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Le dipendenze nell’era digitale

Esiste l’abuso di internet?

Stare troppo in rete può fare male, ma crea davvero dipendenza? Il dibattito è aperto. Nel frattempo, promuoviamo un uso più consapevole dello smartphone

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C’è l’uso e c’è l’abuso. C’è il bicchiere di vino e c’è l’alcolismo. Ci sono i social network e c’è… già: c’è un abuso di social network? Che ci sia una presenza ingombrante racchiusa nel piccolo schermo dei nostri smartphone è esperienza comune: una vita virtuale tra avatar e cuoricini, che a volte sgomita e occupa il nostro tempo più di quella reale, spesso molto meno divertente. Ma c’è una definizione, un’evidenza scientifica, qualcosa che permetta di dire che davvero stare troppo attaccati a computer e telefonino renda possibile l’instaurarsi di una dipendenza simile a quella da alcol, da fumo e da droghe?
La risposta è ni. Nonostante la crescente evidenza scientifica che un uso eccessivo di social può portare a delle conseguenze negative per la salute mentale e fisica delle persone, tali comportamenti rischiosi non sono ancora stati formalmente definiti come una dipendenza. Spiega Tania Moretta, psicofisiologa e ricercatrice al CNR e a eCampus University:

Al momento, dal punto di vista clinico, esistono solo due diagnosi possibili di dipendenza comportamentale: quella da gioco d’azzardo e quella da gioco online. Mentre su altri comportamenti, come quelli da uso eccessivo di internet, la discussione è aperta.

In termini comuni, una dipendenza è un fenomeno che induce a ripetere certi comportamenti anche quando provocano problemi di funzionamento sociale, come l’isolamento lavorativo, come la rinuncia alla scuola, e di salute, come i disturbi alimentari e quelli del sonno. Ed è vero che lo vediamo spesso in persone che stanno molto tempo da sole attaccate a un computer. Il punto chiave però è che non si sa ancora quale sia il ruolo esatto di internet. Ne segue che anche parlare di interventi mirati di prevenzione e cura è faccenda assai delicata.

Segnali di allerta e buone norme

Nel frattempo si può parlare di uso problematico di internet (la sigla in inglese è PUI) e ci si può riferire al gruppo di ricerca europeo European Network for Problematic Usage of the Internet che nel contesto del COST (European Cooperation in Science and Technology) sta cercando di definire e affrontare il problema, seguito dal BootStRaP (Boosting Societal Adaptation and Mental Health in a Rapidly Digitalizing, Post-Pandemic Europe), un network di gruppi di ricerca provenienti da tutta Europa.

Le prime ricerche degli anni ’90 hanno infatti messo in luce come, man mano che internet entrava nelle nostre vite, si osservava l’emersione di alcuni comportamenti problematici meritevoli di attenzione. Con la pandemia, si è poi rilevato un chiaro aumento soprattutto del gioco d’azzardo online e dell’uso di pornografia online. E in attesa che si definisca in maniera chiara se si tratti di una dipendenza o meno, ci si può riferire alle linee guida del gruppo, che spiegano come riconoscere i primi segni del problema: segni di frustrazione eccessiva in ambienti senza internet, abitudine a dire menzogne sul proprio uso della rete o a vergognarsene, assenza di interessi sessuali offline ed eccesso di attenzione al porno online… E danno consigli specifici sul tema: evitare di avere internet a portata di mano quando si deve studiare, considerare limitazioni precise di tempo da dedicare alle attività online, chiudere internet almeno un’ora prima di andare a dormire, chiedere aiuto specialistico se si associano sintomi di altro tipo (ansia, aggressività, uso di sostanze…). E cercare di far crescere e migliorare la qualità delle interazioni sociali offline.

A che punto è la ricerca?

Ma perché dobbiamo parlare genericamente di “problema” e non possiamo parlare di “dipendenza”? Può sembrare una questione di lana caprina, ma a rivedere le due forme di dipendenza comportamentale oggi acclarate, gioco d’azzardo e gioco online, la faccenda si chiarisce. Il punto è che si può pensare che la dipendenza sia primariamente “da gioco”, che può poi declinarsi in versione “online” se si gioca con una app. Oppure si può pensare che internet (con i suoi meccanismi di anonimato, la sua rapidità e facilità di accesso, la sua diffusione e la sua economicità) sia un problema di per sé, capace di indurre l’insorgenza di disturbi che non esisterebbero altrimenti. A seconda di quale visione sposiamo, l’approccio clinico al tema cambia radicalmente. Spiega Moretta:

In effetti anche i due manuali di riferimento per i disturbi mentali, cioè il DSMV e l’ICD, su questo hanno visioni diverse. Va detto però che la tendenza sta diventando quella di propendere per la seconda ipotesi, cioè quella per cui internet e i social network siano di per sé patogeni, perché capaci di indurre modificazioni all’attività dopaminergica alla base di una dipendenza.

Una dipendenza è un comportamento che nasce come ricreativo perché induce piacere attraverso l’attivazione di certe vie nervose specifiche dove opera il neurotrasmettitore chiamato “dopamina”, il cui rilascio è generalmente associato a stimoli che producono motivazione e soddisfazione. Può essere un piacere eccitatorio, ma anche una sedazione degli stati emozionali negativi. Dopodiché “impariamo” che il trucco funziona, che la cosa ci fa stare bene, e non riusciamo più a smettere. A questo riguardo Moretta precisa:

Quando si instaura una dipendenza il meccanismo diventa compulsivo e si perdono le capacità inibitorie che ci permettono, in condizioni non patologiche, di capire il momento in cui si deve interrompere il gioco perché proseguire provoca perdite maggiori del guadagno.

Intanto le ricerche su quello che succede al nostro cervello quando riceviamo like e cuoricini si stanno accumulando, mostrando come anche quando facciamo un uso equilibrato dei social network la cosa ci dà piacere. Come pensare il contrario? Questo però potrebbe essere il presupposto per ipotizzare che, in caso di vulnerabilità, da una semplice soddisfazione si passi a una specie di smania e poi a una situazione patologica. Ancora Moretta:

Anche ricerche alle quali ho partecipato hanno mostrato risultati di questo tipo: le cosiddette aree del piacere si attivano alla visione dei loghi dei nostri social network preferiti, sia che abbiamo un comportamento tendenzialmente problematico sia in condizioni di uso non problematico. La differenza è che chi tende al problematico ha difficoltà a sganciarsi.

L’importanza della cautela

Però sono studi piccoli, non ancora replicati, ovviamente non si possono immaginare su modelli animali, e Moretta stessa è cauta:

Quando leggiamo articoli e libri divulgativi sul tema bisogna fare attenzione: ci vorranno ancora tantissime altre ricerche per poter fare affermazioni precise.

Già, perché il meccanismo classico della dipendenza potrebbe, con internet, arricchirsi di fattori nuovi, per esempio sul fronte della regolazione emozionale. O perché potremmo capire che gli adolescenti sono più a rischio degli adulti per ragioni precise. Su quali aspetti concentrarsi nel frattempo? Moretta chiarisce:

Al momento i clinici stanno osservando spesso ragazzi con questo problema. In generale chi di loro pensa che si tratti di comportamenti problematici preesistenti che si estrinsecano tramite internet (dove internet rappresenta solamente un mezzo) lavora sugli aspetti sottostanti di ansia o di alterazioni dell’umore. Chi invece pensa che si tratti di una dipendenza primaria usa tecniche ereditate dalla letteratura sui disturbi da uso di sostanza, cioè lavora sull’autoconsapevolezza del comportamento e sullo sviluppo delle capacità di regolazione emozionale.

I clinici, cioè, stanno facendo un gran lavoro e si orientano come possono. Intanto anche i ricercatori si danno da fare. Ancora Tania Moretta:

Dobbiamo definire il problema, caratterizzarlo e riuscire a inserirlo nei manuali diagnostici. Peraltro così riusciremo anche a disegnare interventi di prevenzione potendo prevedere se e come funzioneranno.

Quanto al pubblico, cioè a noi, possiamo forse lavorare sul distacco che si è creato tra generazioni che hanno dimestichezze e abitudini diverse con gli ambienti virtuali. Senza demonizzare o affidarsi ai luoghi comuni. Aiutando chi ha bisogno di maturare una socialità consapevole, affiancandolo nelle sue attività online, e riconoscendo chi ha difficoltà e problemi che trovano sollievo solo lontano dalla realtà. Ma senza tormentare chi usa internet con consapevolezza, per esempio per leggere fino in fondo un articolo come questo.

immagine di copertina: dotshock / 123RF

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