Kwely ndugu yanga
[Dallo swahili: “Dio mio, siamo proprio fratelli”]
A partire dal 1933, con l’uscita del film King Kong, gli esseri umani hanno manifestato grande interesse per le narrazioni popolari con le scimmie come protagoniste. Il più delle volte, tocca sottolinearlo, utilizzate come simbolo di qualcos’altro (alterità, dignità, natura selvaggia, furia cieca), ma restituendoci, almeno sulla schermo, quella parte di noi che pensavamo di aver perso con l’allontanamento dalla natura proprio del Novecento industrializzato. Oppure, questo è il caso del film Il pianeta delle scimmie (1968), con il fine di restituirci, come in uno specchio deformato, la nostra stessa violenza, in una allegoria di quella indole guerresca fondata sulla sopraffazione e sul potere che sta sempre lì, a scandire la Storia dell’uomo. La serie di King Kong (il 10 marzo del 2017 uscirà una nuova superproduzione tutta esplosioni e mostri Kong: Skull Island) e del Pianeta delle scimmie (l’ultimo film uscirà nel luglio del 2017: The war – Il pianeta delle scimmie) sono lì a dimostrarci che il discorso non è chiuso. Ma al di là delle deformazioni e mistificazioni cinematografiche, chi sono i Primati? L’ordine dei Primati attualmente è suddiviso in due sottordini: gli Strepsirrhini (“dal naso ricurvo”, naso unito al labbro superiore, come per esempio tutti i lemuri del Madagascar) e gli Haplorrhini (“dal naso semplice”). Il sottordine degli aplorrini contiene la famiglia degli Hominidae. Gli ominidi sono gli scimpanzé, i gorilla, gli oranghi e… noi, gli umani. Per un totale di 4 generi e 12 specie che condividono fra di loro almeno il 97% del DNA. Le Trimate, invece, sono tre specifici esemplari femminili di Homo sapiens. I loro nomi sono Jane Goodall, Dian Fossey e Biruté Galdikas, tre donne che hanno aperto sentieri inesplorati nella conoscenza, rispettivamente, di scimpanzé, gorilla e oranghi. Di loro racconta la graphic novel per ragazzi Primati – Le amicizie avventurose di Jane Goodall, Dian Fossey e Biruté Galdikas (Il castoro, 2015, 140 pp., euro 15,50, consigliato dai 10-12 anni in su). I disegni, dallo stile semplice, pulito ed efficace, sono di Maris Wicks. Il testo, basato su una bibliografia interessante che in parte approfondiremo fra poco, sono di Jim Ottaviani, ingegnere nucleare di formazione e autore specializzato nella riduzione a fumetti della vita di grandi scienziati (Feynman, Bohr, Galilei e altri). Le tre studiose si dividono equamente le 140 pagine di questa narrazione per immagini dei due autori statunitensi in un libro che ci è sembrato un ottimo punto di partenza per allargare il campo ad altre letture, come in effetti dovrebbe fare - e fa - ogni buon libro, ancor più per un argomento come quello delle scimmie antropomorfe che in Italia, a quanto pare, da un punto di vista editoriale, non gode di particolare fortuna e diffusione. Prima di approfondire singolarmente queste tre donne meravigliose, vediamo cosa hanno in comune le loro vite:- “Le amicizie avventurose”: le tre studiose avevano fra di loro ottimi rapporti, e per quanto le occasioni di frequentarsi fossero rare sapevano di poter contare professionalmente una sull’altra. Erano unite anche perché, oltre a essere le uniche al mondo a fare quel che facevano, avevano una visione della vita simile: stavano bene soprattutto quando erano insieme ai loro veri e più importanti amici... le scimmie che studiavano. L’aggettivo avventurose, invece, andrebbe mentalmente tradotto con infernali, riferendoci ai molti disagi che affrontarono per arrivare ai risultati eccezionali che riuscirono a raggiungere nel corso di lunghi anni di lavoro. Per esempio: malattie tropicali, febbri, dissenteria, clima avverso, ambiente ostile, pericoli mortali di varia natura, solitudine, bracconieri, burocrati, mancanza di fondi (gli ultimi due a volte legati fra loro).
- Louis Leakey: qualcuno ha definito le Trimate “Leakey’s Angels”, gli angeli di Leakey, come se fossero sue creature… Ci sembra che questa definizione sminuisca il valore di ciò che le tre donne hanno fatto anche senza Leakey (morto nel 1972), ma una cosa è certa: fu l’archeologo e paleoantropologo di fama internazionale della Cambridge University, con base a Nairobi, a credere in loro per primo. Dal suo punto di vista, la primatologia era fondamentale per comprendere le origini dell’uomo, per confermare, eventualmente, che il genere Homo era originario dell’Africa (come pensava Charles Darwin). La storia dimostrò che aveva ragione. In tutti e tre i casi, Leakey si trovò di fronte a ragazze appassionate e determinate, ma quasi completamente prive di esperienza e di formazione. “Louis credeva che le donne fossero più intuitive e pazienti dei maschi. Credeva anche che le donne non suscitassero l’aggressività dei primati maschi come gli uomini”, dice Biruté in Primati [p. 86]. E lo stesso Leakey, sempre nel fumetto, dice a Dian Fossey: “Non voglio gente troppo preparata. Piena di pregiudizi e preconcetti” [p. 46]. Pare che i tempi siano cambiati.
Jane Goodall
Jane iniziò a lavorare sul campo nel luglio del 1960, sei anni prima di Dian Fossey e undici prima di Biruté Galdikas (che iniziò nel settembre del 1971, un anno prima che Leakey morisse). È, quindi, un punto di riferimento per le altre due studiose. Fu la prima ad attribuire nomi propri, e non codici, a ogni singolo individuo di scimpanzé studiato nel parco di Gombe, in Nigeria, e successivamente in Tanzania. Fu la prima a osservare gli scimpanzé mentre utilizzavano degli arnesi: rametti per estrarre le termiti dai termitai o sassi per rompere i semi. Insieme alla scoperta che gli scimpanzé mangiavano anche carne di altri mammiferi, il lavoro di Jane fu la gioia di Louis Leakey, che a p. 23 di Primati dice in una conferenza: “Grazie a Jane, ora dobbiamo ridefinire le parole attrezzo e uomo” (dopo molti anni, la BBC sarà la prima a mostrare, nel ciclo-capolavoro Planet Earth, una dura sequenza di guerriglia fra due branchi di scimpanzé per il dominio di un’area ricca di cibo, con scene di cannibalismo. Ma la stessa Goodall aveva scoperto il "lato oscuro degli scimpanzé" già negli anni Settanta, grazie alla famosa e aspra Guerra degli scimpanzé del Gombe, durata per ben quattro anni). Chi è Jane Goodall? Ce lo dice lei stessa in La mia vita con gli scimpanzé – Una storia dalla parte degli animali (Zanichelli Chiavi di lettura, 2014, 175 pp., 11,50 euro), che consigliamo per approfondire la sua vita, il suo lavoro e la sua visione del mondo. Anche questo libro, come Primati, è pensato per essere letto dai giovani, senza ovviamente togliere nulla al piacere della lettura degli adulti. Da queste pagine emerge il sincero autoritratto di una persona che, abbandonato oggi il logorante lavoro sul campo, da anni non trascorre mai più di tre settimane nello stesso luogo, impegnata com’è a tenere conferenze in giro per il mondo, raccogliere fondi per il Jane Goodall Institute, e scrivere libri. Tre attività con un fine solo: salvaguardare, proteggere, conservare la fauna mondiale (non solo gli scimpanzé), con una passione e una determinazione inestinguibili (vedi l’intervista che la traduttrice del volume Ylenia Nicolini ha fatto all’etologa proprio per l’Aula di scienze). In La mia vita con gli scimpanzé Jane è bravissima a trasmettere il senso della meraviglia e della scoperta che ha accompagnato il suo percorso. Da piccola attraverso i libri sugli animali che leggeva e, una volta cresciuta, attraverso gli animali che teneva nella sua cameretta, sorta di mini-zoo… Jane racconta ciò che ha capito non solo degli scimpanzé, ma della vita in generale, e per una come lei, le due cose possono fondersi, e confondersi, in modo molto costruttivo. Per intenderci, ecco un brano che si trova in Primati, ma che potrebbe rappresentare bene anche la sua autobiografia pubblicata nelle Chiavi di lettura Zanichelli, dove emerge l’ispirazione che le madri di scimpanzé le hanno trasmesso per crescere i piccoli: “Quando Flint o Fifi si comportano male o fanno qualcosa che lei non vuole, non li punisce. Li ferma con gentilezza. E se non funziona, lo stesso non li punisce… li distrae, piuttosto. E li tocca. Di continuo, li pulisce, li coccola e li tocca. Il metodo funziona a meraviglia… tra madre e figlio, maschio e femmina, capo e membri del branco” [p. 36].Dian Fossey
“I nasi sono come grandi impronte digitali. Personalissimi. Inconfondibili”, dice Dian a p. 64 di Primati a proposito dei nasi di gorilla (aplorrini, ricorderete), uno diverso dall’altro. E così descrive il suo primo incontro con i gorilla: “Il verso precedette la vista, l’odore precedette entrambi. Un fetore mozzafiato, selvatico, bestiale e umano insieme, Ma il verso… era da non credere. Niente può prepararti a una simile valanga” [p. 41]. Sulla violenza selvaggia dei gorilla, dopo avere descritto il comportamento di due maschi silverback (schienagrigia), che sono i capobranco e dettano tempi e modi a tutti gli altri, Dian conclude: “Dopo tutto, di solito non sono violenti. Anche quando due gruppi si incontrano, i maschi silverback recitano lo scontro più che metterlo in atto. Altro che King Kong!” [p. 69]. Per approfondire la vita e la personalità di Dian Fossey, consigliamo la biografia scritta da Farley Mowat, Una donna tra i gorilla (Rizzoli, 1989, 441 pp., fuori catalogo), libro che l’autore ha scritto basandosi sui diari di lavoro e personali di Dian, sulle sue lettere private e ufficiali, e sulle sue pubblicazioni: la più importante il libro autobiografico Gorilla nella nebbia (Einaudi, 1997, 330 pagine, fuori catalogo e di difficilissima reperibilità), dal quale per fortuna Mowat estrapola ampi passaggi (da quest’ultimo libro, e con lo stesso titolo, è stato tratto un film con Sigurney Weaver nei panni di Dian, anch’esso non reperibile in home video). Se con Jane il clima è solido e sicuro, con Dian entriamo in un territorio molto diverso. Il territorio reale e psicologico, come ha mostrato Joseph Conrad nel capolavoro Cuore di tenebra che ha ispirato il film Apocalypse Now, della cosiddetta "Africa nera", un luogo, come scrive Douglas Adams ne L'ultima occasione, dove "vi si vive una vita più selvaggia ed esotica di quanto sia prudente condurre". Dian proveniva da una famiglia americana benestante, ma carente dal punto di vista affettivo. Grazie all’opportunità che le offrì Leakey, prese la decisione di lasciare finalmente gli Stati Uniti per andarsene in Ruanda a studiare i gorilla di montagna. Qui fondò il centro di ricerca Karisoke, nome che deriva dall’unione dei nomi delle due montagne Karisimbi e Visoke, sul confine tra Ruanda e Congo, all’interno del Parc National des Volcans, versante ruandese. Soggetta a forti depressioni e numerosi problemi fisici, Dian cercava di placare la sofferenza con storie d’amore senza futuro e serate alcoliche, spesso solitarie, nella sua capanna. Capace di grandi e generosi slanci, era però anche estremamente dura e intransigente. “Chi maltrattava gli animali non poteva aspettarsi la minima tolleranza da lei” [Mowat, p. 130]. Le parole che Dian usò per descrivere il suo rapporto con i gorilla sono “dolcezza”, “tranquillità”, “fiducia” [p. 127], e questo chiarisce la sua spietatezza nei confronti dei bracconieri, verso i quali non ammetteva sconti né compromessi, atteggiamento che, secondo molti (anche secondo gli autori di Primati), portò alla sua brutale uccisione. Detto questo, affrontò indicibili disagi e sofferenze con un unico obiettivo: salvare dall’estinzione i gorilla di montagna. All’epoca se ne stimavano circa 250 esemplari. Oggi, grazie al lavoro precursore di Dian, gli esemplari pare siano 700. Dian visse e morì secondo il suo volere. Queste sono le ultime parole che scrisse in stampatello sull'ultima pagina del suo diario poco prima di morire: “QUANDO CAPISCI QUAL È IL VALORE DI TUTTA LA VITA, TI SOFFERMI DI MENO SUL PASSATO E TI CONCENTRI DI PIÙ SULLA CONSERVAZIONE DEL FUTURO” [Mowat, p. 424] Ancora oggi, non sappiamo chi l’abbia brutalmente uccisa con un machete di proprietà della stessa Dian, all’interno della sua capanna. Mowat avanza ipotesi condivisibili: “Io sospetto che sia stato un africano che le era familiare, e che a sua volta aveva familiarità con il campo e con le sue attività quotidiane. Presumo che sia stato assoldato, o corrotto, da persone influenti che sempre più vedevano in Dian un pericoloso ostacolo allo sfruttamento del Parc National des Volcans, e specialmente dei gorilla. Credo che la proroga del visto di Dian per due anni sia stata la sua condanna a morte” [p. 429]. Dian è sepolta a Karisoke di fianco ai suoi amici gorilla uccisi dai bracconieri, primo fra tutti Digit, il gorilla che ha dato il nome al Digit Fund, poi rinominato The Dian Fossey Gorilla Fund International. “Una donna innamorata della vita – di ogni forma di vita – una donna che ha fatto ciò che i grandi amanti devono sempre fare: ha dato completamente se stessa a coloro che amava” [p. 426].Biruté Galdikas
Biruté, di origini lituane e cresciuta a Toronto, è l'’ultimo "angelo di Leakey" ed è la prima grande studiosa di orangutan al mondo. Al suo mentore dedica scherzosamente queste parole: “Louis ci diede un aiuto più concreto: attrezzatura. Faceva sempre lui gli acquisti e pagava di persona. Perciò era tutta roba usata” [Primati, p. 89]. La destinazione di Biruté fu Tanjung Puting, in Indonesia, oggi - anche grazie a Biruté - Parco Nazionale. Il ritmo del suo lavoro era molto diverso da quello delle due colleghe: “Il comportamento sociale che Jane Goodall osserva negli scimpanzé in poche ore, io lo osservo negli oranghi in due mesi. Anzi, facciamo pure due anni. Più li osservo, più apprezzo la loro abilità nell’arrampicare. Sono meravigliosi, perfetti arboricoli. Io me ne sto giù tra i vermi” [p. 102]. Di Biruté, in Italia, non è stato tradotto nessun testo, sebbene ne esistano almeno tre. Ci auguriamo che qualche editore rimedi a questa mancanza.Elogio dei Primati
L’ultimo libro che consigliamo è fotografico: Steve Bloom, Elogio dei Primati (Könemann, 1999, 240 pp., reperibile tra i 15 e i 20 euro nei canali online di libri usati, prefazione di Jane Goodall). Splendide fotografie di un grande fotografo naturalista, suddivise fra scimpanzé, orangutan, gorilla, macachi delle nevi e le altre scimmie.
In questa foto è ritratta una madre adottiva di scimpanzé con dei cuccioli orfani (immagine: Steve Bloom)