
Un esemplare di Orcinus orca (Immagine: Pixabay)
La menopausa è l’eccezione, non la regola
Come esseri umani, siamo così abituati al fenomeno della menopausa che riesce difficile credere che si tratti di una rara eccezione. Eppure è così: la quasi totalità degli animali continua a riprodursi fino al momento della morte. Per quanto ne sappiamo, l’interruzione prematura dell’ovulazione si verifica, solo in tre specie: gli esseri umani, le orche (Orcinus orca) e i globicefali di Gray (Globicephala macrorhynchus). Perché questo avvenga è un vero e proprio indovinello evolutivo. Quel che è certo è che in queste specie, dopo l’interruzione dell’attività riproduttiva, le femmine continuano a vivere per molti decenni e più invecchiano più assumono un ruolo chiave nel branco.Perché alcuni animali vanno in menopausa?
Già negli anni Sessanta si fece strada la cosiddetta “ipotesi della nonna” (grandmother hypotheis), secondo la quale le orche entrerebbero in menopausa intorno ai 30-40 anni per prendersi meglio cura dei figli che hanno già avuto. Invecchiando, queste matriarche diventerebbero le custodi delle informazioni ecologiche essenziali per la sopravvivenza del branco e quindi per la trasmissione dei propri geni alle generazioni future. Questa ipotesi lascia però una domanda cruciale senza risposta: perché, per sostenere e guidare il branco, le orche più anziane smettono di riprodursi? In altre specie longeve, come per esempio gli elefanti, le matriarche assolvono funzioni simili, eppure non vanno in menopausa. Il punto chiave potrebbe risiedere nell’organizzazione demografica dei gruppi animali: l’interruzione precoce dell’attività riproduttiva sarebbe la conseguenza di un forte conflitto intergenerazionale.
Orche al largo delle Isole Aleutine, in Alaska (Immagine: Wikimedia Commons)
Il conflitto intergenerazionale dipende dalla dispersione della prole
Nonostante i mammiferi tendano a riprodursi localmente, esistono tra le diverse specie importanti differenze per quanto riguarda la dispersione dei nuovi nati rispetto al gruppo d’origine. Nella maggior parte dei casi, a disperdersi sono i maschi, ma esistono delle eccezioni: nei primati sono le femmine che tendono ad abbandonare il gruppo, mentre tra i cetacei non c’è dispersione e i piccoli di entrambi i sessi continuano a seguire il branco d’origine per tutta la vita. Questo tipo di organizzazione si ripercuote sullo sviluppo di “competizioni” interne al gruppo. Se nella maggior parte dei mammiferi sono le femmine adulte ad avere la meglio sulle più giovani, la situazione si ribalta nei gruppi sociali di scimmie e, ancora di più, dei cetacei, dove sono le giovani a trovarsi in netto vantaggio riproduttivo. Dai dati raccolti nel corso di quaranta anni di pazienti osservazioni, i ricercatori hanno concluso che per le orche anziane diventa troppo svantaggioso competere con le proprie figlie. In media, un’orca è riproduttiva dai 15 ai 30-40 anni d’età: non è quindi inusuale che due generazioni diverse di femmine partoriscano nello stesso momento. Per le orche più anziane questo significa mettere i propri figli in competizione con i propri “nipoti”: il risultato è che, soprattutto per i figli maschi delle orche più anziane, la probabilità di morire precocemente è maggiore di 1,7 volte rispetto ai figli di orche più giovani. Se il maschio rimane orfano, questa probabilità è di 14 volte più alta. E questo è un rischio troppo alto, visto il ruolo dei maschi che, pur rimanendo all’interno del branco, tendono a riprodursi al di fuori di esso: in altre parole, diffondono i geni del branco, senza che il peso di allevare la prole gravi su di esso. Il comportamento da “nonnina” osservato nelle matriarche degli oceani non sarebbe quindi la causa della menopausa, ma la conseguenza: il conflitto intergenerazionale spingerebbe le orche più anziane a entrare in menopausa per dedicarsi alla cura dell’intero branco semplicemente perché - dal punto di vista della dispersione dei geni - questo atteggiamento è un investimento più vantaggioso della nascita di altri figli. -- Immagine banner: Pixabay Immagine box: Wikimedia Commons
