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Le dipendenze nell’era digitale

Lo stigma sociale della dipendenza

Gli studi dimostrano che il fenomeno della dipendenza sia considerato un fallimento personale da gestire da soli, non una vera malattia da curare

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Le persone che soffrono di disturbi correlati a sostanze e, in generale, di condizioni di dipendenza vivono molto spesso forme estreme di stigmatizzazione. La letteratura che analizza questa relazione ci dice, infatti, come la popolazione generale abbia, nei confronti di chi lotta contro una dipendenza, atteggiamenti radicati più ostili e negativi rispetto a quelli rivolti alle persone con problematiche di salute mentale (Kulesza et al., 2013).

Nel 2014, Barry et al. hanno approfondito le credenze di più di 700 partecipanti rispetto alle categorie sopra citate per cercare di comprendere le differenze di attitudini rispetto alle due condizioni. Sono stati esplorati il desiderio di distanziamento sociale, le credenze dei partecipanti rispetto a quanto impatto potesse avere la discriminazione sui soggetti, quanto credevano potessero essere efficaci i trattamenti e quale opinione avevano rispetto alle politiche di aiuto, come per esempio forme di supporto lavorativo o investimenti pubblici sulle politiche di trattamento. Dai risultati è emerso come i partecipanti riportassero credenze decisamente più negative nei confronti dei soggetti con dipendenze. Soprattutto, sono stati riscontrati maggiore desiderio di distanziamento sociale, una percezione meno grave e impattante degli effetti che la discriminazione può avere sulle persone, maggiore opposizione rispetto alle pratiche di sostegno e aiuto e, in generale, una tendenza a giudicare il trattamento come meno efficace. Questo primo studio può aiutare a comprendere come un certo tipo di convinzioni possa avere un impatto notevole sul percorso riabilitativo di una persona e come opinioni diffuse tra la popolazione possano andare ad alimentare disparità e disuguaglianze (Barry et al., 2014).

Cercare di comprendere la motivazione sottostante a questa differenza di attitudini è complesso. Una delle ragioni risiede probabilmente nel fatto che, nel caso delle dipendenze, alcune volte vengono attuati comportamenti aggressivi o trasgressioni sociali, per esempio nel corso delle condizioni di astinenza, e ciò risulta in una maggiore difficoltà da parte della popolazione ad assumere atteggiamenti di empatia e comprensione (Volkow, 2020). Inoltre, i comportamenti di dipendenza sono fortemente moralizzati nella maggior parte delle società (Kulesza et al., 2013). Tuttavia, la ragione preponderante risiede nelle spiegazioni che la popolazione generale si dà rispetto alle cause della dipendenza. Oggi sappiamo come la dipendenza nasca dall’interazione complessa di cause biologiche, sociali e psicologiche e come alcune persone siano più propense a svilupparla per via della predisposizione; inoltre, è ormai ampia la conoscenza circa gli effetti che i comportamenti di dipendenza hanno sui circuiti cerebrali di ricompensa, autoregolazione, umore e risposta allo stress (Volkow, 2020).

Il fenomeno della dipendenza va quindi compreso come prodotto dell’interazione tra le caratteristiche dell’individuo, la biologia, i setting, le politiche e i contesti culturali (Matthews et al., 2017). Volkow riporta come, tuttavia, siano ancora diffuse tacite credenze altamente radicate circa il fatto che alla base della dipendenza ci sia la volontà dell’individuo. La dipendenza non è ancora accettata come una patologia, bensì è percepita come un comportamento perseguito volontariamente e a cui è sufficiente dire di no per poterlo interrompere. Crisp et al. (2000) hanno riportato come le persone con problematiche di dipendenza vengano descritte, rispetto a quelle con problemi di salute mentale, come più pericolose, imprevedibili, ma soprattutto responsabili della loro condizione e, per questo, da incolpare. Quindi, più che come una patologia, la dipendenza viene percepita come un difetto morale (Barry et al., 2014).

[…] Corrigan et al. (2016) riportano, tra i principali stereotipi e pregiudizi, il fatto che le persone con una dipendenza siano percepite come pericolose, immorali, criminali e da incolpare per la propria condizione. Ciò si tradurrebbe nell’applicazione dello stereotipo a se stesse, ed è ciò che condurrebbe alle conseguenze negative, tra cui anche l’interiorizzazione del senso di colpa per la propria condizione. Un aspetto importante preso in considerazione da Matthews et al. (2017) è il concetto secondo cui le persone sarebbero poi portate ad agire conformandosi all’immagine pubblica negativa che le accompagna e, soprattutto, da interviste qualitative emerge come siano così spinte a protrarre il consumo di sostanze e i comportamenti dipendenti, con lo scopo di mettere da parte i sentimenti negativi e dimenticare. Gli autori si riferiscono a questo processo con il termine looping effect (Hacking, 1995), tale per cui «la classificazione carica di normatività di un gruppo, in questo caso le persone con dipendenza, si riflette in un comportamento conforme a quella classificazione». Corrigan e Watson (2002) spiegano come, anche nel caso delle dipendenze, lo stigma comporti poi una notevole perdita di autostima e di senso di autoefficacia, fattori che si rivelano controproducenti rispetto alla motivazione per cercare il trattamento. […] Lo stigma è stato proposto, soprattutto nel contesto delle dipendenze, come una delle principali barriere che ostacolano la ricerca di aiuto (Kulesza et al., 2013).

[…] Un ultimo aspetto cruciale da tenere in considerazione quando si analizza l’impatto dello stigma sulle dipendenze è il ruolo determinante che l’isolamento sociale ha sul suo mantenimento. Come abbiamo analizzato, uno dei risultati più consistenti che lo stigma produce a livello di reazioni comportamentali è l’evitamento sociale perpetuato dalla popolazione generale (Corrigan & Watson, 2002).

Questo brano è tratto dal capitolo 3.2 del volume Psicologia e psicopatologia delle nuove dipendenze, di Ornella Corazza e Gianluca Esposito. Il capitolo 3.2 Stigma e dipendenze è stato scritto da Rachele Franzoso, Alice Ambrosini, Marta Ciambella. L’indice del libro è disponibile a questo link.

immagine di copertina: nexusplexus/123RF

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