Lì dove vivono gli archeobatteri
I microrganismi oggetto della scoperta sono gli archeobatteri, o Archea, i procarioti più antichi e con il livello di organizzazione cellulare più semplice che si possa trovare in natura. Gli Archea sono noti per essere i colonizzatori degli ambienti più inospitali della Terra, dai più caldi ai più freddi, dai più acidi ai più salini. Proprio per la loro semplicità e la loro capacità di adattarsi a condizioni estreme sono da sempre fonti di informazioni preziose sui meccanismi alla base dell'origine e dell'evoluzione della vita. Un gruppo di ricercatori australiani ha campionato per 18 mesi le acque dei posti più remoti dell'Antartide proprio alla ricerca di archeobatteri capaci di vivere in condizioni estreme, fino ad imbattersi nelle profondità delle salatissime acque del Deep Lake in un particolare ceppo di Archea dotato di un meccanismo per lo scambio di materiale genetico mai documentato prima. Questi procarioti, così come gli altri batteri, hanno abitudini piuttosto "promiscue" e si scambiano spesso piccole quantità di materiale genetico. Come? Attraverso i plasmidi, piccoli filamenti di DNA circolare codificanti per un numero ristretti di geni. Si tratta di molecole in grado di muoversi tra un batterio e l'altro trasportando informazioni genetiche e conferendo nuove proprietà (la resistenza agli antibiotici ne è un esempio). Solitamente i plasmidi si muovono da cellula a cellula come molecole "nude" durante il processo di coniugazione. I plasmidi isolati dagli archeobatteri antartici, invece, si muovono secondo un meccanismo mai visto prima.
Plasmidi mascherati da virus
I plasmidi isolati in Antartide, hanno notato i ricercatori, non passano da cellula a cellula semplicemente come molecole "nude" ma adottano una strategia che ricorda qualcosa di già visto in natura. Gli stessi plasmidi, infatti, codificano per alcune proteine in grado di integrarsi con la membrana plasmatica del batterio ospite e di dare il via alla formazione di vescicole che vengono rilasciate dalla membrana stessa dirette verso lo spazio extracellulare. Queste vescicole contengono il plasmide che ne ha regolato la formazione e hanno la funzione di "traghettare" la molecola di DNA verso altre cellule batteriche della stessa specie che ne sono prive. Grazie alla fusione tra la vescicola e la nuova cellula ospite il plasmide può raggiungere il citoplasma e da lì iniziare nuovamente il suo processo di replicazione. Questo meccanismo, che potrebbe essersi sviluppato per proteggere il plasmide da un ambiente extracellulare particolarmente ostile, ricorda la fase finale del ciclo di riproduzione virale, quella in cui il virus si libera dalla cellula ospite per gemmazione. Semplice coincidenza? Non ne sono convinti i ricercatori australiani che pensano si potrebbe trattare di un anello evolutivo di congiunzione tra batteri e virus. Quello sviluppato dagli Archea per la propagazione dei plasmidi, infatti, potrebbe essere un meccanismo che si pone, evolutivamente parlando, alla base del sistema più fine e regolato ideato dai virus per propagarsi con la massima efficienza. -- Immagine box di apertura: UNSW Sydney Immagine in evidenza: Wikipedia

