Dopo aver passato quattro mesi in giro sul pianeta rosso, Curiosity, il veicolo-robot della Nasa, ha completato la prime analisi del suolo marziano. Minerali di origine vulcanica, acqua e qualche molecola organica. Ma della vita non c'è traccia.
«In questo momento, non abbiamo prove definitive dell’esistenza di materiale organico di origine marziana».
«In questo momento, non abbiamo prove definitive dell’esistenza di materiale organico di origine marziana».
Le parole di Paul Mahaffy rappresentano il momento clou della conferenza stampa del 3 dicembre scorso, in occasione della quale la Nasa ha annunciato i risultati della prima serie completa di analisi del suolo marziano operata da Curiosity, il robot che ormai da quattro mesi va a spasso sul pianeta rosso.
L’ente spaziale americano smentisce dunque le voci circolate sui media di mezzo mondo secondo le quali il rover a stelle e strisce abbia trovato molecole organiche precursori della vita. E lo fa per bocca del responsabile del Sample Analysis at Mars (Sam), il laboratorio in miniatura che si trova a bordo di Curiosity in grado di individuare molecole che contengono carbonio e sono così potenziali indicatori della presenza, anche passata, di forme di vita.
Vita! Anzi no
L’equivoco della scoperta di tracce di vita su Marte nasce circa un paio di settimane fa, a seguito delle dichiarazioni rese da John Grotzinger, uno dei principali ricercatori della missione e geologo del Caltech, a Npr, una radio americana. Interpellato sui dati relativi ai primi campioni di suolo marziano che la Nasa ha appena ricevuto, Grotzinger parla di «missione storica» ed elogia proprio il Sam, spiegando come faccia a rintracciare molecole organiche presenti nelle sabbie e nelle polveri raccolte. Forse Grotzinger si dilunga molto su questo punto; forse ci mette un po’ troppo entusiasmo. Sta di fatto che lettori e internauti, ma anche scienziati e giornalisti, pensano immediatamente che lo scienziato intenda dire che Curiosity ha effettuato una scoperta storica, trovando addirittura tracce biologiche, cioè di vita, su Marte.
Detta in questi termini, la notizia è di quelle bomba e rimbalza sulla rete a tal punto che i vertici Nasa decidono di smentirla prima ancora di rendere noti i dati delle analisi. Così il direttore del Jet Propulsion Laboratory (JPL), Charles Elachi, precisa che «il rover non è dotato di strumenti per trovare tracce biologiche, ma solo di quelli per riconoscere molecole organiche». Poi arriva la conferenza stampa del 3 dicembre, le parole di Mahaffy e quelle di molti altri scienziati che lavorano alla missione, fra i quali Grotzinger.
Sabbie, rocce e dintorni
Veniamo così a sapere che di scoperte Curiosity ne ha fatte eccome. Lo strumento Chemistry and Mineralogy (CheMin) ha rivelato che la composizione dei campioni della Rocknest, la vallata nella quale ha razzolato Curiosity, è per metà dovuta a minerali di natura vulcanica e per metà a materiali non cristallini come il vetro. Dai campioni analizzati dal Sam, gli scienziati hanno invece scoperto tracce di acqua (molecole legate a grani di sabbia) in quantità maggiore rispetto a quanto ci si aspettasse, e poi ancora ossigeno, anidride carbonica, anidride solforosa e derivati clorurati del metano, come il clorometano, il cloroformio, il diclorometano e il tetracloruro di carbonio. Questi ultimi rientrano proprio nella classe delle molecole organiche, ma da Washington precisano subito che non provengono necessariamente da processi biologici e soprattutto «potremmo averli trasportati dalla Terra noi con il rover».
Verrebbe quasi da dire molto rumore per nulla, ma dello stesso avviso non sono gli scienziati, che non tardano a definire storica la missione. D’altra parte, nei pochi mesi passati su Marte, Curiosity ha già scoperto tracce di un antico fiume superficiale e ha determinato che gli astronauti potrebbero sopravvivere alle radiazioni presenti sul pianeta. Tutto lascia pensare, insomma, che il robotino ce ne farà vedere davvero delle belle, perché la sua avventura durerà quasi per altri due anni e perché, come ha dichiarato John Grotzinger, «il secondo nome di Curiosity è pazienza.»