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Maurizio Parotto: applicare mappe di pericolosità

Maurizio Parotto sul terremoto emiliano: l’importanza della microzonazione sismica e di quelle leggi che troppo spesso non vengono applicate
leggi
Il terremoto del 20 maggio scorso non ha sorpreso tecnici, geologi e sismologi. La causa è da ricercarsi in uno spostamento verso est di una porzione dell’Appennino che si trova sepolta sotto i sedimenti della Pianura Padana e che, avanzando, produce delle compressioni. Dopo le voci di Gianluca Valensise e Romano Camassi, l’intervista a Maurizio Parotto. La forte scossa di domenica 20 maggio era un evento eccezionale? Malgrado il fiorire delle consuete teorie di complotto che tirano in ballo cause diversissime, Maya compresi, la risposta è «un secco no: la pianura padana, come gran parte dell’Italia è a rischio sismico, e non è una novità, per usare un eufemismo». Quali sono quindi le cause naturali di quest’ultimo terremoto? Dobbiamo modificare in qualche modo le attuali attuali mappe di pericolosità sismica? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Parotto, professore di scienze geologiche all’Università di Roma 3. Maurizio Parotto (M.P.): «Grazie anche alle ispezioni dell’AGIP in Pianura Padana, a partire dal secondo dopoguerra abbiamo una vera e propria radiografia della zona, i profili sismici hanno evidenziato diversi sistemi di faglie e le zone colpite si trovano appunto sulla verticale di una di queste, nota come Dorsale Ferrarese».

Localizzazione dellipocentro del terremoto nella Dorsale Ferrarese

Insomma un sisma come quello del 20 maggio è tutt’altro che eccezionale... M.P.: «Anzi, è un evento perfettamente in linea con gli studi sismologici che, come detto, per quell’area sono particolarmente approfonditi. Occorre tenere presente che il terremoto non è altro che uno degli effetti della liberazione di energia che si ha quando le rocce, dopo essere state deformate per tempi lunghissimi (anche milioni di anni), si spezzano creando una faglia. L’Appennino continua a evolversi per effetto della spinta delle masse continentali a causa dell’energia interna del pianeta, e questa evoluzione è necessariamente accompagnata dai terremoti. Del resto, sono pochissime le zone del pianeta che sembrano prive di attività sismica». Coi terremoti bisogna quindi imparare a convivere, ma come ci si può difendere? L’unico sistema è la prevenzione, ed esistono già tutti i mezzi per metterla in atto. M.P.: «Non possiamo, nella maniera più assoluta, prevedere in maniera deterministica il giorno, l’ora e il luogo di un terremoto, ma grazie a una mole enorme di dati, compresi quelli delle analisi storiche che hanno catalogato terremoti anche di secoli fa (si veda il Catalogo dei Forti Terremoti in Italia dal 461 a.C. al 1990), abbiamo previsioni statistiche, e siamo in grado di dire qual è il rischio sismico in una determinata zona. Per dare un’idea dell’importanza e dell’accuratezza di questo lavoro di indagine, oggi sappiamo che il 27 Novembre 1570, a Ferrara, si verificò un terremoto estremamente simile a quello del 20 maggio scorso.

Isosisme del terremoto di Ferrara del 1570, le linee uniscono i punti dove il terremoto di dove il terremoto ha avuto la stessa intensità secondo la scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg)

«Se guardiamo a alla classificazione sismica del territorio italiano, si vede appunto che l’area era già stata inclusa nella zona 3, questo significa che mediamente nella zona il picco di accelerazione al suolo riportato sulle mappe di pericolosità sismica (PGA, Peak Groung Acceleration), espresso in frazioni di g (ovvero l’accelerazione di grevità), è fra 1.150 0.150 e 0.175. Sismicità relativamente bassa, quindi. Ma anche un terremoto di modesta intensità (come in effetti è stato quello del 20 maggio) può causare gravi danni in assenza di misure adeguate. Nonostante i sismologi siano continuamente al lavoro sulla microzonazione sismica, che consente di prevedere gli effetti di un terremoto su scala locale (questi infatti risultano amplificati su determinati tipi di terreno), purtroppo l’Italia a differenza di altri paesi come gli Stati Uniti e il Giappone è drammaticamente arretrata in questo senso. Esistono già leggi sottoscritte da tutte le regioni italiane, ma pochissime, in particolare Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, si sforzano di metterle in atto». Che cosa si può fare? «Nel nostro paese manca totalmente una cultura della prevenzione, sia per quanto riguarda il rischio sismico che quello vulcanico: emblematico il caso dell’area del Vesuvio, dove continuano a sorgere abitazioni senza nemmeno prevedere vie di fuga dalle velocissime  e distruttive colate di piroclasti. Più che urlare i dati, i ricercatori non possono fare altro. Nonostante molto spesso sembra di trovarsi di fronte a un vero e proprio disinteresse riguardo a questi temi, sono convinto che l’unica strada percorribile sia nell’educazione di massa, a partire dalle scuole»

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