, fianchi e posteriore sono unici e senza precedenti. Sediba deve aver camminato con i piedi girati bruscamente verso l’interno, una caratteristica che lo distingue da tutti gli altri australopitechi. Quelli che probabilmente furono i nostri primi antenati, si muovevano in modo molto diverso.

Scalatore e brachiatore provetto
A. sediba era uno scalatore provetto. Lo dimostrano i resti della parte superiore del braccio, il radio, l’ulna, la scapola, la clavicola e lo sterno frammento ritrovati a Malapa. Questi appartengono chiaramente ad un singolo individuo, un fatto unico nella storia delle scoperte di fossili dei primi ominidi. A eccezione delle ossa della mano, che mostrano il tipico pollice opponibile e dita corte adatte a manipolare oggetti, l’arto anteriore è eccezionalmente originale. Come tutti gli altri rappresentanti del genere Australopithecus, A. sediba aveva braccia adatte all’arrampicata, e in caso di bisogno anche alla brachiazione. Probabilmente questa abilità era superiore a quella degli altri rappresentanti dello stesso genere finora scoperti.
 



La mano e il braccio di A. sediba rivelano doti di arrampicatore e brachiatore (Immagine: Wikimedia Commons)


La nonna non era Lucy
Lo studio delle corone dentali suggerisce che A. sediba non appartenga filogeneticamente agli australopitechi dell’Africa orientale (tra cui A. afarensis, cioè la famosa Lucy), ma che sia più vicino a A. africanus e quindi faccia parte insieme a quest’ultimo di un gruppo separato endemico dell’Africa meridionale. In altre parole, A. sediba, e con ogni probabilità anche A. africanus, non discendevano da Lucy. La mascella inferiore dello scheletro femminile (MH2) mostra incisivi e premolari precedentemente sconosciuti. Come il cranio e altre aree dello scheletro, anche i resti mandibolari presentano analogie con gli altri australopitechi. Rispetto a A. africanus, tuttavia, differiscono per forma, dimensioni e cambiamenti ontogenetici durante la crescita, confermando l’ipotesi di una netta separazione tassonomica tra le due specie. Nelle differenze più rilevanti, le parti della mascella inferiore mostrano una maggiore somiglianza con i primi rappresentanti del genere Homo.
 


Confronto tra i due scheletri di A. sediba chiamati Malapa Hominin 1 (MH1) e Malapa Hominin 2 (MH2), rispettivamente a sinistra e a destra, con quello di Lucy (al centro) (Immagine: Wikimedia Commons).


Manca poco per diventare Homo
L’analisi della colonna vertebrale mostra che A. sediba aveva lo stesso numero di vertebre lombari di un uomo moderno. L’accentuata lordosi indica una maggiore modernità anatomica in questa zona rispetto a A. africanus, confrontabile con quella di Homo erectus. Nell’insieme i nuovi studi pubblicati su Science mostrano l’immagine di un ominide unico, con un mosaico fisico in parte riconducibile a ominidi antichi e in parte anticipatore di caratteri moderni osservabili nelle specie successive. «Le numerose similitudini con Homo erectus suggeriscono che A. sediba rappresenti la forma più appropriata per l'inizio del genere Homo», spiega Peter Schmid. I precedenti candidati, infatti, sono troppo frammentari per poter occupare questa posizione. Ma la caccia ai nostri antenati fossili continua.

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