Sono tra le cellule più studiate e usate al mondo. Frigoriferi e congelatori di laboratori in tutti e 5 i continenti contengono stock di queste cellule per i propri esperimenti. E senza di loro importanti scoperte scientifiche non sarebbero avvenute. La storia delle cellule HeLa.
Il nome di queste cellule per molti anni non ha significato null’altro che una sigla per i ricercatori. Poteva essere un acronimo, come spesso accade per le linee cellulare che prendono il nome dalle iniziali della loro definizione. Per esempio HuVEC, che sta per Human Unmbelical Vein Endothelial Cells (Cellule Endoteliali delle Vene Ombelicali Umane). O poteva essere la sigla data dall’azienda che aveva stabilizzato la linea cellulare per poter essere utilizzata in esperimenti di ricerca.
Un nome, una persona
HeLa è sì una sigla, ma contiene il nome di una persona: HEnrietta LAcks. Le HeLa non sono nient’altro che la propagazione nel tempo di un pugnetto di cellule che nel 1951 furono estratte dal tumore alla cervice uterina che portò alla morte Henrietta Lacks, giovane donna afro-americana della Virginia. Prelevate dall’ospedale Johns Hopkins di Baltimora (Maryland, USA) dove Henrietta si era rivolta per le cure, furono stabilizzate da George Otto Grey che subito intuì il potenziale portentoso a scopo di ricerca: le cellule sembravano immortalizzate.
Ma non è la straordinarietà in sé di queste cellule che hanno cambiato il corso della ricerca moderna in biomedicina a riempire le quasi 400 pagine del libro La vita immortale di Henrietta Lacks di Rebecca Skloot (Adelphi). O meglio, non solo. Gran parte del libro parte dalla storia biografica di Henrietta per arrivare a parlare di problemi che non solo nei laboratori, ma governi e cittadini stanno affrontando ancora oggi nel 2012 in merito alla regolamentazione dei diritti nella ricerca biomedica.
Un’immagine di cellule HeLa al microscopio (immagine: shutterstock)
Un archetipo
Le cellule HeLa rappresentano infatti l'archetipo della violazione dei diritti di consenso informato sul prelievo di tessuti. La rimozione delle cellule tumorali e il successivo uso (con immensi ritorni commerciali) fu fatto senza aver chiesto il consenso a Henrietta. Né le cellule furono usate per poter trovare una cura che potesse salvare Henrietta dal tumore (in stadio avanzato all'epoca del suo primo controllo alla Johns Hopkins).
Segregazioni razziali, doveri dei medici e dei ricercatori, problemi più complessi di biodiritto (le cellule sono parte del nostro corpo? E quindi come tali appartengono a noi?) si incrociano nei sessant’anni di storia delle cellule di Henrietta, che l’autrice scrupolosamente ricostruisce dopo una poderosa analisi di tutti i dati clinici di Henrietta e lunghi e ripetuti contatti con la famiglia, che non ha mai ricevuto una ricompensa economica dal progetto milionario nato sopra le cellule HeLa.
Una storia duramente vera, come ci tiene a sottolineare Rebecca Skloot fin dalle prime pagine del libro, che ha dello straordinario su più fronti. E che necessitava di essere raccontata perché nell’epoca della post-genomica non ci siano più altre Henriette che cambiano a loro insaputa le sorti della ricerca e non ne sono né informate né ricompensate.