Lo scorso 19 settembre un gruppo di ricercatori dell’Università di Caen (Francia) e una ricercatrice dell'Università di Verona hanno pubblicato un articolo scientifico in cui sostengono che ratti da laboratorio nutriti con un tipo di mais geneticamente modificato e per questo resistente a un erbicida, noto con il nome commerciale «Roundup», avrebbero maggiori possibilità di sviluppare problemi di salute. In particolare, i ratti avrebbero presentato uno squilibrio ormonale e metabolico e, soprattutto, tumori della mammella più numerosi e più precoci rispetto ai roditori nutriti con mais non modificato. Secondo gli autori della ricerca, questi risultati indicherebbero rischi per la salute umana.
Nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo, avvenuta su Food and Chemical Toxicology, le reazioni sono state forti, sia da parte dell’opinione pubblica, sia da parte della comunità scientifica. Su Scicurious, uno dei blog più seguiti sul sito di Discover Magazine, si può leggere questo commento:
Gli organismi geneticamente modificati (OGM) sono da sempre un argomento controverso. Da una parte offrono benefici, come raccolti più abbondanti grazie alla resistenza ai pesticidi e agli insetti, e la possibilità di modificare le qualità nutrizionali per migliorare la dieta delle popolazioni malnutrite. Dall’altra parte la domanda che preoccupa molte persone è se modificando i geni del nostro cibo ci saranno conseguenze sulla nostra salute. Sono preoccupazioni legittime, ma il nuovo studio che si proponeva di dare una risposta ha mancato il bersaglio.
Perché? Le critiche allo studio di Gilles-Eric Séralini e dei suoi colleghi si concentrano soprattutto sulla progettazione poco accurata della sperimentazione che perciò ha prodotto risultati non attendibili
Le debolezze della ricerca
Sul sito del National Health Institute britannico (NHS) è stata pubblicata una lunga e approfondita analisi del lavoro di Séralini e colleghi dove sono riassunti i punti deboli. Eccoli in sintesi.
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Nonostante lo studio abbia coinvolto duecento roditori (100 femmine e 100 maschi), ogni confronto è stato effettuato soltanto con un gruppo di controllo di 10 maschi e 10 femmine. Un gruppo di controllo più numeroso avrebbe potuto portare a dati diversi, sia dal punto di vista della salute sia della durata di vita. Il controllo è stato quindi fatto su un numero troppo esiguo per escludere che il risultato sia dovuto al caso.
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Alcuni esperti hanno sottolineato che il tipo di ratti utilizzato nelle sperimentazioni è nota per essere suscettibile ai tumori, in particolare in caso di illimitato accesso al cibo. Osservazione riportata anche da Tom Sanders, nutrizionista del King's College di Londra. Inoltre, gli stessi ricercatori francesi, intervistati via mail da Nature, hanno ammesso che «probabilmente i ratti usati per la sperimentazione non erano la scelta migliore per questo tipo di studi a lungo ternine».
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Il metodo statistico impiegato è stato descritto come «un solido metodo per la modellizzazione, l’analisi e l’interpretazione di complessi dati biologici e chimici», ma risulta oscuro e piuttosto complicato da comprendere anche per ricercatori con una buona conoscenza della statistica.
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Le cavie sono state nutrite con una dieta regolare di una sostanza-test concentrata, ma come gli alimenti e le dosi siano traslabili a una somministrazione a esseri umani non è specificato.
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La ricerca è durata due anni, ossia la durata media della vita di un ratto da laboratorio. Non è tuttavia possibile affermare che essa possa rappresentare una intera vita umana basata sul consumo quotidiano di cibo geneticamente modificato. Inoltre, a quale età si presenterebbero gli effetti negativi, se ce ne sono, sugli esseri umani?
Anche il Science Media Centre britannico ha pubblicato sul proprio sito una raccolta di opinioni autorevoli su questa ricerca. La si può leggere per intero qui.
Una questione statistica
Uno dei punti fondamentali della ricerca è se i ratti nutriti esclusivamente con il mais geneticamente modificato presentassero un tasso di tumori più alto di quelli del gruppo di controllo. Per alcuni era così, ma questo non è sufficiente per giungere ad alcuna conclusione. «Su questi dati», scrive Deborah MacKenzie sul New Scientist, «i tossicologi effettuano un test matematico, chiamato deviazione standard, per controllare se la differenza è quella che ci si può aspettare da una variazione casuale oppure se si tratta di qualcosa di significativo. Il team francese non ha presentato questi test nell’articolo pubblicato, ma ha piuttosto utilizzato un sistema complicato e non convenzionale» . E senza spiegare le motivazioni di tale scelta.
Questioni aperte
Pur senza entrare nel piano della polemica, questa storia solleva alcune domande. La prima riguarda gli scienziati che hanno anonimamente valutato l’articolo prima della pubblicazione, i cosiddetti referee. Viste le numerose debolezze dello studio che a posteriori la comunità scientifica ha messo in evidenza, come mai non hanno fermato la pubblicazione e chiesto ulteriori spiegazioni al team di ricerca? Certo, nonostante tutte le accortezze che tendono a rendere il procedimento scientifico il più oggettivo possibile, un errore umano resta un fattore che non si può escludere del tutto. I referee o più probabilmente il comitato editoriale di Food and Chemical Toxicology, se lo vorranno, potranno fornire le proprie spiegazioni, come spesso avviene sui blog o sui siti di altri journal.
In definitiva, giungere a conclusioni importanti come quelle che riguardano la relazione tra cibo e salute sulla base di un singolo studio, che riguarda animali e non esseri umani, e che ha delle pecche nel disegno della sperimentazione e nell'analisi dei risultati, non può che produrre risultati inattendibili.