Un nuovo studio ci dice che anche se i mari si stanno scaldano a causa del cambiamento climatico, per fortuna il plancton è dalla nostra e assorbe moltissima CO2. Ma non tutti sono d'accordo con questa interpretazione e, anzi, i dati dei ricercatori sono preoccupanti.
Negli ’30 del secolo scorso l’oceanografo Alfred C. Redfield fece una scoperta che di lì in avanti sarebbe diventata un punto di riferimento per gli ecologi: il plancton superficiale e le profondità oceaniche avevano lo stesso rapporto tra Carbonio, Azoto e Fosforo (C:N:P), e questo rapporto era 106:16:1. Il Rapporto Redfielfd, come è diventato noto, era costante nelle acque profonde mentre nel fitoplancton aveva in realtà dei margini di variazione, che dipendevano anche dalle specie analizzate e dal contesto ambientale (ad esempio, la presenza di fonti inquinanti). Una nuova ricerca da poco pubblicata su Nature Geoscience complica un po’ le cose: il Rapporto Redfield in realtà può deviare anche di molto dallo standard e non lo fa a caso, bensì secondo un gradiente latitudinale. Tirando le somme, dove le acque sono più fredde ricche di nutrienti il rapporto è 78:13:1, nelle zone calde ricche di nutrienti (in presenza di upwelling, cioè una risalita di acque profonde cariche di nutrienti) 137:18:1, mentre in quelle più calde e povere di nutrienti il rapporto sale addirittura a 195:28:1. Anche le specie, come indicato da alcuni studi precedenti, cambiano: alle alte latitudini nel fitoplancton dominano i cianobatteri, nelle acque calde gli eucarioti come le diatomee.
Produttività e assorbimento
I ricercatori scrivono che, rispetto al Rapporto Redfield, i rapporti tra Carbonio e Fosforo e tra Carbonio e Azoto sono in media circa il 23-38% più alti. Tra le conclusioni suggeriscono che, dal momento che il riscaldamento delle acque superficiali a causa dei cambiamenti climatici, aumenterà ovviamente l’estensione delle aree calde e povere di nutrienti, cioè quelle che sembrano più capaci di assorbire CO2 attraverso la fotosintesi dei cianobatteri, a scapito di quelle più fredde e meno "prestanti" dal punto di vista dell’assorbimento di anidride carbonica. Secondo gli autori quindi, anche se è certo che il riscaldamento globale complessivamente abbasserà la produttività colpendo il fitoplancton eucariote, l’effetto sull’assorbimento netto della CO2 sarà meno accentuato di quanto pensavamo grazie all’aumento di fitoplancton procariote.
Sembrerebbe una buona notizia, almeno per chi vede il bicchiere sempre mezzo pieno, tanto che la United Academics titolava «Il plancton assorbe il doppio della CO2 di quanto pensavamo». Sottotitolo: «Il plancton nelle acque calde di grande aiuto per disfarsi della CO2». Non la pensa affatto così Jef Huisman, professore di Microbiologia Acquatica all’Università di Amsterdam, che sospetta che i ricercatori abbiano parlato dell'anidride carbonica solo, appunto, per attirare l'attenzione dei media, e spiega: «Per convenzione la quantità di fosforo in questi rapporti è indicata sempre con 1, ma in realtà è il contenuto di fosforo a variare di più nel plancton. La quantità di azoto e carbonio nel plancton è più o meno la stessa indipendentemente dalla provenienza. Per questo un alto rapporto C:N:P in prossimità dell’equatore significa che il contenuto di fosforo nelle acque tropicali è estremamente basso». Prosegue Huisman: «Se il fitoplancton contiene meno fosforo, allora è meno nutriente per il resto della catena alimentare. E, come sappiamo da tempo, gli oceani si stanno riscaldando. Quindi questi dati che indicano un basso contenuto di fasforo nel fitoplancton delle acque calde implicano probabilmente che, in futuro, ci sarà sempre meno pesce negli oceani».