Una cittadina della Pennsylvania ha davanti a sè la possibilità di iniettare nuova energia nell’economia locale grazie al fracking, una discussa tecnica per l’estrazione del gas naturale dal sottosuolo. Una storia di fiction (forse troppo) che però spinge a riflettere e pensare. Come fa un ex docente del MIT...
Hollywood è ultimamente molto coinvolto al riguardo del fracking, una tecnica di estrazione del gas basata sulla rottura delle rocce, ad esempio gli scisti, che lo intrappolano tramite l’iniezione di fluidi in profondità. Stelle più o meno brillanti, da Mark Ruffalo a Ann Hathaway hanno anche aderito alla petizione di Yoko Ono e del figlio Sean, Artist Against Fracking, per chiedere al governatore dello stato di New York di proibire l’utilizzo della tecnica nel territorio statale.
Il tema ha anche riportato al lavoro, dopo il successo di Will Hunting - Genio ribelle, Gus Van Sant e Matt Damon, che rispettivamente firmano la regia e la sceneggiatura (assieme a John Krasinski) di Promised Land. Ecco, in breve, la trama (senza anticipazioni che rovinino la visione).
Steve Butler (Matt Damon) lavora per una delle tante compagnie di estrazione e distribuzione del gas naturale. È incaricato della gestione delle concessioni, cioè contratta direttamente con le comunità che risiedono sopra i giacimenti e stipula gli accordi che precedono l’estrazione. La sua stella è in rapida ascesa, grazie alla faccia e ai modi da bravo ragazzo e alla conoscenza dell’ambiente agricolo tipico delle zone in cui si muove riesce rapidamente ad accattivarsi simpatia e fiducia dai cittadini. Come ripete con orgoglio (e opportunismo) è nato in Iowa, uno stato della corn belt.
Fratture
Dopo gli accordi la compagnia di Steve estrae, ed estrae col metodo della fratturazione idraulica, colloquialmente nota come fracking. Steve, assieme alla collega Sue Thomason (Frances McDormand), è a un passo dal concludere i primi accordi con una cittadina della Pennsylvania quando appare il primo ostacolo: a un’assemblea pubblica un anziano insegnante (Hal Holbrook) solleva dubbi sulle promesse idilliache di ripresa economica per la comunità. Il fracking, sostiene, può essere molto pericoloso, e la stessa società di Steve e Sue ha alcune cause legali pendenti per i danni inflitti alle terre circostanti gli impianti.
Steve cerca di replicare, ma l’insegnante non è la voce poco informata di una delle tante teorie complottistiche ma un ex-ingegnere del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston con un dottorato in fisica. Il suo intervento zittisce Steve e porta l’assemblea a indire un referendum da lì a due settimane. Steve intensifica gli sforzi per ottenere un voto favorevole alla sua compagnia, ma è ostacolato anche da un misterioso ambientalista appena arrivato in città.
Tra fiction e realtà
Tenuto conto che si tratta, almeno in parte, di un film di denuncia, che non può fare a meno di ricordare A civil action e Erin Brockovich, cosa c’è di plausibile in quello che viene mostrato a proposito del fracking e dei suoi effetti? Prima di tutto lo scenario: gli Stati Uniti sono la principale nazione dove si pratica la fratturazione idraulica, anche se altri paesi si stanno mettendo rapidamente in coda. La tecnica infatti consente, con costi contenuti, di sfruttare risorse prima inaccessibili. Se le tecnologie impiegate si sono senz’altro evolute, la tecnica non è affatto nuova: Steve cerca di rassicurare l’assemblea cittadina dicendo che il fracking si usa in America da «più di cinquant’anni», e infatti i primi esperimento risalgono al 1947.
Come avviene, però, in un intervento di fratturazione idraulica? Anche se sarebbe sbagliato pretendere da un film un’informazione completa, sostitutiva di quella che solo l’istruzione e la divulgazione possono fornire, questo quesito è sostanzialmente ignorato. Si accenna superficialmente a «sostanze chimiche» di non meglio precisata natura e all’inquinamento delle falde acquifere, un approccio ben diverso dall’ottimo Contagion (anch’esso con un cast ad altissima densità di premi Oscar) che invece era riuscito a trattare in modo rigoroso il tema delle pandemie. Come l’insegnante del film accusa giustamente il protagonista di semplificare troppo la situazione quando descrive i benefici di questo tipo di estrazione, così il film è stato effettivamente accusato di essere sostanzialmente fiction rispetto a questo tema. Gli autori si difendono dicendo che volevano innanzitutto puntare sull’America rurale messa in ginocchio dalla crisi economica: in una precedente sceneggiatura non era il fracking ad arrivare in città, ma le pale eoliche.
A oggi i fatti si potrebbero riassumere così: il fracking è un tema molto dibattuto che tocca molti nervi scoperti. Per le aziende c’è un tesoro intrappolato sotto una delle nazioni più energivore del pianeta e c’è una lotta senza esclusione di colpi per accaparrarselo, ma per i detrattori il gioco non vale la candela a causa dei rischi. La comunità scientifica e le commissioni non hanno per ora dato il netto giudizio anti-fracking per conoscere il quale basterebbe, secondo l’insegnante del film «cercare quella parola su Google». Il pericolo è nel fracking in sé o nel mancato rispetto dei regolamenti? E questi sono abbastanza stringenti? La "giuria" si deve ancora esprimere.
Arabia connection
Per questa superficialità (e per lo scarso "mordente", cinematograficamente parlando) difficile considerarlo un film di propaganda come accusano le aziende del settore, ma certo uno dei finanziatori del film fa storcere in naso a molti: la Abu Dhabi Media è una società degli Emirati Arabi Uniti, uno dei maggiori esportatori di petrolio che avrebbero tutto l’interesse a impedire che gli Stati Uniti cerchino fonti alternative.
Potrebbe per questo fare allora sorridere il marketing della distribuzione italiana che ha diffuso una versione della locandina dove campeggia "Il film che la lobby dei petrolieri ha tentato invano di sabotare" quando nel film più volte viene rimarcato che uno degli aspetti positivi del gas naturale è che è una fonte di energia che non si deve far arrivare negli Stati Uniti da altri paesi e che li emanciperebbe dal petrolio (e dal carbone). Il film è stato un flop al box office, incassando circa la metà del suo esiguo budget di 15.000.000 di dollari, ma anche la critica non si è entusiasmata: difficile dare la colpa a un boicottaggio.