Il 9 maggio scorso durante la cerimonia tenuta al Centro Culturale Altinate San Gaetano è stato annunciato il vincitore della VII edizione del Premio Galileo per la divulgazione scientifica organizzato dal Comune di Padova. Si tratta del primo libro di Sergio Pistoi che i 2500 ragazzi delle scuole superiori italiane che compongono la giuria hanno preferito a Il cucchiaino scomparso di Sam Kean, La mente che scodinzola di Giorgio Vallortigara, Neutrino di Frank Close e Il telescopio di Galileo di Massimo Bucciantini e Michele Camerota.
Poco più di dieci anni fa Bill Clinton e Tony Blair, allora rispettivamente presidente degli Stati Uniti e primo ministro britannico, hanno annunciato al mondo il completamento del Progetto Genoma Umano. Assieme alle due figure politiche, in quella storica conferenza stampa in collegamento internazionale tra USA e Gran Bretagna, c’erano anche due dei protagonisti di una delle più grandi imprese scientifiche dell’ultimo secolo: Francis Collins, che allora era il presidente del consorzio pubblico che lavorò attivamente alla decodifica del DNA umano, e Craig Venter, il ricercatore-imprenditore che con la sua Celera Genomics ha dato un contributo fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo. E proprio da una frase di Collins posta in esergo parte il viaggio che Sergio Pistoi ha voluto intraprendere: «la mappa del genoma umano è solo la fine dell’inizio».
Con i piedi di piombo
In effetti, da quell’annuncio (voluto dare simbolicamente nell’anno 2000) ad oggi di acqua sotto i ponti della genetica ne è passata davvero tanta. In poco più di un decennio si è passati dal decifrare per la prima volta il genoma umano a kit per la lettura del proprio DNA che si possono comodamente comperare direttamente on-line e i cui risultati possiamo condividere (in una forma che tutela la nostra privacy) su social network appositamente creati. Si spiega così, semplificando, il senso del titolo del libro.
La competenza da biologo di Sergio Pistoi, che ha lavorato in laboratori italiani, francesi e americani prima di dedicarsi alla divulgazione e alla comunicazione della scienza, gli fa evitare di trattare argomenti che possono avere anche risvolti delicati con leggerezza o superficialità. Il racconto, per esempio, comincia con l’acquisto di uno di questi kit per le mappatura del proprio DNA e la descrizione di tutti i passaggi che porteranno ai risultati. L’autore prova, quindi, questa esperienza in prima persona, ma prima di passare alla fase pratica ci guida attraverso la lettura dei termini di servizio e delle tutele che vengono offerte sul fronte della privacy. Non da ultimo, ci invita a prendere i risultati per quello che sono: indicazioni di una probabilità e non una premessa per un evento o una serie di eventi inelettuabili. Sapere che nei nostri geni c’è una predisposizione a una determinata condizione, non significa necessariamente che questa si verifichi durante la nostra vita.
Tutti parenti
In Italia l’utilizzo di questi servizi è ancora poco diffuso, ma altrove le cose non stanno così. E tra le migliaia di persone che hanno voluto leggere i propri geni e si sono iscritti ai relativi social network è quindi possibile trovare persone che hanno in comune con noi una certa discendenza. Si tratta magari di antenati comuni che hanno preso strade (geografiche) diverse e che ora si possono riavvicinare, almeno virtualmente.
Potrebbe sembrare una questione marginale e di poco interesse, ma secondo Sergio Pistoi attraverso questo tipo di esperienza si potrebbe sviluppare un sentimento di appartenenza a una specie, quella umana, che nella nostra vita quotidiana non è particolarmente presente. In fondo, sappiamo che siamo un po’ tutti parenti e condividiamo con gli altri esseri umani la maggior parte del nostro codice genetico. Se sfruttato con le dovute cautele, l’incontro tra il DNA e i social network può diventare quindi un’occasione di approfondimento delle conoscenze di sé, della genetica che determina chi siamo, della sua interazione con l’ambiente e la cultura che ci circondano.