È nato in Olanda intorno al 1608 ed è stato uno dei grandi protagonisti della rivoluzione scientifica fra XVI e XVII secolo. È il telescopio, personaggio principale della storia raccontata dagli storici della scienza Massimo Bucciantini, Michele Camerota e Franco Giudice nel libro Il telescopio di Galileo, edito da Einaudi. Intorno al telescopio ruotano personaggi come Galileo e Keplero, documenti finora inediti, rivalità scientifiche, strategie politiche e accademiche: questi elementi fanno sì che il libro coniughi con efficacia una precisa ricostruzione storica e una narrazione appassionante.
Dalle botteghe alle corti
Siamo in Europa fra XVI e XVII secolo. Gli ottici a quell'epoca possedevano già un buon bagaglio di conoscenze e tecniche sulle lenti e sugli occhiali, ma ancora non era disponibile un cannocchiale del tutto in grado di produrre un ingrandimento efficace e davvero affidabile. Poi intorno al 1608 l'ottico olandese Hans Lipperhey realizza un occhiale capace di produrre immagini più grandi e soprattutto più nitide. Applicazioni militari e scientifiche arriveranno di lì a poco, ma non solo: come dimostrano molti dipinti riportati nel libro l'occhiale di Lipperhey diventa un vero e proprio oggetto di culto presso le corti di tutta Europa.
Il telescopio e Galileo
Poi c'è la tappa più importante di questa storia: il sodalizio fra Galileo e il telescopio, che trova piena espressione nel Sidereus nuncius (“Il messaggero delle stelle”), opera galileiana destinata a disegnare un nuovo cielo e a stabilire un nuovo orizzonte culturale. Il cannocchiale mostra a Galileo le prove che il cielo cristallino di Aristotele e Tolomeo, il modello cosmologico allora dominante e basato anche sull'interpretazione biblica, era solo pura speculazione. Di più: era del tutto falso. La Luna imperfetta e frastagliata e i satelliti intorno a Giove mostravano un cielo tutt'altro che incorruttibile, bensì in continua evoluzione. Le ipotesi copernicane trovavano nuove conferme grazie alle osservazioni rese possibili dal telescopio: Galileo vede e dipinge nei suoi appunti – di straordinaria precisione, dettaglio e anche capacità artistica – astri mai visti e inaspettati, che vengono ora colti in modo più preciso e nitido. Un simbolo culturale delle scoperte di Galileo è proprio la Luna imperfetta, piena di montagne e crateri. Un'immagine che colpisce talmente l'immaginario collettivo da essere dipinta in un affresco, l'Assunzione della Vergine, nella Cappella Borghese a Santa Maria Maggiore, a Roma, dal pittore Ludovico Cingoli, che gli autori riportano nel libro.
Destini incrociati
Il libro di Bucciantini, Camerota e Giudice non si spinge a narrare il prosieguo della storia di Galileo, che finirà drammaticamente nell'abiura nel 1633. Il libro si chiude con Galileo che per un breve periodo intorno al 1610 s'illude di convincere tutti, compresi i cardinali romani e perfino il Papa, della validità della teoria copernicana. Ma le speranze di Galileo, testimoniate dalla luna imperfetta dipinta dal Cingoli, s'infrangeranno ben presto in una ferma condanna del copernicanesimo da parte dei teologi cattolici. Tuttavia l'impatto del grande protagonista del libro, ovvero il cannocchiale, non poteva venire meno solo per le censure teologiche. Lo dimostra l'affresco e lo ribadisce il vivo entusiasmo nei confronti del telescopio che era presente anche in certi ambienti ecclesiastici: gli astronomi gesuiti, ad esempio, si dimostrarono molto interessati al telescopio e alle osservazioni che rendeva possibili.