Nel 1900, al largo dell'isola greca di Antikythera, un'imbarcazione di pescatori di spugne si è imbattuta in uno dei più famosi relitti della storia. In queste acque, verso la fine del primo secolo avanti Cristo, è affondata un'imbarcazione, probabilmente romana, carica di oggetti. Il più famoso tra questi è il meccanismo di Antikythera, una sorta di calcolatore analogico che probabilmente permetteva di prevedere gli eventi astronomici e che ora è esposto al Museo Archeologico di Atene. Oltre un secolo dopo gli archeologi non hanno ancora finito di studiare il relitto, e questa estate hanno trovato parte di uno scheletro umano.
Ritorno ad Antikythera
La maggior parte dei reperti sul fondale, compreso il famoso meccanismo, sono stati recuperati tra il 1901 e il 1902, ma c'era ancoro molto da scoprire. Nel 1953 e nel 1976 il leggendario Jacques Cousteau ha guidato due spedizioni, recuperando oltre 300 oggetti semi-sepolti dai sedimenti, e ha scoperto che poco distante dal relitto si trovavano i resti di un'altra nave. Dopo l'ultima spedizione di Cousteau, filmata dal National Geographic, le ricerche scientifiche si sono fermate, ma nel 2012 la Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI), un'istituzione di ricerca oceanografica privata e no-profit, ha ripreso l'esplorazione del relitto sotto la supervisione del Museo Archeologico di Atene. Tra i reperti recuperati quest'anno spicca un singolare manufatto realizzato interamente in ferro e piombo: molto probabilmente si tratta di un "delfino", un'antica arma che veniva legata all'estremità di un palo e abbattuta sulle navi nemiche nel tentativo di affondarle.
Ma la scoperta più stupefacente è arrivata a fine agosto 2016, quando i sommozzatori hanno trovato addirittura i resti di uno scheletro umano.
Missione impossibile
Non è la prima volta che il relitto restituisce resti umani, ma rispetto ai frammenti recuperati dalle spedizioni di Cousteau, quelli trovati un mese fa sembrano molto ben conservati. La domanda da un milione di dollari è se questi reperti vecchi di 2000 anni contengano ancora un po' di DNA, dal quale potremmo estrarre moltissime informazioni, sia sullo sfortunato passeggero, sia sulla popolazione a cui apparteneva.
Una volta recuperati i resti di Panfilo, questo il nome informale dato dai ricercatori al proprietario delle ossa, l'archeologo della Woods Brendan Foley si è messo in contatto con Hannes Schroeder, esperto in DNA antico del Museo di Storia Naturale di Danimarca: gli scienziati intendono tentare l'estrazione del DNA non appena ricevute le autorizzazioni dalle autorità greche. Si tratterà di una vera e propria "missione impossibile": i ricercatori sanno bene che gli acidi nucleici si degradano rapidamente, e dopo due millenni sott'acqua in pochi scommetterebbero sul successo dell'estrazione.
Nonostante questo, per Schroeder vale la pena tentare: tra i frammenti ossei sopravvissuti del cranio di Panfilo ci sono infatti le rocche petrose, porzioni di osso temporale particolarmente dure e ricchissime di DNA che più di una volta hanno premiato gli scienziati a caccia di DNA antico. Come ha dichiarato Hannes Schroedera Nature News: «Se c'è del DNA, da quello che sappiamo, si troverà lì».
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Immagine in apertura: Brett Seymour, EUA/WHOI/ARGOImmagine box: By Tilemahos Efthimiadis from Athens, Greece [CC BY 2.0], via Wikimedia Commons