Quanto può vivere una cellula? Uno studio tutto italiano dimostra che la vita di un neurone non è affatto predeterminata a livello genetico e che può, addirittura, vivere più a lungo dell’animale che l’ha generato.
Nei mammiferi, i neuroni differenziati non vanno incontro ad ulteriori divisioni cellulari e rimangono immutati fino alla morte. Il limite di sopravvivenza di un neurone coincide quindi, al massimo, con la vita dell’animale. Ma una cellula isolata dall’animale può sopravvivergli? Uno studio tutto italiano, pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences, dimostra che la vita di un neurone non è affatto predeterminata a livello genetico e che può, addirittura, vivere più a lungo dell’animale che l’ha generato.
Vita di una cellula: quanto a lungo vivrà?
Lo studio dei ricercatori dell’Università di Pavia e dell’Università di Torino si inserisce in un filone di ricerca molto ampio: da molti anni gli scienziati cercano di capire quale sia l’origine dei fattori che influenzano una certa funzione cellulare, come la crescita o il differenziamento. Gli stimoli che governano queste funzioni possono infatti derivare da un programma genetico interno alla cellula (chiamati stimoli intrinseci), oppure possono provenire dal “microambiente” che circonda la cellula (stimoli estrinseci). In altre parole, la vita e il destino della cellula assomiglierebbero per certi versi a quello di una persona, la cui personalità è il frutto non solo della sua indole, ma anche dell’ambiente in cui quella persona è cresciuta.
Tornando alle cellule, per molto tempo gli scienziati hanno ritenuto che il profilo genetico di una singola cellula fosse una specie di libretto di istruzioni del destino cellulare, senza molte possibilità di trasgredire a quanto era già stato prederminato. Gli studi più recenti sembrano però confutare questa ipotesi: gli stimoli estrinseci e, quindi, l’ambiente in cui una cellula vive sarebbero altrettanto importanti.
Allungare la vita di un neurone: tutta questione di “microambiente”
Per verificare se i neuroni fossero in grado di vivere più a lungo del topolino che li aveva generati, i ricercatori hanno trapiantato neuroni di topo in ratti, la cui sopravvivenza media è circa il doppio di quella dei topi. In particolare hanno preso progenitori neuronali da una specie di topo che vive, in media, un anno e mezzo: dopodiché hanno indotto in queste cellule l’espressione della Green Fluorescent Protein (o GFP). La GFP è una proteina fluorescente che viene comunemente utilizzata dai ricercatori per “marcare” le cellule in studio. Una volta marcate con la GFP, le cellule di topo sono state trapiantate nel ratto: qui le cellule hanno iniziato a differenziarsi in diversi tipi di neuroni maturi e si sono integrate perfettamente nell'architettura neuronale del ratto. Tra i vari tipi di neuroni originati dai progenitori trapiantati vi erano le cosiddette cellule di Purkinje (neuroni presenti nella corteccia del cervelletto). In condizioni fisiologiche, ben il 40% di queste cellule muore prima che il topo muoia di vecchiaia. Le cellule di Purkinje cresciute nel ratto hanno però subito un destino ben diverso da quello che avrebbero fisiologicamente incontrato se fossero rimaste nel topo di origine: ben il 90% delle cellule di Purkinje di topo è sopravvissuto fino alla morte del ratto in cui erano state trapiantate.
In altre parole, anziché andare incontro a morte prematura – come avviene di norma nel topo – i neuroni trapiantati hanno finito per comportarsi come i neuroni del ratto in cui erano state trapiantate. Sia ben chiaro, le cellule trapiantate continuano a mantenere anche nel ratto le caratteristiche tipiche dei neuroni di topo e vanno comunque incontro ad invecchiamento (distinguibile dalla progressiva perdita delle tipiche protusioni presenti invece nei neuroni più giovani): quello che cambia è il destino finale, visto che le cellule rimangono comunque vive fino a quando a morire non è il ratto in cui sono state trapiantate.
Destino cellulare: al crocevia tra fattori genetici e ambiente
Questo studio porta a galla qualcosa che i ricercatori sospettavano da tempo: vale a dire che l’invecchiamento e la sopravvivenza di una cellula non siano fenomeni guidati esclusivamente da fattori genetici interni alla cellula, ma che un ruolo fondamentale lo giochi l’ambiente in cui la cellula di fatto vive. Nel caso dei neuroni di Purkinje sarebbe proprio il “microambiente neuronale” a stabilire se le cellule moriranno prematuramente (come nel topo) o a sopravvivere (come avviene invece nel ratto). In definitiva, non «esiste alcun orologio genetico predeterminato», sostiene Lorenzo Magrassi, il neurochirurgo che ha condotto lo studio presso l’Università di Pavia.
Studi come questo potrebbero avere importanti applicazioni in futuro, soprattutto nel campo delle malattie neurodegenerative, in cui alcuni tipi di neuroni iniziano a morire prematuramente: andando a modulare la composizione dell’ambiente in cui una cellula cresce, potrebbe essere possibile mantenere in vita cellule altrimenti destinate a morire.