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Memorie digitali di una cellula

Cellula o computer? Ingegneri biosintetici del MIT di Boston hanno sviluppato circuiti genetici in cellula batteriche: questi networks non solo permettono alla cellula di svolgere semplici operazioni logiche, ma anche di "ricordarne" il risultato.
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Cellula o computer? Ingegneri biosintetici del MIT hanno sviluppato circuiti genetici in cellula batteriche: questi networks non solo permettono alla cellula di svolgere semplici operazioni logiche, ma anche di "ricordarne" il risultato.


Ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge (Boston, USA) hanno ricreato all’interno di cellule circuiti genetici in grado di funzionare, proprio come in un computer, secondo una sequenza logica: questi networks non solo permettono alla cellula di svolgere semplici operazioni logiche, ma anche di "ricordarne" il risultato. Lo studio, pubblicato sulle pagine della rivista Nature Biotechnology, rappresenta un vero e proprio balzo in avanti nel nuovissimo campo della biologia sintetica.

 

Ingegneri bio-sintetici dell'MIT hanno sviluppato circuiti genetici in cellula batteriche: questi networks non solo permettono alla cellula di svolgere semplici "operazioni logiche", ma anche di "ricordarne" il risultato (Immagine: Liang Zong and Yan Lian, MIT).


Biologia sintetica: lì dove l’informatica incontra la biologia
Il concetto alla base della biologia sintetica è che i geni possono essere considerati come i componenti di un circuito: in questo modo è possibile costruire moduli genetici che rispondono a stimoli esterni come se fossero microscopici computer.
Prendendo spunto dall’algebra di Boole, circuiti logici di questo tipo possono essere immaginati per diversi tipi di funzioni logiche, come ad esempio le funzioni “AND” o “OR”. Servendosi di questo tipo di funzioni, gli ingegneri informatici sono in grado di far operare i computer a notevoli livelli di complessità: perchè non provare, allora, a fare altrettanto con una cellula?
I ricercatori attivi nel campo della biologia sintetica ci lavorano da tempo e, assemblando sequenze geniche come in una funzione booleana, già in passato sono riusciti a controllare il comportamento di una cellula. Prendiamo l’esempio più semplice: un circuito può essere costruito in modo che solo quando la cellula riceve un certo stimolo si avrà la produzione di una proteina fluorescente (come la Green Fluorescent Protein o GFP). Se invece lo stimolo viene a mancare, automaticamente anche la produzione di GFP si interromperà.



Schema concettuale di come una funzione logica booleana (NAND) può essere applicata al controllo di una funzione cellulare (la produzione della proteina GFP) (Immagine: Siuti P. et al, Nat Biotech)

 

Operazioni logiche e memoria: nascita di una cellula computerizzata
É possibile far in modo che la cellula non solo esegua una certa funzione in modo logico (stimolo --> produzione di GFP), ma anche che se ne “ricordi”? Per rispondere a questa domanda, i ricercatori del MIT hanno progettato un circuito in cui l’incontro con un certo stimolo causi un’alterazione irreversibile del circuito stesso: in altre parole, una memoria a lungo termine di quanto accaduto. Per fare ciò, il gruppo di ricerca di Timothy K. Lu ha utilizzato i plasmidi, sequenze di DNA circolare spesso presenti nel citoplasma batterico. Nei batteri, i plasmidi veicolano geni che non codificano per funzioni fondamentali, ma conferiscono un vantaggio selettivo (ad esempio, la capacità di metabolizzare una certa sostanza).
Il punto di partenza sono stati 16 plasmidi: uno per ciascuna funzione logica del sistema binario. Ogni variante comprende al suo interno due elementi fondamentali: un promotore (la sequenza da cui prende avvio la trascrizione di una gene) e un terminatore (la sequenza di DNA in corrispondenza della quale la trascrizione ha fine). Il gene controllato da queste sequenze è quello che codifica per la GFP, una proteina fluorescente, facilmente individuabile dai ricercatori e ideale per monitorare gli effetti del “circuito logico”.
Ma nella descrizione di questo mini-computer cellulare manca ancora un elemento, il più importante: la ricombinasi batterica, un enzima che può tagliare pezzetti di DNA, reinserirli nel filamento o invertirne l’orientamento. L’attivazione in sequenza di questo enzima produce alterazioni irreversibili nel filamento di DNA e nel circuito logico di cui fa parte, lasciando una traccia tangibile del numero di volte in cui la cellula ha incontrato lo stimolo. La ricombinasi, attivata con un meccanismo ON/OFF (proprio come un interruttore), può infatti alterare le regioni del promotore o del terminatore con una ricaduta diretta sulla produzione di GFP. Nasce così una cellula che non solo è in grado di svolgere una funzione logica, ma ne mantiene il ricordo.

Le memorie digitali di una cellula
La maggior parte degli studi di biologia sintetica condotti fino ad oggi si è focalizzata su elementi in grado di decodificare forme basilari di memoria o di schemi logici. Ma questa è la prima volta che i due approcci vengono combinati insieme. Si tratta di un risultato che fa balzare il campo della biologia sintetica ad un livello mai raggiunto finora. Le cellule così riprogrammate, non solo sono in grado di svolgere determinate funzioni secondo un preciso schema logico, ma sono in grado addirittura di “ricordarne” il risultato. La sequenza di azioni logiche che la cellula intraprende quando incontra un certo stimolo lascerebbe una traccia nel DNA plasmidico: traccia che, insieme al DNA, può venire trasmessa alle generazioni successive, creando una memoria trasmissibile ai discendenti della cellula originaria.
Le applicazioni di una simile tecnologia sono tra le più svariate, soprattutto nel campo delle scienze ambientali. I moduli logici della cellula rappresentano, nelle parole del biologo sintetico dell’MIT Christopher Voigt: «Un sistema digitale e permanente di racchiudere informazioni nel DNA». Il sistema logico che collega i vari plasmidi tra di loro permetterebbe alla cellula di immagazzinare diversi tipi di esperienze, come in una e vera propria “memoria digitale”: in questa memoria rimarrebbe traccia, ad esempio, dei diversi tipi di ambiente esterno che la cellula si sia trovata ad affrontare e in quale ordine di tempo nel corso della sua vita, facendo di queste cellule degli ottimi sensori ambientali.
E quando la cellula muore? La memoria non verrebbe persa e l’informazione immagazzinata nel DNA della cellula potrebbe comunque essere recuperata dalle generazioni successive. I ricercatori sono stati in grado di ritrovare i plasmidi alterati fino a novanta generazioni successive: un vero e proprio diario delle esperienze di una cellula e di quelle che l’hanno preceduta.

In questo video, in inglese, un riassunto dei concetti base della biologia sintetica:

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