Raggi cosmici che investono le nubi temporalesche? Un nuovo studio dice che potrebbe essere questa l'origine dei fulmini, fenomeno che tutti conosciamo ma per cui la comunità scientifica non ha ancora certezze sulla formazione degli ioni che innescano la scarica elettrica alla base di questo evento naturale spettacolare.
Abbiamo camminato sulla Luna, conosciamo l’età dell’Universo e sappiamo calcolare la temperatura di una stella distante migliaia di anni luce dalla Terra. Da che cosa è scatenato invece un fulmine? Potrà sembrare strano, ma la risposta definitiva a questa domanda, probabilmente una delle prime che devono essersi fatti gli uomini guardando il cielo, ancora non c’è. Certo, dalle saette scagliate da Zeus, di strada ne è stata fatta e un articolo pubblicato di recente su Physical Review Letters da Alex Gurevich e Anatoly Karashtin potrebbe mettere fine a una storia aperta da millenni. I due fisici russi raccontano, infatti, di aver raccolto le prove sperimentali che dimostrerebbero la validità della teoria, sviluppata venti anni fa dallo stesso Gurevich, in base alla quale i fulmini sarebbero innescati da raggi cosmici che investono le nubi temporalesche.
Una valanga luminosa
I fulmini sono tra i fenomeni naturali più comuni e facilmente osservabili. Ogni secondo, sulla Terra, ne scoccano mediamente cinquanta. Anche per questo forse gli scienziati sanno quasi tutto di loro. Durante un temporale, le correnti d’aria all’interno di una nuvola generano urti fra gocce d’acqua, frammenti di grandine e cristalli di ghiaccio. In questo modo si producono particelle cariche: solitamente quelle positive si accumulano nella parte superiore delle nubi e quelle negative nella parte inferiore. Normalmente le cariche restano separate perché l’aria funge da isolante. Quando però la differenza di potenziale raggiunge le centinaia di milioni di volt, gli ioni presenti nell’aria, accelerati dall’intenso campo elettrico, innescano un effetto a valanga: colpendo violentemente altre molecole della nube, strappano elettroni e formano altri ioni, che vengono a loro volta accelerati e sono in grado di urtare e ionizzare altre molecole. A seguito degli urti, le molecole della nube immagazzinano temporaneamente energia che poi emettono sottoforma di luce. I fulmini, insomma, sono la manifestazione luminosa di scariche elettriche che attraversano l’atmosfera quando all’interno di una nube, oppure tra due nubi o ancora tra una nube e il suolo, si crea un campo elettrico molto elevato. Fino a qui tutto bene. Il problema, come capita spesso, però, sta a monte. Come si formano gli ioni che innescano la valanga alimentando la scarica elettrica?
Raggi cosmici "fulminei"
Secondo Alex Gurevich e Anatoly Karashtin i responsabili sono i raggi cosmici, vale a dire le particelle cariche prodotte dal Sole, dalle altre stelle oppure dalle esplosioni delle supernove che bombardano l’atmosfera terrestre. Penetrando nelle nubi temporalesche, alcuni raggi cosmici riuscirebbero a ionizzare le molecole atmosferiche, creando così le condizioni per dare inizio alla scarica elettrica. A distanza di vent’anni dalla sua formulazione, i due fisici russi hanno raccolto la prime evidenze sperimentali di questa teoria, studiando 3800 fulmini caduti negli ultimi anni tra Russia e Kazakhstan. In particolare i due scienziati hanno misurato con un interferometro gli impulsi radio emessi negli immediati istanti che precedevano la scarica elettrica. Impulsi con un’ampiezza proporzionale al numero degli elettroni liberati nel corso della prima fase della valanga e di conseguenza all’energia del raggio cosmico responsabile della ionizzazione iniziale. Il modello di Gurevich prevede che a questo valore energetico venga sottratto il contributo delle scariche elettriche dovute alla polarizzazione delle molecole che, nella nube, si trovano in corrispondenza del raggio cosmico ionizzante. Così facendo i due scienziati hanno calcolato che le energie medie dei raggi cosmici “fulminei” si aggirino intorno ai 1012 – 1013 eV, valori compatibili con quelli tipici di questo tipo di particelle e sufficienti a dare luogo alla ionizzazione delle molecole presenti in una nube temporalesca. «Lo studio di Gurevich e Karashtin», ha commentato Joseph Dwyer del Florida Institute of Technology, «rappresenta un passo avanti importante nella comprensione dei meccanismi attraverso i quali si innescano i fulmini. E sarebbe l’ennesimo esempio di come particelle prodotte a miliardi di chilometri di distanza dalla Terra influenzino la vita del nostro pianeta».