Perché gli habitat terrestri sono più ricchi di specie di quelli marini? (Foto: Pixabay).
Le tre “regole” della biodiversità
L’analisi della biodiversità terrestre sembrerebbe sfuggire, quasi per definizione, a qualsiasi descrizione rigida e sistematica. Eppure esistono andamenti generali con cui gli scienziati continuano a imbattersi: si tratta delle “tre regole della biodiversità”, illustrate da Micheal J. Benton su Plos Biology. La prima regola riguarda la correlazione tra l’età del clade e il rischio di estinzione: i gruppi più antichi dal punto di vista evolutivo sembrano avere una maggiore probabilità di sopravvivere rispetto a quelli emersi in tempi più recenti. La seconda regola illustra la diversa distribuzione della biodiversità: a partire da circa 100 milioni di anni fa, sulla terraferma le specie si sono diversificate molto più rapidamente di quanto non abbiano fatto le specie marine. Infine, la terza regola mette in luce l’effetto della latitudine, ovvero il gradiente di biodiversità che raggiunge il suo apice in corrispondenza dell’equatore. Con le dovute eccezioni, i tropici sembrano essere un immenso serbatoio di specie e forniscono la forza motrice per crearne di nuove. Perché la biodiversità segue queste “regole”? Conoscere la risposta a questa domanda aiuterebbe gli scienziati a valutare il rischio relativo di estinzione per ogni specie. Un nuovo studio, anch'esso pubblicato su Plos Biology, getta le basi per un cambio di paradigma e suggerisce che, a differenza di quanto ritenuto finora, uno stesso clade può seguire diversi modelli di diversificazione nel corso della sua storia evolutiva.
Una delle "regole" della biodiversità sottolinea la diversa ricchezza di specie che distingue gli habitat terrestri, in marrone, da quelli marini, in blu (Immagine: Benton M. Plos Biology 2016).