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Nessun invito a ballare

Molte donne in carriera nel mondo accademico scientifico sono giovani, brillanti e risolute. Ricevono riconoscimenti per il loro lavoro e sono molto apprezzate nel loro campo. Eppure, in uno speciale che Nature dedica alla discriminazione di genere, ammettono di provare a volte la sensazione di essere a una festa e di non essere invitate a ballare da nessuno. E questo perché vengono escluse dal partecipare alle commissioni scientifiche o dai ruoli lavorativi di maggiore responsabilità.
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Molte donne in carriera nel mondo accademico scientifico sono giovani, brillanti e risolute. Ricevono riconoscimenti per il loro lavoro e sono molto apprezzate nel loro campo. Eppure, in uno speciale che Nature dedica alla discriminazione di genere, ammettono a volte di provare la sensazione di essere a una festa e di non essere invitate a ballare da nessuno. Perché vengono escluse dalle commissioni scientifiche o dai ruoli di maggiore responsabilità.

Quello delle commissioni scientifiche è un mondo a parte: meno evidente rispetto a un ruolo cattedratico, riguarda comunque il riconoscimento del proprio valore lavorativo in un gruppo di pari. Ecco perché quando Nancy Hopkins, biologa molecolare del MIT, per la prima volta distrattamente fece un resoconto del numero di donne presenti in 12 commissioni del MIT pensava di sbagliarsi. Di 129 membri solo 6 erano di sesso femminile. Da quel momento la biologa si è occupata del delicato argomento delle “donne nella scienza”, al quale Nature ha dedicato in questi giorni uno speciale.

Imbarazzo da tappezzeria
Prendendo in considerazione un campione più vasto, includendo università all’avanguardia come Harvard e Cambridge negli Stati Uniti, i dati raccolti dalla Hopkins non erano comunque più confortanti: di 14 commissioni scientifiche di aziende nate da spin-off accademici, la rappresentanza femminile si fermava al 5%. E il problema non sembra essere solo statunitense: uno studio condotto dalla Royal Society di Edimburgo ha messo in evidenza che lo stesso vale anche per le commissioni britanniche. «Alla fine queste storie sono tristi», dice la Hopkins, che ha intervistato alcune delle sue colleghe. «Sanno di essere escluse, e anche che è dannoso per la loro professione. Si sentono imbarazzate a parlarne. È come non essere invitate a ballare», aggiunge.

Senso di appartenenza
I dati dei diversi studi presi in considerazione in questo studio mettono tutti in evidenza che le donne faticano a raggiungere ruoli emergenti, per esempio la National Science Foundation statunitense ha rilevato che, nonostante i post-doc in ingegneria siano per il 50% di sesso femminile, solo il 5% dei professori è donna. Nel percorso di crescita all’interno del mondo accademico, a un certo punto le donne si fanno da parte (o vengono messe da parte). In un altro studio spagnolo infatti si è visto che a parità di età, esperienza lavorativa e pubblicazioni, gli uomini avevano una possibilità più che doppia rispetto alle colleghe di ottenere una cattedra. Si è voluto quindi studiare che cosa succede a questo punto della vita lavorativa, e si è scoperto che per le donne un calo di autostima, e l’abbandono delle proprie ambizioni, sia dovuto spesso alla mancanza di modelli da seguire. La Royal Society of Chemistry, per esempio, ha rilevato che le studentesse di chimica dimostrano rispetto ai colleghi una peggiore autostima e una maggiore insoddisfazione nei confronti dei loro mentori. Hanna Valantine, presidente della “leadership and diversity” alla Stanford School of Medicine (California), ammette: «Tutte le studentesse consciamente o inconsciamente pensano che la carriera accademica non faccia per loro perché non vedono persone come loro in quei ruoli. Questo senso di non appartenenza è molto, molto potente».


Numero di donne presenti nelle principali facoltà scientifiche dall’anno accademico 2003-4 al 2009-10 (Fonte: Women in Science, Technology, Engineering and Mathematics: A Strategy for Scotland, Royal Society of Edinburgh, 2012)

La progressiva diminuzione di presenza di donne durante la carriera accademica. (Fonte: Women in Science, Technology, Engineering and Mathematics: A Strategy for Scotland, Royal Society of Edinburgh, 2012)

 

Le evidenze e i buoni propositi
Molti tentativi fatti finora per ridurre la discriminazione di genere sono stati oggetto di scetticismo: vale per le commissioni pari opportunità o per le cosiddette liste rosa. Un’arma determinante però è proprio rappresentata dalla continua raccolta di dati concreti, nello spirito dell’evidenza scientifica. In alcuni casi questo coincide con l’ammissione dei propri pregiudizi, magari proprio di chi si trova nella posizione di dover scegliere ruoli accademici importanti. Jo Handelsman, microbiologa dell’Università di Yale, ha usato infatti un’astuzia: ha chiesto a 127 professori di biologia, chimica e fisica di scegliere tra due candidati fittizi di sesso opposto (Jennifer e John) per una posizione di manager di laboratorio. Nonostante i curriculum vitae dei candidati fossero identici, i professori avrebbero assegnato in media uno stipendio annuale inferiore di 4.000 dollari a Jennifer rispetto a John. Mettere davanti le persone che hanno potere decisionale a queste evidenze, continuare a raccogliere dati, potrebbe aiutare nel tempo a cambiare questa mentalità discriminatoria. Di conseguenza più donne potrebbero essere presenti ai vertici e più studentesse si farebbero coraggio delle proprie possibilità.

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