È possibile scrivere la biografia di una particella? Col suo Neutrino, edito da Raffaello Cortina Editore, Frank Close ci ha provato. È partito dal suo concepimento, ne ha raccontato l’adolescenza piena di crisi d’identità, la giovinezza fatta di speranze e delusioni e infine la maturità di particella star, alla quale va stretto il jet set del Modello Standard. Per farlo si è servito di un grimaldello chiamato Raymond Davis, l’uomo che per quarant’anni ha dato la caccia ai neutrini solari, quelli prodotti nelle viscere della nostra stella a seguito delle reazioni di fusione nucleare.
Dentro la miniera
Fin dalle prime pagine veniamo così catapultati in una miniera del sud Dakota, dove Davis ha piazzato una tanica enorme riempita da migliaia di tonnellate di detersivo. Ha allestito il suo laboratorio sotto terra, a un chilometro e mezzo di profondità, così la roccia impedirà ai raggi cosmici di interferire con i suoi dati e ogni volta che un atomo di cloro del detersivo si trasformerà in un atomo di argon saprà che di lì è passato un neutrino prodotto nel Sole otto minuti prima. Se l’apparato funziona a dovere e il numero dei neutrini rivelati è quello atteso, Davis mostrerà sperimentalmente che il modello termonucleare del Sole è corretto, chiudendo una volta per tutte un enigma che dura ormai da più di un secolo. «Quella di Davis», scrive Close, «prima ancora di essere una sfida sperimentale, somiglia davvero a un’impresa intellettuale: utilizzare atomi di cloro per rivelare una manciata di neutrini e capire come funziona una stella».
I conti non tornano
I calcoli glieli ha fatti John Bahcall, un giovane e brillante fisico che alla fine degli anni Cinquanta ha appena conseguito il dottorato al Caltech. Il «ragazzo dell’Indiana», come lo chiama Davis, non ha lasciato nulla al caso e anche il sistema sperimentale sembra funzionare da subito alla perfezione. I conti, però, non tornano: il rivelatore intercetta solo un terzo dei neutrini che Bahcall si aspetta. I due affineranno in modo maniacale calcoli e strumentazioni, ma per quasi quarant’anni dal buio della miniera di Homestake emergerà sempre lo stesso verdetto: i neutrini solari misurati da Davis sono circa il 30% di quelli che dovrebbero essere. Colpa dei calcoli di Bahcall? Degli strumenti di Davis? Oppure è il Sole a funzionare diversamente? Quasi stesse scrivendo un giallo, Frank Close ce lo svela poco a poco, lasciandoci intuire che la risposta nasconde sorprese inaspettate.
Uno, due, tre
Presto si scoprirà che in natura esistono tre tipi di neutrini: oltre a quelli elettronici prodotti nel Sole, saltano fuori anche quelli muonici (relativi ai muoni) e quelli tauonici (relativi alla particella tau). A complicare solo apparentemente il quadro, ci ha pensato nel frattempo anche Bruno Pontecorvo, uno dei "ragazzi di via Panisperna", emigrato nel 1950 in Unione Sovietica. Pontecorvo ha infatti elaborato una teoria secondo la quale nel corso del loro tragitto i neutrini oscillano, cambiando la propria natura da elettronica a muonica, da muonica a tauonica e così via. Questa teoria rivoluzionaria costituisce il punto di svolta nel racconto di Close. Infatti, se un neutrino elettronico nato nel Sole potesse in qualche modo riuscire a cambiarsi i connotati, tramutandosi per esempio in un neutrino muonico durante il suo viaggio verso la Terra, passerebbe inosservato nel rivelatore di Davis. Solo quei neutrini elettronici che sono sopravvissuti incolumi verrebbero catturati nella trappola al cloro del vecchio Ray, potendo così essere contati. E visto che le famiglie dei neutrini sono tre, questo inaspettato disturbo di personalità che affligge il neutrino darebbe ragione ai calcoli di Bahcall e spiegherebbe perché le apparecchiature di Davis contano proprio un terzo dei neutrini solari attesi!
Vittorie e sconfitte
Nel 1968, tuttavia, quando Pontecorvo elabora la sua teoria, l’eventualità che i neutrini oscillino contraddice tutti i manuali di fisica. Stando al Modello Standard delle particelle era, per dirlo in una parola, impossibile. La teoria del fisico italiano cadde così nel dimenticatoio, fino a quando, nel 1998, i risultati dell’esperimento giapponese SuperKamiokande dimostrano per la prima volta che i neutrini oscillano davvero. C’erano voluti trent’anni, ma alla fine l’intuizione di Pontecorvo si era rivelata corretta. Così come erano da sempre state corrette le misure di Raymond Davis, il primo uomo, scrive Frank Close dedicandogli il suo Neutrino, «a guardare dentro il cuore di una stella». Nel 2002, all’età di 87 anni, proprio per aver contribuito alla nascita di quella che oggi viene chiamata astronomia a neutrini, Davis riceverà il premio Nobel. Incredibilmente non lo condividerà con la persona che più di ogni altra aveva sostenuto le sue idee: John Bahcall. Al grande John, che morirà nel 2005 appena settantenne, resterà almeno la soddisfazione di vedere confermato il lavoro di una vita. La stessa cosa, purtroppo, non potrà dirsi per colui che alla fine del libro Frank Close definisce «il personaggio principale dell’intreccio»: Bruno Pontecorvo.
Bruno Pontecorvo
Leggendo Neutrino si rimane letteralmente a bocca aperta scoprendo la portata dei contributi offerti dal fisico italiano alla fisica del neutrino. È sua l’idea, messa in atto da Davis, di utilizzare il cloro per catturare i neutrini solari; sua l’idea che esistessero diversi tipi di neutrini; sua l’idea dell’oscillazione, ancora oggi l’unica evidenza di un fenomeno fisico non inquadrabile nel Modello Standard delle particelle. Pontecorvo, dirà Steinberger, «ha aperto gli occhi a tutti con le sue intuizioni originali». Fu, tuttavia, spettatore, quando Lederman, lo stesso Steinberger e Schwartz si aggiudicarono il Nobel per la scoperta del neutrino muonico con gli stessi metodi che aveva proposto indipendentemente da loro. Ed era già passato a miglior vita da nove anni, quando Davis venne incoronato a Stoccolma. Neutrino racconta così un po’ a sorpresa, anche per lo stesso Close, la genialità di un fisico italiano che è sfuggito colpevolmente allo sguardo di molti. Ma che a differenza del neutrino, «che tutto passa e se ne va», ha lasciato tracce indelebili nella fisica del Novecento.