Le strutture di BICEP 2 nei pressi della stazione Amundsen-Scott, in Antartide (immagine: BICEP 2 collaboration)
Una delle protagoniste di questa storia è senza dubbio la radiazione cosmica di fondo (CMB), la luce più lontana nello spazio e nel tempo che possiamo immaginare. Per tracciarne l’identikit, dobbiamo catapultarci per un attimo indietro nel tempo, tornando 380 mila anni dopo il Big Bang. A quell’epoca l’universo ha una temperatura di circa 3 mila gradi e somiglia a una zuppa densa di protoni, elettroni e fotoni che interagiscono tra loro. Mano a mano che si espande, tuttavia, la sua temperatura diminuisce, e i fotoni non hanno più energia sufficiente a impedire la formazione degli atomi più semplici. Così, quando i protoni e gli elettroni si uniscono a formare atomi di idrogeno, i fotoni di questa zuppa cosmica primordiale riescono per la prima volta a propagarsi liberamente: l’universo, che fino a quel momento è stato una sorta di nebbia opaca, diventa come si dice in gergo "trasparente" alla radiazione.
Queste onde luminose, che rappresentano la prima luce del cosmo, permeano da allora tutto l’universo, ma potrebbero conservare la traccia di quello che è avvenuto prima, quando tutto era buio e invalicabile. Una di queste tracce è l’anisotropia della CMB, e ne siamo al corrente ormai da più di vent’anni grazie alle mappe disegnate prima dal satellite COBE, e poi dai telescopi spaziali WMAP e Planck. Si tratta di piccole fluttuazioni di temperatura che a loro volta corrispondono a regioni dell’universo primordiale con leggere differenze di densità di materia. Oggi sappiamo che questi “punti caldi” costituiscono i semi originari di tutte le strutture osservabili nel cielo attuale, dagli ammassi di galassie alle stelle.
Mappa della radiazione cosmica di fondo ottenuta dalla missione Planck: ecco come era fatto l'universo 380 mila anni dopo il Big Bang (immagine: ESA/Planck Collaboration)
Che ci fosse anche una seconda traccia del passato remoto dell’universo nascosta nella CMB, lo abbiamo saputo invece appena due giorni fa. Il gruppo guidato da Kovac ha infatti misurato la direzione della polarizzazione della radiazione cosmica di fondo, scovando quelli che tecnicamente vengono chiamati “modi B” del pattern di polarizzazione. L’interesse dei cosmologi per questa componente di polarizzazione della CMB sta nel fatto che a imprimerla sono state le onde gravitazionali primordiali previste dai modelli inflazionari. Proprio quelle, cioè, che si sarebbero prodotte negli istanti immediatamente successivi al Big Bang.
Nella mappa puoi osservare il pattern di polarizzazione della CMB rivelato di BICEP 2. I bastoncini mostrano la direzione della polarizzazione della radiazione cosmica di fondo: il loro orientamento dipende dalla presenza delle onde gravitazionali (Harvard/CfA)
I risultati annunciati a Boston costituirebbero in altre parole la prima evidenza sperimentale dell’inflazione, la fase immediatamente successiva al Big Bang durante la quale, come suggerisce il nome, l’universo si è gonfiato repentinamente e a dismisura come se fosse un palloncino. Per capire l’importanza di questo lavoro, potremmo dire che la misura degli effetti delle onde gravitazionali primordiali sulla radiazione cosmica di fondo sta al modello standard della cosmologia come la scoperta del bosone di Higgs sta a quello delle particelle.
Ma forse la rilevanza di questo risultato va anche oltre la scoperta celebrata a Ginevra, perché, a quanto pare, l’inflazione dell’universo deve essere stata un maremoto gravitazionale di intensità imprevista: il valore dedotto da BICEP 2 per l’ampiezza delle onde, infatti, è pari al doppio di quello stimato dai modelli. I prossimi anni si profilano così davvero interessanti, perché se da un lato i cosmologi hanno avuto conferma che la strada intrapresa fosse quella giusta, dall’altro sanno anche che dovranno ancora aggiustare la rotta.
Ora i risultati annunciati a Boston attendono il vaglio della comunità scientifica internazionale. Se verrà confermata da esperimenti indipendenti, quella del gruppo statunitense si candida a essere senza dubbio una delle scoperte più importanti del secolo, se non addirittura la più importante, come da più parti l'hanno già definita. Quel che è certo è che un server sovraccarico non è bastato a fermare l’onda d’urto di una notizia che, c’è da scommetterci, è giunta forte e chiara anche dalle parti di Stoccolma.