La volgola oceanica (Arctica islandica) dell'Atlantico settentrionale può vivere oltre 400 anni, più di qualsiasi altro animale (immagine: Wikimedia Commons).
I pini dai coni setolosi (Pinus longaeva), che crescono sulle montagne Bianche della California, sono tra i più longevi esseri viventi conosciuti (immagine: Wikimedia Commons).
Che cosa allunga di un fattore dieci la vita di queste piante rispetto a quella degli animali più longevi? Ricercatori dell’Istituto VIB e dell'Università di Gand (in Belgio) suggeriscono in un articolo pubblicato su Science Express che la ragione risieda nella complessa organizzazione e regolazione delle cellule staminali.
Queste cellule indifferenziate, presenti in piante e animali, possono dare origine a diversi tipi cellulari a seconda delle esigenze, generando nuovi tessuti e riparando quelli danneggiati. Nelle piante si localizzano soprattutto nei meristemi apicali del fusto e delle radici, per consentirne l’allungamento, mentre altre situate nel cambio ne permettono la crescita in spessore.
Anche le staminali, tuttavia, sono soggette a usura. A forza di dividersi, errori di copiatura e danni al DNA le fanno invecchiare insieme all’organismo che dovrebbero mantenere giovane. Ed è a questo punto che le piante tirano fuori un asso dalla manica, o meglio dalle radici. In mezzo alle cellule staminali ve ne sono alcune quiescenti, che si dividono più raramente (da 3 a10 volte di meno) e quindi sono meno soggette a danni del DNA.
Un apice radicale osservato al microscopio ottico. Secondo le ultime ricerche, alcune delle sue cellule staminali quiescenti sarebbero il segreto della longevità delle piante (immagine: Wikimedia Commons).
Come spiega il professor Lieven De Veylder, coordinatore dello studio: «Queste cellule contengono una copia del DNA originale e integra, che può essere utilizzata per sostituire le cellule danneggiate, in caso di necessità. Gli animali possono contare su di un simile meccanismo, che però nelle piante è decisamente più efficiente. Questo potrebbe spiegare perché molte piante possono vivere per vari secoli, una condizione del tutto eccezionale negli animali».
I ricercatori hanno anche scoperto una nuova proteina, il fattore di trascrizione ERF115. Le cellule quiescenti si dividono a malapena quando questo fattore viene inibito, ma se occorre rimpiazzare le cellule staminali circostanti danneggiate, ERF115 viene attivato, inducendo la produzione dell’ormone fitosulfocina, che stimola la divisione delle cellule quiescenti. Una sorta di sistema di backup genetico, per ripristinare la dotazione di staminali con copie originali meno difettose.
Ma per quanto longeve, tutte le piante, prima o poi, devono morire. Un destino che condividono con gli animali, tutti tranne uno. Un minuscolo idrozoo di nome Turritopsis nutricula ha raggiunto l’immortalità (è noto infatti come medusa immortale). In condizioni avverse, regredisce dalla fase adulta di medusa a quella giovanile di polipo, quindi in teoria potrebbe ricomincire ogni volta da capo il proprio ciclo vitale, all’infinito. Più o meno come se noi, raggiunti gli 80 anni, potessimo tornare ciclicamente embrioni nell’utero materno. Alla fine a vincere sembrano essere gli animali.