La facility del Lunar Laser Ranging (LLR) del Goddard Space Flight Center negli Stati Uniti (Foto: Tom Zagwodzki/Goddard Space Flight Center)
Il progetto Lunar Laser Ranging (LLR) si basa su una serie di riflettori depositati sulla superficie lunare dalle missioni di Apollo 11, 14 e 15 e dal rover sovietico Lunakhod 2: si tratta di particolari specchi progettati per riflettere un fascio di luce nella esatta direzione da cui esso proviene. Colpendo questi riflettori con un fascio laser emesso da telescopi situati sulla Terra e calcolando il tempo impiegato a coprire il percorso inverso, è possibile valutare la distanza tra il nostro pianeta e la Luna (che è, mediamente, di trecentottantacinquemila chilometri). Le rilevazioni dei raggi laser inviati sulla Luna sono state affidate fin dal 1969 al McDonald Observatory, situato in Texas. Nel corso degli anni, anche altri osservatori in tutto il mondo hanno unito i loro sforzi in questo progetto, tra cui anche il Laser Ranging Observatory di Matera. Accumulando dati nel corso degli anni, il progetto LLR ha fornito dettagli importantissimi sulle caratteristiche dell’orbita lunare e sulle sue variazioni, confermando che il nostro satellite, con un lento movimento a spirale, si sta allontanando dalla Terra di circa 3,8 centimetri all’anno.
La raccolta dei dati relativi ai fasci di luce restituiti dai riflettori lunari non è però sempre proceduta senza ostacoli. Nel corso degli anni, i ricercatori si sono accorti che il sistema di rilevamento laser andava periodicamente in tilt. Se all’inizio si era pensato a un semplice guasto, oppure a un’anomalia difficilmente prevedibile, con il passare del tempo ci si è accorti che queste interferenze si verificavano, mese dopo mese, sempre nelle notti di Luna piena.
Uno dei riflettori posizionati sulla superficie lunare nel corso della missione di Apollo 11 (Foto: Wikimedia Commons)
Se una minima dispersione dei fotoni riflessi dalla Luna era da mettere in conto, l’azzeramento totale del segnale andava decisamente oltre le più pessimistiche aspettative. Eppure questo era proprio ciò che accadeva nelle notti di Luna piena: di circa cento quadrilioni di fotoni inviati dai telescopi verso la Luna, pochi fotoni superstiti trovavano, una volta riflessi, la via del ritorno verso la Terra. A volte, neppure uno. Tra lo scherzo e il disappunto, i ricercatori iniziarono a parlare della “maledizione della Luna piena”.
Da questa apparentemente strampalata osservazione è partito lo studio volto a chiarire i fattori che, nelle notti di plenilunio, contribuiscono a mandare in tilt i rilevatori LLR. I risultati di questa analisi, pubblicati ora sulle pagine della rivista Icarus dalla University of California di San Diego, suggeriscono che l’azzeramento del segnale di ritorno sia dovuto alla combinazione di due fattori: la polvere presente sulla superficie lunare e il calore del Sole.
Secondo i ricercatori impegnati nello studio, la combinazione di forze elettrostatiche e del continuo bombardamento da parte di piccoli meteoriti della superficie lunare avrebbero contribuito, negli anni, a depositare polvere sulla superficie dei riflettori, compromettendone la capacità di riflettere la luce anche del 50%. Perché il numero di fotoni riflessi scenda a zero è però necessario anche un altro elemento: il calore sprigionato dal Sole. All’interno di ogni riflettore si trovano prismi di vetro: quando il Sole illumina completamente la superficie della Luna (come avviene, appunto, quando dalla Terra osserviamo il plenilunio), si raggiunge il massimo grado di illuminazione dei prismi. In queste condizioni, la polvere depositata sul vetro si riscalda, alterando l’indice di rifrazione dei prismi e impedendo agli specchi di funzionare correttamente: in altre parole, i prismi si trasformano in semplici lenti e il numero di fotoni rilessi verso la Terra si azzera.
Viste le cause, il problema sembra al momento di difficile risoluzione: ai ricercatori non resta che approfittare dell’assenza del segnale per godersi, una volta al mese, lo spettacolo della Luna piena.
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