Planck è un satellite dell’Agenzia Spaziale Europea lanciato nello spazio nel maggio 2009 per trovare risposta a una domanda ambiziosa: come si è evoluto l’Universo? Il satellite non ha deluso le aspettative e, dopo 30 mesi di analisi e scansioni, ha inviato sulla Terra grosse quantità di dati che sono oggetto di continue analisi. Un nuovo aggiornamento su queste informazioni, pubblicato su Astronomy and Astrophysics, avanza un’ipotesi che sta entusiasmando studiosi e appassionati: le stelle potrebbero essere più giovani del previsto di circa 100 milioni di anni.
La radiazione cosmica di fondo
Com’è stato possibile risalire all’età delle stelle? La fonte maggiore di informazioni è la radiazione cosmica di fondo, una sorta di luce “fossile” proveniente dalle fasi iniziali della formazione dell’Universo (per approfondire, leggi il nostro Come te lo spiego sulla Radioastronomia). Nonostante lo spazio tra le stelle appaia nero se visto con un normale telescopio ottico, un radiotelescopio è in grado di rilevare una debole radiazione cosmica con densità maggiore nella regione delle microonde dello spettro elettromagnetico.
Perché questa radiazione è cosi importante per avere informazioni sulla nascita delle stelle? Nei suoi primissimi istanti di vita, subito dopo il Big Bang, l’Universo era formato da una “zuppa” calda e densa fatta principalmente di elettroni e protoni. Proprio a causa di questa altissima densità, i fotoni si “scontravano” di frequente con gli elettroni tanto da non trovare lo spazio per diffondersi e rimanere intrappolati in una sorta di nebbia primordiale. D’altra parte gli elettroni, proprio a causa di queste continue collisioni, non potevano legarsi ai protoni per dar vita ai primi atomi.
Con il passare del tempo e l’espandersi e il raffreddarsi dell’Universo, queste collisioni tra elettroni e fotoni divennero meno frequenti. Da un alto, quindi, gli elettroni si legarono finalmente ai protoni per originare i primi atomi e, dall’altra, i fotoni trovarono lo spazio necessario per iniziare il loro viaggio nello spazio ed uscire dalla “nebbia” cosmica. Erano passati appena 380.000 anni dal Big Bang e quella luce “fossile", che conserva l'immagine dell'Universo primordiale, è la stessa che è arrivata fino a noi e che il satellite Planck ha captato sotto forma di radiazione cosmica di fondo. Ma non è tutto. Planck è stato in grado di captare anche la polarizzazione della radiazione cosmica di fondo, cioè la direzione preferenziale del suo movimento vibratorio, importante “memoria” dell’ultimo incontro tra fotoni ed elettroni prima dell’inizio del loro lungo viaggio e memoria, quindi, dello stato dell’Universo nel momento in cui ebbe origine la luce.
Mappa della polarizzazione della radiazione cosmica di fondo (immagine: ESA and the Planck collaboration)
La reionizzazione è più recente del previsto
La polarizzazione misurata da Planck potrebbe rispondere a una domanda fondamentale per la cosmologia: quando si sono formate le stelle? Quando, cioè, è iniziala l’epoca della “reionizzazione”? Subito dopo il rilascio della radiazione cosmica di fondo l’Universo ha vissuto una lunga era “buia” (nota con il nome di dark age), caratterizzata dall’assenza di stelle. Con la formazione della prima stella, e la conseguente fine del buio, i fotoni ad alta energia rilasciati interagirono con gli atomi presenti nel cosmo scindendoli nuovamente in protoni ed elettroni. Gli elettroni liberati durante questa periodo, definito appunto di “reionizzazione”, si scontrarono nuovamente con la radiazione cosmica di fondo lasciando un segno indelebile nella sua polarizzazione. Questo segno, per l’appunto, è quello registrato da Planck e rappresenta l'impronta necessaria agli scienziati per capire quando è avvenuto questo processo e, quindi, quando sono nate le prime stelle.
Secondo le ultime analisi pubblicate, la fine dell’epoca “buia” e quindi la nascita della prima stella, risalirebbe a circa 550 milioni di anni dopo il Big Bang, circa 100 milioni di anni dopo quanto riportato da misure precedenti (quelle fornite da WMAP, il primo satellite a fornire una mapa della radiazione di fondo). Una ridatazione che potrebbe sembrare minima rispetto all'età complessiva dell'Universo, circa 14 miliardi di anni, ma che è di grande rilevanza scientifica per ricostruire la storia della formazione dei corpi celesti. La conferma definitiva di questa scoperta si avrà tra circa un anno, con la pubblicazione di nuove misurazioni. Nel frattempo Planck potrebbe fornire altri importanti tasselli per ricostruire aspetti del nostro Universo tuttora oscuri. I dati raccolti dal satellite, infatti, riguardano anche i campi magnetici della nostra galassia e la composizione dell'Universo nei suoi primi istanti, compresa la tanto discussa materia oscura. Le prossime analisi, quindi, potrebbero rivelare altre sorprese "cosmiche".
Tutte le immagini: ESA, Plank Mission