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Alla scoperta di una nuova anatomia cellulare

Nanotubi, carbossisomi, purinosomi: sono solo alcune delle nuove strutture scoperte all’interno delle cellule. Dobbiamo cominciare a guardare alle cellule con occhi nuovi? È giunto il tempo di riscrivere i manuali di biologia cellulare?
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Nanotubi, carbossisomi, purinosomi: sono solo alcune delle nuove strutture scoperte all’interno delle cellule. Dobbiamo cominciare a guardare alle cellule con occhi nuovi? È giunto il tempo di riscrivere i manuali di biologia cellulare?
Quella di osservare preparati cellulari sotto la lente di un microscopio è un’arte che in molti considerano obsoleta, un modo vintage di fare ricerca. Eppure, in un’epoca in cui gli sforzi dei ricercatori si concentrano sempre più sugli aspetti funzionali, le cellule hanno ancora molto da insegnarci su quella che è la la loro architettura interna: un groviglio di organelli, filamenti e molecole di cui solo ora si sta iniziando a carpirne i segreti. La rivista Nature dedica a queste strutture un’indagine, un compendio delle scoperte degli ultimi decenni: è forse giunto il tempo di riscrivere i manuali di biologia cellulare?
Nanotubi: autostrade citoplasmatiche
I nanotubi sono senza dubbio una delle nuove strutture cellulari che più ha sorpreso i biologi cellulari negli ultimi anni. Si tratta di canali citoplasmatici ricoperti da membrana che mettono in connessione cellule anche a distanze ragguardevoli. Queste strutture sono così lineari (sembrano letteralmente tracciate con un righello!), che per molto tempo si è sospettato che si trattasse di semplici artefatti dovuti alla preparazione dei campioni.
Un nanotubo che si estende da una cellula all’altra (Immagine: Wikimedia Commons)
I nanotubi potrebbero svolgere il ruolo di canali di informazione: trasportando molecole e piccoli organelli cellulari, permetterebbero a cellule non adiacenti di comunicare tra di loro. Queste strutture sono state studiate soprattutto nelle cellule del sistema immunitario (dove si pensa che contribuiscano a trasmettere segnali importanti anche per l’eliminazione di cellule tumorali), ma nuove evidenze suggeriscono che questi canali potrebbero entrare in gioco anche nel trasporto di agenti infettivi (HIV e prioni) e nella migrazione cellulare.
Gli interrogativi sui nanotubi sono però ancora molti: rimane infatti da dimostrare che si tratti di canali effettivamente «aperti» e quindi abili al trasporto di organelli. Finora i nanotubi sono stati studiati in colture cellulari: la sfida futura è quella di dimostrare la loro esistenza e la loro funzione in organismi viventi.
Purinosomi: catene di montaggio del metabolismo cellulare
Per quanto minuscola, l’interno di una cellula è un intricato groviglio di molecole e strutture. Eppure le sue funzioni metaboliche non sembrano risentire di questo affollamento molecolare, con i processi metabolici in grado di funzionare velocemente ed efficientemente, senza soluzione di continuità. I ricercatori si sono a lungo interrogati come il metabolismo cellulare potesse essere così infallibile nonostante il groviglio molecolare in cui avviene: l’organizzazione spaziale degli enzimi coinvolti in una certa reazione permetterebbe però di rendere il processo più sequenziale, con le molecole passate di mano in mano da un enzima all’altro.
Gruppi di purinosomi formatesi in cellule HeLa in carenza di nutrienti (Immagine: S. An et al. Science 320, 103–106, 2008)
Una simile organizzazione a «catena di montaggio» è stata scoperta da ricercatori della Pensnylvania State University per enzimi coinvolti nella sintesi di precursori dei nucleotidi purinici, i componenti di RNA e DNA. In carenza di purine, la cella assembla questi enzimi in complessi chiamati, per l’appunto, purinosomi. Tra i prodotti dei purinosomi, che tendono ad aggregarsi su una fitta rete di microtuboli, vi sono i precursori dell’ATP, la moneta di scambio energetico della cellula. I purinosomi potrebbero quindi essere un modo per produrre rapidamente energia lì dove serve, sui filamenti di microtubuli che assistono il trasporto di molecole ed organelli all’interno della cellula.
Esosomi: molto di più di sacchetti dell’immondizia
Si tratta di minuscoli sacchettini racchiusi da una membrana: si trovano all’interno della cellula ma, come suggerisce il nome, il loro destino è quello di venire espulsi all’esterno, attraverso la fusione reciproca della loro membrana con quella cellulare. Scoperti negli anni Ottanta, gli esosomi sono stati snobbati a lungo e considerati per lo più alla stregua di sacchetti dell’immondizia che la cellula accumula e per poi liberarsene.
Un accumulo di lisosomi all'interno di una cellula (Immagini: B.-T. Pan et al. J. Cell Biol. 101, 942–948, 1985)
Questi organelli sono poi risorti a nuova vita scientifica quando nel 1996 un gruppo di ricercatori francesi dimostrò che gli esosomi di linfociti B (cellule del sistema immunitario) permettevano di mettere allo scoperto alcuni frammenti proteici derivati da patogeni: un meccanismo utile per “svegliare” il sistema immunitario in caso di infezione. Come se non bastasse, nel 2007 altri ricercatori hanno mostrato che alcuni esosomi traghettano al di fuori della cellula filamenti di mRNA che possono essere raccolti e trasformati in proteine in cellule vicine.
Quello degli esosomi potrebbe essere quindi un raffinatissimo sistema di comunicazione tra cellule adiacenti. I ricercatori stanno ora pensando come sfruttarlo: gli esosomi potrebbero rivelarsi utili, ad esempio, per veicolare farmaci nei tessuti riducendo al massimo gli effetti collaterali oppure il loro contenuto potrebbe contenere informazioni utili per la diagnosi di tumori.
Citofidi: serpentelli in giro per la cellula
Chi ha scoperto questi filamenti deve aver immediatamente pensato ad un groviglio di rettili, tanto da battezzarli citofidi (cytoophidia in inglese), un termine derivato dal greco che significa proprio serpenti cellulari. Questi filamenti permettono di agganciare insieme centinaia o addirittura migliaia di enzimi: uno di questi è l’enzima CTP-sintasi, importante per la sintesi del DNA e dell’RNA. L’idea è che questi filamenti possano permettere alla cellula di attivare – o disattivare – in massa certi gruppi di enzimi: se gli enzimi raggomitolati in un filamento sono inattivi, la cellula potrebbe attivarli in massa semplicemente dissolvendo il filamento che li racchiude.
Citofidi (in verde) in una cellula di D. melanogaster (Immagine: MRC functional genomics unit)
In alcuni batteri, questi filamenti sembrano avere anche un ruolo strutturale, in un modo che ricorda da vicino i filamenti di actina del citoscheletro di cellule eucariotiche. Ad esempio, nel batterio Caulobacter crescentus, i citofidi contribuiscono a mantenere la curvatura che conferisce loro la caratteristica forma di una virgola: un esempio affascinante della capacità della cellula di economizzare le proprie risorse, utilizzando uno stesso elemento a fini sia strutturali che metabolici.
Carbossisomi: centraline metaboliche racchiuse dentro poliedri
Anche le cellule batteriche, nella loro semplicità, sembrano avere in serbo sorprese per i ricercatori. Ne sono un esempio alcune forme di micro-compartimentalizzazione, chiamate carbossisomi. La loro struttura ricorda i capsidi di alcuni virus, con la differenza che al loro interno vengono racchiusi enzimi importanti per rezioni quali la conversione di diossido di carbonio in forme utilizzabili per il metabolismo cellulare. I carbossisomi hanno strutture poliedriche regolari, con le facce del poliedro disegnate da “piastrelle “ esagonali: queste piastrelle hanno un foro al centro, probabilmente per consentire il passaggio di molecole. Racchiudendo gli enzimi in compartimenti separati, gli involucri consentirebbero alle reazioni di avvenire in modo più efficiente e, allo stesso tempo, di isolare molecole tossiche dal resto della cellula.
Immagini al microscopio elettronico di carbossisomi rinvenuti all'interno del batterio H. naepolitanus (Immagine: Wikimedia Commons)
Analogamente a quanto sta accadendo per gli esosomi, i ricercatori stanno ora cercando un modo per sfruttare le capacità metaboliche di questi microcompartimenti cellulari, ad esempio impacchettandoli di enzimi in grado di produrre bio-combustibili.

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