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Quanto ne sai sul cambiamento del clima?

2. Quali sono le evidenze del riscaldamento globale?

Una rassegna dei dati scientifici più recenti fa capire che il clima terrestre sta cambiando in modo significativo e molto rapido.

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Numerose osservazioni indicano che l’atmosfera terrestre e gli oceani si stanno riscaldando. Per capire come mai questo fenomeno preoccupa tanto gli scienziati è bene partire da ciò che sappiamo dei cambiamenti climatici del passato investigati dalla paleoclimatologia.

Per ricostruire l’evoluzione del clima nel tempo, i paleoclimatologi incrociano tra loro i dati derivanti da una grande varietà di ricerche scientifiche come, per esempio, lo studio dei pollini fossili, degli anelli di accrescimento degli alberi, dell’erosione e delle morene prodotte dai ghiacciai, dei sedimenti sui fondali oceanici e del «ghiaccio fossile» che si trova in profondità nelle calotte polari.

I cambiamenti climatici del passato

Da quando esiste il genere umano (comparso più di 2 milioni di anni fa, quando in Africa dagli australopitechi si sono evoluti i primi Homo habilis) il clima sulla Terra è cambiato molte volte.

Nel Quaternario – il periodo geologico più recente, iniziato circa 2,6 milioni di anni fa – si sono susseguite molte decine di ere glaciali, ciascuna formata da una fase fredda, la glaciazione, seguita da una fase più calda, detta periodo interglaciale.

Il grafico che segue, basato sullo studio dei sedimenti prelevati al fondo degli oceani, ricostruisce le oscillazioni della temperatura media globale durante le ere glaciali [1].
I valori assoluti sono stime soggette a notevoli incertezze, ma sicuramente in ogni era glaciale la temperatura è variata di parecchi gradi Celsius.

Nell’ultimo milione di anni le glaciazioni si sono ripetute a intervalli di circa 100 000 anni. Attenzione alla scala orizzontale del grafico: quelle che a prima vista sembrano rapide variazioni della temperatura media hanno richiesto in realtà migliaia o decine di migliaia di anni. Si è trattato quindi di fenomeni lenti e graduali rispetto alla scala dei tempi della vita umana.

Molte informazioni sul clima del passato ci arrivano da uno straordinario «archivio naturale»: il ghiaccio delle calotte polari, che è via via più antico a mano a mano che si scende in profondità.

In Antartide i ricercatori hanno trivellato fino a migliaia di metri di profondità e hanno potuto così estrarre campioni cilindrici («carote») da strati di ghiaccio originati da neve caduta centinaia di migliaia di anni fa.

Quando quella neve si è compattata, parte dell’aria presente tra i fiocchi è rimasta intrappolata nel ghiaccio: con il carotaggio, così, oggi si possono recuperare anche bolle di «aria fossile» che forniscono informazioni sulla composizione dell’atmosfera del lontano passato.

L’analisi quantitativa dei diversi isotopi dell’idrogeno presenti permette di stimare in modo indiretto la temperatura all’epoca in cui il ghiaccio si è formato. Dalle bolle d’aria invece si può ricavare una misura diretta della concentrazione dei diversi gas nell’atmosfera dell’epoca.

Il grafico che segue mostra i dati ottenuti in questo modo per un periodo di tempo di oltre 400 000 anni, che copre le ultime quattro ere glaciali [2].

L’andamento della temperatura (grafico in alto) è in ottimo accordo con la porzione corrispondente della figura precedente, basata su dati relativi ai sedimenti oceanici.

Qui in più si può notare una chiara correlazione, attraverso i millenni, tra le variazioni della temperatura e quelle della concentrazione di CO2 atmosferica (grafico in basso). Da questi dati non si può però dedurre un rapporto causale tra le due grandezze: in altre parole, potrebbe essere la temperatura a influenzare la concentrazione di CO2, oppure viceversa.

La figura mostra una repentina impennata nella curva della concentrazione di CO2 all'approssimarsi dei tempi odierni. Come vedremo quando tratteremo dell'effetto serra, negli ultimi decenni la concentrazione di CO2 atmosferica è «esplosa» raggiungendo valori senza precedenti, ben al di fuori della scala del grafico qui sopra.

Dalle ere glaciali all’Antropocene

Durante le glaciazioni l’emisfero nord terrestre aveva l’aspetto mostrato nella figura seguente.
La calotta polare artica si estendeva su tutta l’Europa settentrionale e l’arco delle Alpi era ricoperto da giganteschi ghiacciai.

A causa del congelamento di parte dell’acqua degli oceani, il livello del mare era molto inferiore a quello attuale. Per esempio, l’Adriatico era prosciugato a nord di Ancona e la Sicilia si estendeva fin quasi alla costa settentrionale africana.

La fine dell’ultima glaciazione, circa 12 000 anni fa, segna il passaggio dal Pleistocene all’Olocene, l’epoca geologica che segna l’inizio del periodo interglaciale in cui viviamo oggi.
Nell’Olocene la nostra specie è rimasta l’unica superstite nel genere umano, dopo l’estinzione degli Homo floresiensis, circa 50 000 anni fa, e degli Homo neanderthalensis, circa 35 000 anni fa.
L’Olocene ha visto la diffusione di Homo sapiens in tutto il globo, il passaggio dal nomadismo basato sulla caccia alla vita stanziale basata sull’agricoltura e la nascita di varie civiltà nei diversi continenti.

Più volte la storia delle società umane ha risentito di fluttuazioni locali del clima, ma globalmente le condizioni climatiche sono rimaste quasi costanti per millenni.
Lo sviluppo tecnologico dell’umanità, che per millenni è stato lento e graduale, ha poi avuto un’accelerazione impetuosa negli ultimi due secoli.

A partire dalla Rivoluzione industriale dell’Ottocento le nostre attività hanno iniziato ad avere un impatto globale sull’atmosfera e sugli oceani, in particolare con l’emissione dei gas prodotti dalla combustione del carbone, del gas naturale e dei derivati del petrolio.

Secondo molti studiosi la metà del Novecento segna il passaggio dall’Olocene all'Antropocene, la nuova epoca in cui l'umanità ha invaso tutti gli ecosistemi influenzando perfino la geologia del pianeta: nei sedimenti del secolo scorso, infatti, si rinvengono tracce indelebili dei radionuclidi dispersi in tutto il globo dalle esplosioni delle bombe atomiche e termonucleari.

Nell’Antropocene anche il clima ha iniziato a cambiare in modo marcato, con un’evoluzione rapida e preoccupante che, secondo la grande maggioranza degli scienziati, è conseguenza delle attività umane.

L’aumento della temperatura media globale

Da più di un secolo i meteorologi raccolgono quotidianamente dati sulle condizioni dell’atmosfera in tutto il mondo. Oggi, perciò, abbiamo informazioni accurate sull’evoluzione del clima, attraverso la media dei dati meteo registrati nell’arco di molti decenni.

Il grafico seguente, realizzato dall’agenzia spaziale degli Stati Uniti (la NASA), si basa su dati raccolti in più di 20 000 stazioni meteorologiche distribuite in tutto il mondo.
Ogni punto è il valore della temperatura media globale relativo a un anno. Le barre verticali rappresentano l’errore stimato sulle misure. La curva rossa è una media su 5 anni, aggiunta per accompagnare l’occhio smussando le variazioni da un anno all’altro.
Il grafico mostra che negli ultimi 50 anni, dal 1970 al 2020, la temperatura della superficie terrestre si è innalzata di circa 1 °C.

Un riscaldamento globale di 1 °C potrebbe sembrare poca cosa, ma abbiamo visto che nella storia naturale del clima questo tipo di variazione normalmente richiede migliaia di anni.
Ciò che preoccupa i climatologi è la rapidità del fenomeno, il fatto che l’aumento di temperatura sia avvenuto in pochi decenni ― un battito di ciglia nella storia geologica del pianeta ― e non mostri alcun segno di volersi arrestare.

Il riscaldamento è maggiore nell’Artico

Il planisfero che segue mostra la distribuzione geografica dei dati raccolti dalla NASA; i valori medi della temperatura nell’ultimo decennio sono confrontati con quelli misurati nel periodo 1951-1980.

Sugli oceani l’aumento della temperatura generalmente è minore di 1 °C, mentre è maggiore su gran parte delle masse continentali.
Il dato più eclatante però è il riscaldamento delle regioni artiche, dove la temperatura media è aumentata anche di 4 °C.

Probabilmente questo fenomeno è dovuto a una tra le retroazioni che caratterizzano il sistema climatico, quella legata all’albedo, cioè al potere riflettente delle superfici:

  • il ghiaccio riflette molta più radiazione solare rispetto all’acqua dell’oceano o alle rocce;
  • quando fa più caldo, il ghiaccio artico fonde e lascia esposte l’acqua dell’oceano o le rocce sottostanti;
  • l’albedo così si riduce e la superficie terrestre assorbe una frazione maggiore dell’energia solare;
  • si ha quindi un feedback positivo: quando la temperatura sale, il riscaldamento viene favorito e la temperatura sale ancora di più.

Una conseguenza eclatante del riscaldamento dell’Artico è proprio l’aumento della fusione delle calotte polari.

La figura seguente mostra che cosa sta accadendo in Groenlandia.
Soltanto 30 anni fa la fusione estiva della calotta superficiale era limitata ad alcune zone costiere, mentre oggi l’area in cui d’estate i ghiacci fondono si estende su più di un milione di kilometri quadrati (oltre 3 volte la superficie dell’Italia).

In autunno poi la calotta congela di nuovo, ma intanto una grande massa di acqua da fusione defluisce fino alla costa e si riversa nell’Oceano Atlantico.

Il ritiro dei ghiacciai

Un effetto evidente del riscaldamento globale è il ritiro dei ghiacciai, fenomeno che è in corso da decenni in tutto il mondo.

Il confronto tra le due fotografie qui sotto, per esempio, permette di rendersi conto di come è cambiato in soli 30 anni il ghiacciaio del Lys, nel massiccio del Monte Rosa. L’arretramento medio in questo periodo è stato di decine di metri ogni anno.
Le linee rosse evidenziano i fronti delle lingue glaciali, che oggi sono confinate al di sopra dei 3000 metri di altitudine.

Gli studiosi temono che nei prossimi decenni quasi tutti i ghiacciai delle Alpi scompariranno, con la sola eccezione di quelli situati sopra i 4000 metri di quota.
Se ciò accadrà, si perderà un prezioso serbatoio di acqua dolce per quella metà della popolazione italiana che vive nella Pianura Padana.

L’innalzamento del livello del mare

Un’altra conseguenza del riscaldamento globale - per ora non evidente a occhio nudo, ma confermata da solidi dati scientifici – è l’innalzamento del livello del mare.

In passato il livello del mare si misurava in base ai limiti raggiunti durante l’anno dalle maree nelle località costiere. Oggi lo si può misurare con estrema precisione, grazie ai satelliti artificiali, con tecniche come il LIDAR.

Il grafico mostra che negli ultimi 140 anni il livello medio del mare è aumentato di circa 25 centimetri. Il ritmo dell’aumento attualmente è di 3,5 millimetri all’anno e i dati indicano che sta crescendo.

L’aumento delle temperature fa innalzare il livello del mare per due ragioni: la dilatazione termica dell’acqua, quando si riscalda, e l’aggiunta all’acqua oceanica di quella proveniente dalla fusione dei ghiacciai e delle calotte polari.

Per avere un’idea quantitativa del primo fenomeno, a 10 °C il coefficiente di espansione termica dell’acqua vale 10-4/°C, cioè un decimillesimo per grado Celsius. Perciò, se una colonna d’acqua di base fissata e alta 1500 metri (la profondità media del Mediterraneo) si riscalda di 1 °C, l’altezza della colonna sale di 15 cm.

Al giorno d’oggi la fusione dei ghiacci contribuisce a circa la metà dell’aumento del livello del mare osservato. Come abbiamo visto, però, si tratta di un fenomeno in rapido aumento; la sola calotta glaciale della Groenlandia, se dovesse fondere interamente, farebbe innalzare il livello degli oceani di 7-8 metri.

Al ritmo del trend attuale il livello del mare salirebbe di altri 30 cm entro il 2100, ma molti climatologi temono che i meccanismi di feedback del sistema climatico possano accelerare il fenomeno. Entro la fine del secolo l’innalzamento del livello del mare potrebbe allora raggiungere i 2 metri, un’eventualità che avrebbe conseguenze disastrose per le popolazioni delle zone costiere di tutto il mondo.

Note

[1] Per produrre questo grafico le paleoclimatologhe Lorraine Lisiecki e Maureen Raymo hanno elaborato i dati ottenuti analizzando gli isotopi dell’ossigeno presenti nei gusci calcarei dei foraminiferi (protisti microscopici) in oltre 50 campioni di sedimenti oceanici e ipotizzando una correlazione con le variazioni periodiche dell’orbita terrestre (cicli di Milankovitch). Figura adattata dall’articolo originale del 2005.

[2] Valori desunti dai campioni di ghiaccio estratti con il carotaggio nella base russa Vostok, in Antartide. Figura adattata da Petit et al, Nature 1999.

Mettiti alla prova

Quanto ne sai sul cambiamento del clima?

  1. Che cos’è il clima e quali fenomeni lo influenzano?
  2. Quali sono le evidenze del riscaldamento globale?
  3. Che cos’è l’effetto serra e perché sta aumentando?
  4. Quali saranno le conseguenze del riscaldamento globale?
  5. Che cosa si sta facendo per frenare il riscaldamento globale? 
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L’evoluzione della temperatura media globale e della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera negli ultimi 400 000 anni.

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Come sta cambiando il livello del mare. Fonte: CSIRO, Agenzia scientifica nazionale dell’Australia

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A sinistra: Un campione di ghiaccio profondo estratto con il carotaggio in Antartide. A destra: bollicine d’aria fossile in una fettina di carota di ghiaccio
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L’evoluzione della temperatura media globale negli ultimi 140 anni. Fonte: NASA Goddard Institute for Space Studies

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Le oscillazioni della temperatura media globale durante le ere glaciali
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Il ritiro del ghiacciaio Lys del Monte Rosa in 30 anni
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Il riscaldamento globale nelle diverse regioni del mondo. Fonte: NASA Goddard Institute for Space Studies

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Le aree della Groenlandia in cui d’estate si ha fusione del ghiaccio
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L’estensione dei ghiacci e il ridotto livello del mare durante una glaciazione
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