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Le pagine delle nostre origini

Quattro libri per parlare di evoluzione umana e di quanto conosciamo il nostro DNA. Ma anche di quanto resta da scoprire sulla nostra specie.
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«La curiosità ha ucciso il gatto» è un proverbio proprio stupido. Non essere curiosi equivale a non essere umani.
Adam Rutherford

 

Dopo lo Speciale 2019 dedicato alla Tavola periodica, l’Aula di Scienze rende omaggio a quella che è stata definita come la più significativa impresa umana dopo lo sbarco sulla Luna: il Progetto Genoma Umano, di cui a giugno 2020 festeggiamo il ventennale.

Come amiamo fare in questo blog, vediamo qualche libro interessante sull’argomento, consigliato a tutti coloro che vorrebbero approfondire la straordinaria impresa del Progetto Genoma Umano, i misteri della genetica e nello stesso tempo capire qualcosa di quella complicata e recente area di studio che è la genomica, grazie alla quale noi Homo sapiens siamo stati obbligati a rivoluzionare le idee che avevamo su noi stessi e sulle nostre origini. Tanto complicate e così poco lineari che la diffusissima vignetta qui sotto andrebbe ormai vietata per legge...     I libri che scopriremo sono divulgativi, di facile lettura e non danno per scontato nulla, perfetti per i profani, ma interessanti anche per chi ne sa qualcosa in più. Raccontano tutti e quattro una storia che viene da molto lontano: la nostra.  

 

Il racconto dei nostri geni

Iniziamo con il britannico Adam Rutherford (1975) e il suo bellissimo Breve storia di chiunque sia mai vissuto – Il racconto dei nostri geni (Bollati Boringhieri, 2017, 342 pp., euro 26). Fuoriclasse della divulgazione, qui Rutherford dimostra di meritare le lodi sperticate che sono state spese su di lui (anche da altri genetisti) grazie a un libro profondo, divertente e spesso sorprendente. Diviso in sette capitoli, Breve storia di chiunque sia mai vissuto contiene tutto ciò che noi non-genetisti dovremmo sapere senza ancora sapere di volerlo (e doverlo) sapere.

«Nelle nostre cellule portiamo un poema epico. Si tratta di una saga senza paragoni, unica, che si espande tortuosa e senza fine», scrive Rutherford. Una saga iniziata in Africa molte migliaia di anni fa, fatta di coesistenza fra più specie umane diverse, con Homo sapiens (una specie definita dall’autore «nomade e lussuriosa») che viaggia ovunque e a più riprese.

Il primo esodo fuori dall’Africa viene collocato in un periodo imprecisato circa 100.000 anni fa, esodo che ha comportato l’incontro e la convivenza con Homo neanderthalensis, specie i cui primi ritrovamenti risalgono a 300.000 anni fa e si protraggono fino a circa 30.000 anni fa. L’incontro con i nostri simili ci ha portato a ibridarci con loro, tanto che nel nostro DNA conserviamo ancora circa il 2% dei loro geni.

Come si può vedere nell'«arbusto» qui sotto, riprodotto nel libro a p. 29, parliamo di almeno cinque specie diverse sparse nel mondo quasi contemporaneamente, che abbiamo incontrato (in alcuni casi accoppiandoci) nelle nostre varie ondate migratorie (seconda immagine).

Lo sviluppo dell'«arbusto» del genere homo (immagine: Chris Stringer) La mappa migratoria sapiens (immagine: Wikimedia)  
Io possiedo del DNA neandertaliano; dunque, i Neanderthal erano miei antenati. Se possedete il loro DNA, allora erano anche i vostri antenati. Se le vostre origini sono perlopiù europee, allora è quasi certo che possediate anche del DNA Neanderthal. È il concetto di introgressione: l’introduzione del DNA di un gruppo separato attraverso ripetuti reincroci all’interno della stessa famiglia. [p. 57]

  Il quinto capitolo è dedicato interamente al Progetto Genoma Umano. Durato 13 anni, costato più di 3 miliardi di dollari, ha coinvolto più di 1000 ricercatori impegnati a sequenziare la totalità del nostro DNA, presente nel nucleo di ogni nostra cellula e composto da circa 3 miliardi di nucleotidi e 6 miliardi di basi. Da allora sono stati fatti passi da gigante, tanto che oggi è possibile sequenziale un intero genoma in una notte, con un costo di poche centinaia di euro.

Per aiutarci a comprendere la difficoltà dell’impresa – anche in rapporto alla tecnologia allora esistente – l’autore usa la metafora dell’ago nel pagliaio. Difficile trovarlo, vero? Beh, nulla paragonato al Progetto.  

Immaginate un campo con 50 file di balle di fieno lunghe ognuna 100 metri. Ora immaginate 600.000 campi come questo. Ora mettetevi a cercare 20.000 aghi in quei campi; solo che gli aghi non sono di metallo, sono di fieno pure quelli; e ogni ago è frantumato in vari pezzi. Eppure, è quello che fecero gli scienziati. [p. 250] «La preda da catturare erano i ventitre cromosomi, composti da tre miliardi di lettere di codice genetico, le istruzioni necessarie per formare un essere umano.» [p. 234]

  Un progetto colossale che ci ha detto molte cose, per esempio che la gran parte dei 7,5 miliardi di esseri umani oggi viventi discendono da quella che numericamente potrebbe essere la popolazione di un piccolo villaggio; che le razze umane non esistono; che enormi porzioni di DNA sembrano non fare nulla, e che questo «DNA spazzatura», o meglio DNA non codificante, appare come uno dei più grandi misteri della natura; che più del 20% dei geni non sappiamo a cosa servano…

Su cosa siano DNA, nucleotidi, cromosomi, introni, etc. rimandiamo al chiaro ed esauriente libro di Rutherford, che racconta anche di una scommessa fatta da tutti i più grandi genetisti del mondo. La scommessa era semplice, e andava fatta prima che il Progetto Genoma Umano terminasse. Bisognava rispondere alla domanda: quanti sono i geni umani? Ovvero: quanti aghi troveremo in quello sterminato pagliaio?

La scommessa nacque nel 2000 in un bar di Cold Spring Harbor, nello stato di New York, dove si teneva un importante convegno. Il libro delle scommesse rimase aperto per tre anni. Alla fine, i genetisti partecipanti furono 460. Molti dissero che i geni erano 150.000, la maggior parte che superavano quota 70.000. Alla fine (segue spoiler) vinse la genetista Lee Rowen, cioè colei che disse il numero più basso: 25.947. Come risultò in seguito, i nostri geni sono circa 20.000, contenuti nei 3 miliardi di paia di basi di DNA.

Grazie a Rutherford si ha l’impressione di riuscire quasi a districarsi nell'affascinante complessità di questa disciplina che racconta la nostra storia come specie. La conclusione di Rutherford ci dà anche l’idea di quanto straordinariamente breve sia la nostra storia:  

Se si prende la lunghezza di questo libro [342 pagine, NdR] come scala del tempo, la storia documentata equivale a una sola lettera, una sola lettera in oltre 720.000. Ma in quella minuscola goccia negli oceani del tempo terrestre c’è tutta la storia umana, registrata sulla pietra, nei libri, nell’arte, a parole, nelle ossa, negli edifici e nelle stoviglie. E nel DNA.

   

A ritroso nel tempo (e nel DNA)

Oggi sappiamo che prima di noi contemporanei hanno vissuto complessivamente poco più di 100 miliardi di esseri umani. Fin da giovane, ognuno di noi a un certo punto si chiede chi è, da dove viene, chi erano le persone dalle quali discende. Questa vertigine spaziotemporale (e genetica) è la scintilla che accende le pagine di un libro meno strettamente scientifico rispetto a quello di Rutherford, il cui valore va ricercato nella capacità di tenere avvinto il lettore in questo viaggio che tutti vorremmo fare alla ricerca delle nostre origini. Si intitola I miei primi 54.000 anni – Storia della mia famiglia e del nostro DNA (UTET, 2018, 438 pp., euro 25) e l’ha scritto Karin Bojs (1959), giornalista e divulgatrice scientifica per vent’anni caporedattrice del più importante quotidiano svedese.

Libro ibrido fatto di autobiografia, reportage e scienza, I miei primi 54.000 anni è il frutto di viaggi in dieci paesi, di interviste a circa settanta ricercatori e della lettura di centinaia di papers scientifici. Fra i ricercatori spicca un nome che torna a più riprese in tutti i libri che qui consigliamo: Svaante Pääbo, fra i fondatori della paleogenetica, lo scienziato dal quale ci vengono gran parte delle informazioni sui nostri antenati umani e al quale tutti consegnano denti o falangi affinché lui e la sua equipe possano estrarne DNA. E a proposito di aghi nel pagliaio...  

Magari gli aghi con la cruna non sembrano straordinari agli uomini dei nostri giorni, però nelle fasi più fredde delle glaciazioni devono aver fatto la differenza tra la vita e la morte. Indumenti di pelle pesanti e caldi erano determinanti nei climi rigidi, e un ago con la cruna facilitava il lavoro. Inoltre gli aghi erano utilizzati anche per cucire reti e nasse, così da poter pescare e cacciare in modo più flessibile, e tutti i membri del gruppo potevano collaborare, indipendentemente dalla loro prestanza fisica; gli aghi sono una delle invenzioni più significative dell’umanità. È evidente che il salto tecnologico avvenne nel sud-ovest dell’Europa, proprio in piena era glaciale. [p. 73]

  I resti fossili e artistici di inestimabile valore ritrovati nelle grotte europee come quella di Chauvet o di Cro-Magnon, l’incontro fra sapiens e neandertaliani, la domesticazione dei lupi che porterà ai cani, la storia della mummia Ötzi, i complessi spostamenti umani ai quali siamo risaliti grazie ai resti e all’analisi del DNA, la ricerca del proprio aplogruppo, sono solo alcuni dei momenti che porteranno l’autrice a scoprire le proprie origini e noi lettori a vivere con lei la sua avventura. E anche se è scandinava, è come se parlasse di tutti, perché tutti apparteniamo alla stessa specie.    

 

Le razze umane non esistono

In ogni specie possono differenziarsi razze diverse, se sussistono le condizioni. Nel caso degli esseri umani (segue spoiler) non sussistono, e le razze non esistono. Voce razzismo (parola coniata nel 1932) dal dizionario Zingarelli 2020:  

ideologia che, in base a un'arbitraria gerarchia tra le popolazioni umane, attribuisce superiori qualità biologiche e culturali a una razza, affermando le necessità di conservarla pura e legittimando discriminazioni e persecuzioni nei confronti delle altre razze considerate inferiori.  

Il Progetto Genoma Umano ha confermato ciò che la maggior parte dei genetisti già sapeva, cioè che la "gerarchia" di cui sopra è per l’appunto "arbitraria", ideologica, completamente avulsa da qualsiasi scientificità: le razze umane non esistono. Un portato ottocentesco che oggi risulta tragicamente resistente e anacronistico e che viene smontato pezzo per pezzo, con gli strumenti del sapere scientifico, da un genetista italiano maestro della divulgazione, Guido Barbujani (1955). Il suo libro L’invenzione delle razze. Capire la biodiversità umana (Bompiani, 2018, 236 pp., euro 11) è stato rieditato in una nuova edizione aggiornata, e in parte riscritta, che tiene conto proprio dei risultati del Progetto Genoma Umano.

Da leggere non soltanto perché è un ottimo libro e perché Barbujani è un punto di riferimento, ma anche per avere gli strumenti utili a smontare le tesi ridicole di chi ancora oggi si sente legittimato a essere razzista su presupposti completamente sbagliati e senza fondamento.    

Nel Seicento era stato difficile mandar giù l’idea che la Terra gira intorno al Sole. “Sono stato fermo tutto il giorno; stamattina il sole stava di là, adesso sta di qua, quindi si è mosso lui” sembrava un ragionamento di buon senso. “Lei ha la pelle nera, io bianca, quindi ci sono le razze” è un discorso altrettanto ricco di buon senso, e altrettanto sballato. [p. 13]

  A questo, che è l’argomento principale, fa da contorno la vera ossatura del libro, che come la scienza è fatto di storie appassionanti, esseri umani, scoperte, e preziose domande ancora senza risposta.    

 

Diamo troppe responsabilità al DNA?

Dopo queste tre letture, potremmo essere portati a pensare che tutto sia deciso dal DNA e lì scritto come sulla pietra. Basti pensare ai tanti articoli pseudoscientifici che incontriamo di tanto in tanto, tutti con il seguente schema: «Scoperto il gene che…» o «Scoperto il gene del…». Ai puntini di sospensione ognuno può sostituire ciò che vuole: una malattia, una caratteristica somatica o addirittura un comportamento, per esempio l'aggressività. Ma le cose, a quanto pare, non stanno così e tutto è più complicato e interessante.

A riportare il giusto equilibro ci pensano Guido Barbujani (ancora lui) e Lisa Vozza, che con il loro agile e stimolante libro Il gene riluttante. Diamo troppe responsabilità al DNA? (Zanichelli, 2016, 160 pp., euro 11,90) rispondono… sì, il DNA non fa miracoli e un singolo gene può poco o nulla. Potrebbero essere più di 44 i geni coinvolti solamente per stabilire l’altezza di un individuo.

Ciò che è certo è che «un gene non lavora quasi mai da solo» e che è tutto più complicato di quanto sembri. Ai 15/30 milioni di milioni di cellule che compongono il nostro corpo bisogna aggiungerne altrettante di microbioma, dove ogni specie di batterio, fungo o virus ha il proprio corredo genetico…  

Oggi sappiamo parecchio dei singoli guasti genetici che causano malattie come la distrofia muscolare di Duchenne, la fibrosi cistica e la corea di Huntington. Ma malattie del genere, dove la causa è unica e facile da individuare, sono rarissime. [p. 29]

  E se il Progetto Genoma Umano ci ha fornito tutte le lettere e le parole che formano il DNA umano, ancora molto c’è da fare per comprenderlo!  

Proprio come a scuola, saper leggere è giusto il primo passo. L’ordine delle lettere di un gene non dice nulla di come quel gene si comporta: quando è attivo, con quali altri geni o molecole collabora, in quali cellule. Non ci dice neppure quale proteina (o quali proteine!) salti fuori dalla sua trascrizione, quale sia la sua funzione e con quali altre proteine eventualmente interagisca. [p. 28]

  La scienza sa dire molto bene «non lo so». È grazie a questa consapevolezza che va avanti con passi da gigante, come abbiamo visto grazie a questi libri che raccontano il genoma, nonostante la “sintassi” del DNA sia ancora in buona parte un mistero. E a proposito di «saper leggere»:  

Il genoma è un testo sterminato. Nell’uomo le basi che lo compongono, identiche nei 46 cromosomi di ogni cellula, sono oltre 6 miliardi. I Promessi sposi sono lunghi circa un milione di caratteri, quindi ogni nostra cellula contiene un libretto di istruzioni pari a oltre 3000 volumi del romanzo di Manzoni. [p. 8 e 156]

  Dopo questo, ci piace pensare che l’entusiasmo degli studenti nei confronti del capolavoro di Manzoni sarà, finalmente, incontenibile.  

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