Nonostante le dichiarazioni negazioniste del neo-eletto presidente americano Donald Trump, la ratifica dell'accordo di Parigi mostra che il mondo ha intenzione di abbattere le emissioni di gas serra. Dopo 200 anni di sviluppo alimentato da combustibili fossili siamo però in preoccupante (e colpevole) ritardo. Il nostro intero sistema produttivo deve adeguarsi rapidamente e per questo molti ripongono grandi speranze nelle cosiddette tecnologie "verdi". Di questo tipo di ricerche si occuperà il Center for Sustainable Futures, laboratorio congiunto dell'Istituto italiano di tecnologia presso il Politecnico di Torino.
Il mondo dopo Parigi
lo scorso 10 novembre il professore di ingegneria chimica Guido Saracco ha presentato la strategia che guiderà i circa cinquanta ricercatori del centro di cui è coordinatore. Il mondo è ancora in massima parte alimentato da fonti fossili, ma stiamo assistendo a un boom delle fonti rinnovabili che dimostra come la transizione energetica sia già iniziata. Il problema è però molto più grande della sola produzione di energia elettrica: dobbiamo cambiare anche il modo in cui costruiamo (e smaltiamo) i beni di consumo. Serve, insomma, un approccio globale (e multidisciplinare) se vogliamo davvero abbattere rapidamente i livelli di CO2 in atmosfera, che hanno superato e ora sono stabilmente sopra le 400 parti per milione.
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E non c'è modo, ha ricordato Saracco, di violare le leggi fisiche: il modello di sviluppo ancora prevalente non è sostenibile. In questo scenario la decrescita invocata anche da papa Francesco non sembra un'idea particolarmente eretica, anche perché i dati mostrano che un elevato consumo di risorse non corrisponde a un elevato benessere. Tuttavia quello che alcuni chiamano decrescita, per altri è semplicemente un nuovo modello di sviluppo, quello definito sostenibile. Il ruolo della ricerca applicata e dell'università deve essere quindi quello di guidare un cambio di paradigma rispetto all'utilizzo delle risorse finite del nostro pianeta.
CO2 come materia prima
Una delle ambizioni più alte del nuovo centro di ricerca è quella di trasformare la causa del nostro più grande problema in una risorsa: se fosse possibile estrarre dall'atmosfera il diossido di carbonio e utilizzarlo come materia prima, riusciremmo ad accelerare la decarbonizzazione dell'atmosfera. Ma che cosa potremmo fare con questa CO2? Per esempio combustibili a emissioni "neutre", ma anche farmaci e materiali ecosostenibili che, un giorno, potremo forse utilizzare nella nostre stampanti 3D per farci in casa oggetti personalizzati. Dalla fotosintesi artificiale ai batteri spazzini, dal fotovoltaico di nuova generazione alle celle a combustibile microbiche, gli scienziati del Center for Sustainable Futures sanno di doversi ispirare alla natura per risolvere i problemi legati ai cambiamenti climatici.
Blue Economy
Non si tratta però di dare la caccia a una singola tecnologia in grado di salvarci, per cambiare le cose è fondamentale creare un "ecosistema" in cui le innovazioni più sostenibili possono moltiplicarsi e diffondersi su larga scala. Questo "ecosistema" ha l'aspetto della Blue Economy proposta dall'imprenditore Gunter Pauli, secondo il quale è necessario usare le risorse locali e far cooperare le industrie in modo che gli scarti di un processo produttivo diventino la materia prima di un altro. La più grande lezione della natura, dopotutto, è che non esistono sprechi: anche in Italia è già possibile creare simbiosi industriali che funzionano proprio in questo modo, ed è proprio a partire da realtà come queste che gli scienziati del CSF intendono sperimentare sul campo i loro risultati.
Il dubbio alla fine non è se le nuove tecnologie avranno un ruolo nella mitigazione dei cambiamenti climatici o se cambierà la nostra economia, ma se come società sapremo agire per rendere il cambiamento sufficientemente rapido.
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Immagine in apertura e box: grab via Youtube