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Marie Curie e la condizione femminile tra Otto e Novecento

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In occasione dell’Anno Internazionale della Chimica in tutto il mondo si è celebrata la figura di Marie Curie, scienziata straordinaria e vincitrice di ben due premi Nobel, il secondo dei quali proprio per la Chimica. Ma la scienziata di origine polacca ha vissuto sulla propria pella alcuni degli ostacoli che la società del tempo metteva tra le donne e le loro aspirazioni. Ce lo ricorda questo contributo di Luciano Marisaldi (autore di Paesaggi della Storia): un viaggio nella storia dei diritti delle donne a partire proprio da Marie Curie
Vicende straordinarie
A cavallo fra Otto e Novecento, nonostante i grandi avanzamenti nella scienza, nella tecnologia e nello sviluppo industriale di molti paesi europei, rimaneva intatta una grande frattura fra la condizione sociale delle donne in generale e i notevoli risultati che molte di loro riuscirono a ottenere. Maria Sklodowska lasciò la Polonia (allora parte integrante dell’impero russo) per studiare a Parigi perché a Varsavia le ragazze non erano ammesse all’istruzione superiore: alla Sorbona si laureò, ottenne un premio Nobel con il marito Pierre Curie e nel 1908 divenne la prima donna titolare di una cattedra in quell’università. Qualche anno più tardi, nel 1911, da sola ricevette un secondo premio Nobel per la Chimica, uno dei fatti celebrati dall’Anno Internazionale della Chimica che si è celebrato in questo 2011 (da ricordare almeno il centenario del primo Congresso Solvay, a cui la stessa Curie partecipò).
Una foto della giovane Marie Sklodowska (Immagine: mariecurie2011.pl)
La vicenda di Marie Curie fa saltare alla mente una sua quasi coetanea, l’italiana Maria Montessori. Dopo aver frequentato una scuola tecnica femminile da poco istituita, Maria si iscrisse alla facoltà di Medicina e fu tra le prime donne del regno d’Italia a laurearsi in quella disciplina. I suoi interessi la portarono a  occuparsi di antropologia e di psicologia, ma il suo nome è legato alla prima scuola dell’infanzia basata su un metodo didattico rivoluzionario per l’epoca, che lei stessa fondà nel 1907 e che ebbe poi vastissima diffusione.
È degli stessi anni la vicenda straordinaria (rievocata anche nel film Prendimi l’anima di R. Faenza e nel più recente A Dangerous Method di D. Cronenberg) della russa Sabina Spielrein, che da paziente – e poi forse amante – di Carl Gustav Jung, si laureò nel 1911 in medicina e fu ammessa nell’esclusiva Società psicoanalitica viennese. Dall’Austria, si trasferì poi in Russia dove fondò un asilo infantile che venne chiuso dalle autorità sovietiche perché insisteva sull’educazione dei bambini alla libertà individuale.
Nello stesso periodo in cui vivevano Marie Curie, Maria Montessori e Sabina Spielrein la scrittrice Sibilla Aleramo raccontava nel suo romanzo autobiografico, Una donna, la difficoltà di liberarsi dal ruolo a cui la donna (figlia e moglie) era condannata dalle convenzioni borghesi che vigevano.

Prima dell’euro, il ritratto di Maria Montessori contrassegnava la banconota da mille lire

La questione dei diritti
La presenza di tante figure femminili eminenti non può nascondere il fatto che le donne vivevano da sempre in una condizione di inferiorità giuridica, economica, politica. La questione era stata sollevata in età illuministica e durante la rivoluzione francese (si veda, per esempio, la «dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina» di Olympe de Gouges), ma per molto tempo non vi furono significativi progressi. Anche per gran parte dell’Ottocento, quella femminile rimase una questione prevalentemente intellettuale, che indirizzò le scelte esistenziali di alcune donne dalla forte personalità, ma senza che nascesse alcun movimento organizzato. Il filosofo John Stuart Mill scrisse un saggio su La servitù delle donne (1869), ma anche nel pensiero liberale inglese dell’Ottocento il problema dell’emancipazione femminile rimase secondario.
Furono le trasformazioni sociali provocate dall’industrializzazione a modificare in maniera significativa la condizione femminile e l’idea che le donne avevano di se stesse. In primo luogo, un numero sempre maggiore di donne decideva di lavorare fuori casa, anche se spesso il matrimonio interrompeva la loro attività lavorativa, perché erano destinate a occuparsi in primo luogo della famiglia e della casa.
L’altro fatto che contribuì a modificare la condizione femminile fu l’aumento generalizzato del benessere. Nei ceti medi e medio-alti le donne ebbero sempre più accesso all’istruzione superiore, ebbero più tempo per la lettura, per lo svago, per la cura della persona. Cominciarono a sposarsi più tardi, a fare meno figli di prima e a dedicare loro maggiori cure. In questo modo guadagnarono tempo e risorse per altre occupazioni. Aumentò la presenza femminile nelle fabbriche, ma anche nei negozi, come commesse, e negli uffici, dove erano assunte in gran numero come dattilografe e segretarie. Anche l’aumento dell’istruzione fu un’occasione di lavoro per molte donne, che entrarono nella scuola come maestre, un mestiere ritenuto molto adatto a loro.
Eppure il lavoro femminile era considerato di minor valore rispetto a quello maschile. Poiché c’era l’idea comune che il capofamiglia (cioè, in quel tempo, il marito e il padre) fosse responsabile del mantenimento della famiglia, sembrava giusto che il suo salario fosse maggiore e che quello della donna dovesse al più servire per integrare il bilancio familiare o per darle qualche possibilità di spesa per sé. Così, il lavoro femminile negli uffici era pagato meno di quello dei maschi e a volte, nelle fabbriche, il salario di una donna era poco più della metà di quello maschile.
L’emancipazione femminile
Sempre di più c’era consapevolezza dello stato di inferiorità in cui le donne erano tenute ingiustamente. La democrazia – in progresso a fine Ottocento – non poteva avanzare senza che questa situazione venisse modificata. Nacquero perciò in tutta Europa movimenti per l’emancipazione femminile, che rivendicavano l’uguaglianza fra donne e uomini. Le operaie (appoggiate generalmente dai partiti socialisti) chiesero soprattutto parità di salario; le borghesi lottarono per il diritto di voto e per l’accesso alle università e alle professioni riservate agli uomini (cominciarono a esserci donne medico, avvocato, ingegnere, ecc.). La parità salariale e il diritto di voto furono ammessi in quasi tutti i paesi industrializzati nella prima metà del Novecento. Solo più tardi, nella seconda metà del secolo, in diversi paesi d’Europa fu riconosciuta per legge una completa parità fra i coniugi nella famiglia: in Italia vi si arrivò nel 1975.
I movimenti per il diritto di voto
Nella maggioranza degli stati europei e in parte degli Stati Uniti, al tempo dei premi Nobel di Marie Curie e ancora a lungo, le donne non potevano votare e i parlamenti non rappresentavano veramente tutto il popolo. La lotta per il suffragio femminile fu particolarmente accesa in Inghilterra, dove nel 1903 Emmeline Pankhurst fondò l’Unione sociale e politica delle donne. Le seguaci del movimento, le suffragiste (o, per i detrattori, suffragette), dovettero affrontare i vecchi pregiudizi contro le donne. La stampa le metteva in ridicolo, i loro comizi si svolgevano in mezzo all’indifferenza e all’ostilità della gente, la polizia disperdeva con durezza le loro manifestazioni. Per farsi ascoltare ricorsero a mezzi estremi: fecero scioperi della fame, si incatenarono ai lampioni del gas per non essere arrestate e trascinate via durante le dimostrazioni; sommersero il parlamento inglese di petizioni.
Il diritto di voto delle donne fu riconosciuto quasi dappertutto più tardi di quello degli uomini. In alcuni paesi esse ottennero la parità dei diritti a Novecento inoltrato: in Inghilterra nel 1918 (e solo se avevano trent’anni compiuti); in Italia nel 1945; in Svizzera soltanto nel 1971. Nella Polonia di Maria Sklodowska il suffragio femminile fu introdotto dopo l’indipendenza nel 1918; ma in Francia le donne ebbero lo stesso diritto solo alla fine della seconda guerra mondiale.

Avanti col diritto di voto! Manifesto del partito socialdemocratico tedesco per la festa della donna del 1914

Questione femminile e movimento operaio Fuori dai paesi anglosassoni l’impegno politico delle donne si espresse soprattutto nel movimento operaio. Numerose donne ebbero posizioni di rilievo nei partiti e nei movimenti socialisti: ricordiamo Rosa Luxenburg e Clara Zetkin in Germania, Alexandra Kollontai in Russia, Anna Kuliscioff in Italia. Si trattava pur sempre di una minoranza; inoltre nei partiti socialisti l’emancipazione femminile non aveva una sua specificità, ma era considerata parte del più generale problema dell’emancipazione del lavoro. Si parlava di occupazione, salari, protezione sociale, lasciando in secondo piano la trasformazione dei rapporti fra uomo e donna nella famiglia e nella società civile. Fu da una proposta di Clara Zetkin che nacque la decisione dell’Internazionale socialista di istituire una «giornata internazionale della donna» che venne poi fissata nell’8 marzo.
Il passaggio decisivo
Ad accelerare il percorso verso i pieni diritti contribuì l’evento decisivo del XX secolo, la prima guerra mondiale. Le donne furono in prima linea nel sostenere l’economia di guerra: lavorarono in massa nelle fabbriche dell’industria pesante (in primo luogo nelle fabbriche di armamenti) al posto degli uomini chiamati al fronte, divennero conducenti di tram e camion, riparatrici di impianti elettrici. Ebbero un ruolo importante anche al fronte: c’erano reparti femminili addetti alle comunicazioni, ai rifornimenti e soprattutto all’assistenza sanitaria. Crocerossine e infermiere (la «grande armata bianca») furono protagoniste su tutti i fronti di guerra.
Anche Marie Curie diede il suo contributo, operando come radiologa al fronte e organizzando la formazione di tecnici di radiologia.
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Per saperne di più sulle ricerche scientifiche di Marie Curie:
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Domande di comprensione:
Oltre a Marie Curie, quali altre figure femminili vengono citate nel brano? In che cosa eccellevano?
In che periodo gli intellettuali hanno cominciato a occuparsi direttamente della condizione femminile? Con quali risultati?
Quali furono le trasformazioni sociali che trasformarono in modo decisivo la condizione delle donne a cavallo tra Otto e Novecento?
Chi erano le suffragiste? Che cosa chiedevano?

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