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One Life, un documentario BBC

Le strabilianti sequenze visive della serie documentaristica Life rivivono sul grande schermo, per un'ottima causa. Ma le metafore rovinano un po' lo spettacolo e, forse, non è sempre necessario semplificare i meccanismi della natura per renderli godibili
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Il 19 e il 21 novembre scorsi alcune sale cinematografiche hanno proiettato un film un po’ diverso dal solito: One Life. Si tratta di un film-documentario ottenuto montando sequenze della serie televisiva Life prodotta da BBC. Il programma, inaugurato nel 2009 e ancora in corso, è un’impresa documentaristica titanica: tre anni di lavorazione, milioni di sterline di budget, con sceneggiatura e narrazione (nella versione britannica) del veterano del documentario televisivo David Attemborough. Per le tecniche di ripresa si è fatto ricorso allo stato stato dell'arte, riuscendo così a ottenere sequenze senza precedenti. Non poteva che essere un successo sia di critica che di pubblico.

La locandina del film

I limiti dell’operazione
Se il film doveva condensare in poco meno di un’ora e mezza una serie nella quale ogni episodio dura 50 minuti, senza perdere di coerenza e contenuto, il risultato è riuscito solo in parte. Infatti, se nella serie la straordinaria qualità delle riprese è un (grande) valore aggiunto, qui è è l’alta definizione la vera protagonista, e la comprensione della natura cede, un po’ troppo, il passo al semplice incanto visivo. La narrazione del film, che in italiano è stata affidata al cantante Mario Biondi, dà ben poco contesto a quello che accade sullo schermo. Ad esempio sentire che «il» coleottero (senza ulteriore specificazione) ingaggia battaglie per corteggiare la femmina è un po’ riduttivo rispetto alla complessità della natura: sapere che esistono grossomodo 400.000 specie dell’ordine Coleotteri (dei quali solo alcuni hanno un corteggiamento di questo tipo), questo sì, è stupefacente. A questo proposito, J. B. S. Haldane, pioniere della genetica di popolazione scrisse che «Il Creatore sembrerebbe, da un lato, appassionato di stelle, dall’altro di coleotteri», tante sono le prime e i secondi.

Sempre per quanto riguarda la comunicazione della complessità del mondo naturale, oltre che della sua bellezza, è caratterizzato da uno sbilanciamento a favore dei Mammiferi, una classe tutto sommato piccola all’interno dell’ordine Vertebrati. Il numero di quest’ultimi, poi, a sua volta impallidisce rispetto a tutto il resto dei viventi, che nell’economia della riduzione cinematografica risultano in secondo piano. Per esempio, l'unica pianta che non fa da scenografia e della quale sentiamo parlare è una pianta carnivora, la Venere acchiappamosche (Dionaea muscipula). La serie televisiva, al contrario, ha dedicato un'intera puntata al mondo vegetale.

Antropomorfizzazione?
Nelle parole di di Tennyson la natura è poi rossa nei denti e negli artigli, dal punto di vista naturalistico significa che non è né buona né cattiva, ma che di fatto non è altro che un eterno ciclo di nascita e morte, non spietato ma indifferente. Ed è quindi sconcertante che, anche tenendo conto dell’audience che comprende minori, le sequenze di caccia (ma, stranamente, solo quelle che che coinvolgono i mammiferi) il più delle volte terminino convenientemente quando arriva il momento più cruento.

Dettagli che fanno pesare ancor di più il bias frequente in molti (troppi) documentari dove, con la scusa della metafora, si antropomorfizzano gli esseri viventi e la natura nel suo insieme. Non è vero che la piovra si «sacrifica» per suoi piccoli, perché per accudire le uova smette di mangiare e muore poco dopo la loro schiusa: l’evoluzione ha semplicemente premiato una strategia riproduttiva dove il ciclo vitale dell’animale (non chiamatela mamma piovra!) termina alla prima riproduzione. E la piovra è uno solo dei moltissimi esempi: non c'è nulla di nobile o altruistico, è solo uno dei tanti modi con cui le informazioni genetiche passano da una generazione all'altra.

Belle immagini, poco più
Antropocentrismo a parte, si fa sentire anche la mancanza di un filo conduttore: mente nell’acclamato film-documentario Microcosmos, altrettanto visivamente innovativoimmagini e musiche, senza alcun narratore, riuscivano a raccontare la storia del popolo dell’erba, con One Life spesso si ha l'impressione di trovarsi di fronte a una semplice giustapposizione di spezzoni scelti più per spettacolarità e potenziale di immedesimazione per lo spettatore che per altro.

Insomma dalla TV al cinema il distillato è un po’ troppo zuccherino dal punto di vista naturalistico e l'HD è un palliativo appena sufficiente, ma l'impresa non era facile né si può negare che tutte queste riflessioni sorgono all'uscita dalla sala, poiché all'interno gli occhi rimangono spalancati e le orecchie attente, non tanto al commento audio quanto alle esclamazioni estasiate dei più piccoli.

Una ragione in più vedere questo film, purtroppo a limitatissima distribuzione, era che, grazie al lavoro di WWF Italia, una parte dell’incasso è stata donata al progetto WWF Green Heart of Africa, dedicato alla salvaguardia del Bacino del Congo, minacciato da deforestazione e bracconaggio.

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