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Oceani di plastica

Quanta plastica c’è nei mari del pianeta? Secondo gli oceanografi molto di più di quanto si poteva immaginare.
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Quanta plastica c’è nei mari del pianeta? Secondo gli oceanografi molto di più di quanto si poteva immaginare.

La maggior parte delle plastiche di largo consumo, cioè la frazione che più contribuisce all’inquinamento, tende a galleggiare, ed è negli strati più superficiali che quindi si sono concentrati gli studi, anche perché è lampante il devastante effetto che una semplice busta di plastica può avere sulla fauna marina. Ma la plastica superficiale, purtroppo, è solo una parte del problema. Questi materiali cominciano una degradazione chimica e meccanica in grado di ridurli gradualmente alle loro componenti più fondamentali, pronte per l’ingresso nelle reti trofiche.

Frammenti di plastica trovati in un campione di acqua (Immagine: Sea Education Association)

Finora però mancavano riferimenti per comprendere la portata del fenomeno, ed eventualmente prevederne l’evoluzione: è qui che entrano in gioco i ricercatori della University of Washington, University of Delaware, Sea Education Association e Eckerd College che, basandosi su campioni prelevati nel 2010 durante una spedizione nel Nord Atlantico fino a una profondità di 30 metri, hanno costruito un modello, ora descritto in una recente pubblicazione su Geophysical Research Letters. Il dato più allarmante è appunto quanto sottostimiamo la quantità di plastica penetrata nei nostri oceani basandoci sui soli campionamenti superficiali. I ricercatori hanno infatti calcolato che, a seconda dell’influenza del vento sulla zona, la reale quantità di materiale in sospensione può essere addirittura ventisette volte superiore nelle zone con venti forti, e nella media totale si stima un difetto di almeno due volte e mezzo rispetto al dato reale.

Solo il primo passo
Come afferma l’oceanografo Giora Proskurowski, che ha guidato la ricerca «Questo è solo il primo passo», poiché è necessario, con l’aiuto di tutti, tarare adeguatamente il modello in modo da renderlo più solido, soprattutto nella prospettiva di utilizzarlo per studiare gli effetti di questo inquinamento, e le contromisure da adottare. Il team sta anche lavorando a un modello semplificato, che possa essere utilizzato, e sviluppato, anche da chi non ha una formazione oceanografica.

Per questo, secondo Proskurowski, è anche fondamentale comunicare correttamente queste ricerche: «ciò che serve alla scienza è che si costruisca la fiducia che gli scienziati hanno dalla loro solidi dati e che le istituzioni non stanno prendendo decisioni basandosi sui servizi della CNN. Le frequenti descrizioni della cosiddetta 'Grande chiazza di immondizia nel pacifico' nei servizi televisivi possono aver portato i cittadini a immaginare una gigante e densa isola di rifiuti, quando in realtà la chiazza è composta materiale millimetrico disperso nell’acqua».

In questo video curato dal NOAA la spiegazione di come arriva al mare e si diffonde la spazzatura

Per un veloce «ripasso» sulla plastica nei mari e i rischi a essa collegati, a questo link sono disponibile delle faq curate dalla Sea Education Association, grazie alla quale è stata realizzata la missione del 2010 che ha portato al nuovo modello.

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