Il pianeta che l’Homo sapiens, facendo valere la sua prospettiva, ha chiamato «terra», è ricoperto per il 71% di acqua. Una condizione che lo rende unico nel Sistema solare, e che è all’origine di tutte le forme di vita che è capace di ospitare.
Il ruolo dell’acqua gli esseri umani lo hanno sempre avuto molto chiaro. Millenni prima che fossimo in grado, grazie al metodo scientifico, di descrivere il ciclo fisico dell’acqua, di comprendere la fotosintesi clorofilliana delle piante e i processi che le proprietà solventi dell’acqua rendono possibili dentro il citoplasma delle cellule animali, il sentimento della sete ci rendeva già certi che dal fluire di questo elemento, dentro e fuori di noi, dipendesse il futuro di tutto ciò che esiste.
Lungo i fiumi, fuori dalla preistoria
La sicura presenza di acqua in un luogo piuttosto che in un altro è alla base della scelta stanziale di Homo sapiens: all’inizio del Neolitico, 10.000 anni fa. È sulla capacità di utilizzo delle risorse idriche dei fiumi che si fondano le antiche civiltà che conducono gli esseri umani fuori dalla preistoria, in Africa e Asia: gli antichi egizi sul Nilo, le civiltà mesopotamiche tra il Tigri e l’Eufrate, la civiltà cinese lungo lo Huang He (il Fiume Giallo), la civiltà indiana lungo l’Indo e il Gange. Senza acqua non c’è cibo garantito, non c’è stanzialità, non c’è organizzazione sociale, non c’è scrittura, non c’è Storia.
Il carattere primigenio dell’elemento acquatico è non a caso presente in tutti i sistemi filosofici e religiosi. L’acqua, che per gli antichi greci, da Empedocle ad Aristotele, era uno dei quattro elementi fondamentali della materia, è affiancata ai concetti di nascita e purificazione in tutti e tre i grandi monoteismi abramitici (basti pensare al battesimo cristiano o all’importanza delle abluzioni nell’ebraismo e nell’Islam). Tuttavia idee simili si sviluppano lontanissimo dalle filosofie di Atene e dalle arsure del Medio Oriente dove nascono le «religioni del Libro»: le ritroviamo ad esempio nell’induismo o nel taoismo cinese.
L’idea tutta umana di bere insieme per perpetuare la vita sembra non avere né spazio né tempo. Non esistono culture senza brindisi, e il bicchiere grazie al quale i vivi rimangono tali è l’utensile più diffuso nei sepolcri di ogni epoca e di ogni latitudine: «non possiamo sapere cosa incontra chi lascia questa vita, ma se mai avrà un bisogno, sarà il bisogno di bere».
Da sempre rivali, da sempre per scarsità
In quanto fonte di vita, per gli esseri umani l’acqua è da sempre una risorsa scarsa. Le acque meteoriche (pioggia, neve, grandine, rugiada) dipendono dai tipi di clima, non ovunque la natura è ugualmente generosa; le acque sotterranee, custodite nelle falde profonde, sono ignote o irraggiungibili; le acque superficiali sono al 97% marine, e dunque salate.
Oggi siamo in grado di stimare che appena il 2,5% dell’acqua disponibile sul pianeta è dolce, e che i 2/3 di questa porzione si trova intrappolato nei ghiacciai dei poli, in particolare in Antartide e in Groenlandia. Se capiamo che gli esseri umani hanno a disposizione lo 0,5% dell’acqua della Terra, e che solo una porzione di questa è potabile o incontaminata, capiamo da dove viene l’espressione «oro blu», in un pianeta che di acqua è ricoperto.
La lingua italiana, e le lingue neolatine in genere, raccontano di questa percepita scarsità. Pensiamo all’etimologia della parola «rivale»: dal latino rivalis, che a sua volta viene da rivo, ruscello. In origine il «rivale» era la persona con cui si condivide l’acqua: il compagno di sponda, il concittadino. Ma in regime di scarsità il vicino si trasforma in un concorrente, e la parola si negativizza: chi utilizza la mia acqua diventa mio nemico. Insomma, le acque dolci e potabili aggregano: sui fiumi nascono le civiltà antiche, si costruiscono le comunicazioni, prosperano le odierne metropoli. Ma altrettanto le acque ci rendono rivali: segnano confini politici, dividono gli interessi, ispirano dighe, sanciscono disuguaglianze. Come tutte le questioni di vita o di morte l’acqua ha dentro di sé il conflitto.
La geopolitica dell’acqua
Se non viene utilizzata come fattore unico e in senso eccessivamente deterministico, la geografia può aiutare a comprendere i fenomeni politici. Tra le «geopolitiche» che negli ultimi anni si sono ritagliate più spazio per descrivere il mondo contemporaneo figura senz’altro la geopolitica dell’acqua (sulla quale trovate in fondo una breve e recente bibliografia in lingua italiana). L’idea che la anima è che se capiamo quanta acqua è disponibile e per chi, avremo maggiori probabilità di comprendere i comportamenti degli stati, di prevedere i conflitti in nuce e le migrazioni imminenti. Inoltre, in un’ottica di giustizia mondiale (che è quella fatta propria dalle Nazioni Unite), solo se comprenderemo gli utilizzi e gli sprechi dell’acqua, avremo maggiori possibilità di intervenire con politiche lungimiranti, aggiustando e redistribuendo.
La geopolitica dell’acqua è oggi resa particolarmente attraente dai due macro problemi globali che la comprendono: da un lato il riscaldamento globale (e la sua prima conseguenza, il cambiamento climatico) dall’altro il sovrapopolamento del pianeta (entro il 2050 raggiungeremo i 9 miliardi di persone).
Il global warming impatta direttamente sul ciclo dell’acqua. Gli effetti climatici che risultano già visibili a noi contemporanei sono quasi tutti «acquatici»: dalle inondazioni violente alla siccità, dallo scioglimento dei ghiacciai all’innalzamento dei mari. Da qui la domanda politica: cosa stiamo facendo per governare l’andamento della risorsa numero uno, da cui tutti dipendiamo? Una domanda scomoda, soprattutto se posta dal Nord del mondo, e in particolare dai paesi europei, che negli ultimi due secoli hanno fatto pagare al pianeta il costo della loro industrializzazione e che ora, resi efficienti e avveduti dalla tecnica e dalla scienza, chiedono ai paesi emergenti di nuova industrializzazione comportamenti globalmente virtuosi. Chi oggi sta crescendo, economicamente e demograficamente, perché dovrebbe rinunciare al suo momento? Perché non dovrebbe desiderare di consumare tanta acqua quanta ne consumiamo noi?
Dove si trova l’acqua
Secondo le stime della comunità scientifica, se governata con efficienza l’acqua dolce disponibile sarebbe sufficiente a garantire una vita dignitosa a tutti gli abitanti del pianeta, anche in un contesto di globale crescita demografica. Il problema non è la sua quantità ma la distribuzione, che va sempre considerata in rapporto alla popolazione.
Dal punto di vista naturale, le regioni con maggiori risorse idriche in rapporto alla popolazione sono il Sud America, l’Oceania e l’Asia settentrionale. Qui quasi tutti i paesi hanno una disponibilità pro capite tra i 10 e i 50 km cubi l’anno. Le zone più povere d’acqua (meno di 5 km cubi l’anno) sono il Nord Africa (e in particolare nella regione del Sahara), l’Africa orientale, il Medio Oriente (anche la penisola indo-cinese nel suo complesso ha una disponibilità medio-bassa). Se guardiamo alla disponibilità pro capite di singoli stati-nazione, la disuguaglianza idrica appare ancora più evidente: grandi paesi come il Canada, che contano lo 0,5% della popolazione mondiale, dispongono del 12% delle riserve idriche mondiali.
Attenzione però, perché la reale disponibilità della risorsa dipende dalle capacità di prelievo e approvvigionamento. Lo stato con più riserve di acqua dolce è il Brasile (seguito da Russia e Stati Uniti), ma la Cina è capace di consumare sette volte tanto. Bisogna sempre distinguere tra la disponibilità naturale della risorsa acqua e la sicurezza idrica, la quale dipende sia dalla morfologia del territorio sia dalle infrastrutture disponibili (e quindi dall’economia, dal livello tecnologico e dalle politiche del paese che ne dispone). Similmente a quanto avviene per il petrolio, chi ha di più non sempre è chi consuma di più, né chi esporta di più. Per le stesse ragioni, lo stress idrico ha spesso cause politiche oltre che naturali.
Quanto e come usiamo l’acqua
L’urbanizzazione a l’aumento del tenore di vita sono direttamente proporzionali alla domanda di acqua. E infatti in Occidente il consumo di acqua non smette di crescere: oggi un cittadino americano consuma in media 1.280.000 litri l’anno, un europeo 700.000. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato in almeno 50 litri il fabbisogno personale giornaliero: 18.250 litri l’anno. 1/70 di quanto utilizza un cittadino americano.
A livello globale, l’aumento di domanda idrica provoca una diminuzione della disponibilità per abitante. Ma a farne le spese è principalmente il continente asiatico, che ospita i 3/5 della popolazione mondiale e dispone della minor acqua dolce pro capite rispetto a tutti gli altri continenti. Come si può redistribuire? Per rispondere a questa domanda bisogna uscire dai valori medi e spacchettare l’utilizzo dell’acqua.
A livello mondiale, utilizziamo:
- il 70% delle risorse idriche per nutrirci (quindi per l’agricoltura e l’allevamento);
- il 22% per l’industria;
- l’8% per l’uso domestico.
Questa ripartizione non è uguale in tutti i paesi (l’India e la Cina consumano principalmente per il settore primario, negli Stati Uniti l’industria assorbe la maggioranza delle risorse idriche) ma chiarisce che in termini globali la vera pressione antropica sull’acqua è del settore alimentare; le politiche che interessano le abitudini di quotidiane dei singoli cittadini sono importanti, ma non potranno essere risolutive in termini di contenimento degli sprechi, redistribuzione e riconversione del sistema.
Per approfondire il legame tra consumo idrico e produzione alimentare puoi leggere l’articolo di Oro blu tra produzioni alimentari e cambiamenti climatici di Mauro Mandrioli.
I conflitti dell’acqua
I conflitti dell’acqua sono la conseguenza estrema della distribuzione irregolare della risorsa. Attenzione però, perché i conflitti non si possono mai ricondurre a un solo fattore. Secondo l’Atlante geopolitico dell’acqua edito di recente da HOEPLI, la variabile acqua ha un peso stimato in almeno 10 conflitti tutt’ora in corso nel mondo. Ma in ognuno di questi si intrecciano driver economici, sociali e ambientali. Solo in alcuni casi l’acqua è una causa scatenante, a volte è semplicemente l’arma o l’incidente di un conflitto nato per altre ragioni (pensiamo ad esempio al conflitto arabo-israeliano, che certamente non nasce per l’acqua ma che è in larga parte anche un conflitto dell’acqua). In sintesi, una analisi sui conflitti per il controllo delle fonti idriche richiede un’analisi multiscalare, in grado di tenere insieme le tensioni locali e globali.
Il rischio di scontri armati diventa certamente più alto in prossimità delle acque transfrontaliere, cioè tra stati che condividono fiumi o bacini idrografici. A oggi esistono 286 fiumi internazionali e 592 falde transnazionali, condivise tra due o più paesi. I grandi fiumi del mondo sono tutti transfrontalieri: in Africa il Nilo bagna undici stati, il Congo nove; sul continente americano il Rio delle Amazzoni ne bagna nove. In Asia il Mekong sei. In Europa il Danubio 11.
L’infrastruttura simbolo dei contenziosi dell’acqua è la diga. Nel mondo ce ne sono oltre 900.000, di cui 40.000 di grandi dimensioni. Non stupisce, perché senza dighe non c’è governo della risorsa. Le dighe svolgono diverse funzioni, ma sono particolarmente importanti per la decarbonizzazione dell’economia: infatti è solo governando i corsi d’acqua che possiamo incrementare la percentuale di energia prodotta dall’idroelettrico, che è la prima delle fonti di energia rinnovabili. Tuttavia, l’impatto di una diga può essere devastante per l’ambiente e le popolazioni coinvolte (è il caso della mastodontica Diga delle tre gole sul fiume azzurro in Cina, che tra il 1994 e il 2003, durante la sua costruzione, ha costretto 1,4 milioni di persone a sfollare). Inoltre la sua costruzione può essere vissuta come un atto ostile da un paese transfrontaliero.
I principali conflitti dell’acqua in corso
- Disputa nel bacino del Nilo
(2009-in corso)
Paesi coinvolti: Burundi, Congo, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Ruanda, Sudan, Sudan del Sud, Tanzania, Uganda
Articolo consigliato: Il Nilo e oltre: geopolitica dell’acqua
- Conflitti armati in Somalia per siccità e prezzi del bestiame
(2008-in corso)
Articolo consigliato:Crisis in Somalia: Catastrophic hunger amid drought and conflict
- Controversie tra Afghanistan e Iran
(2001-in corso)
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- Scarsità d’acqua e guerra civile in Yemen
(2001-in corso)
Articolo consigliato: Guerra e crisi idrica in Medioriente: il caso dello Yemen
- Privatizzazione dell’acqua a Cochabamba, in Bolivia
(2000-in corso)
Qui puoi trovare una ricostruzione consigliata della vicenda.
- Dighe e controversie sul bacino del fiume Mekong
(1995-in corso)
Coinvolge: Cambogia, Cina, Laos, Thailandia, Vietnam
Articolo consigliato: Mekong, geopolitica di un fiume conteso
- Disputa sull’acqua nel bacino di Cauvery in India
(1974-in corso)
Coinvolge: l’India
Articolo consigliato: Le guerre per l’acqua in India
- Conflitto su Tigri ed Eufrate
(1960-in corso)
Coinvolge: Iraq, Siria, Turchia
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- Conflitto Israelo-palestinese
(198-in corso)
Coinvolge: Israele e territori palestinesi
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Un diritto, tra pubblico e privato
Dinanzi ai cambiamenti climatici l’essere umano sta mutando la propria percezione di sé e del suo impatto sul mondo: da fattore antropico a fattore geologico. Dinanzi all’affermazione del paradigma dell’Antropocene – utile all’ammissione, scientificamente fondata, che gli esseri umani sono in grado, da soli, di alterare l’equilibrio biochimico della Terra – le Nazioni Unite e le grandi istituzioni internazionali che guardano al pianeta nella sua globalità hanno cominciato a far coincidere i diritti umani con la difesa o il riconoscimento dei diritti della natura.
Conseguentemente, la Risoluzione della Assemblea delle Nazioni Unite 64/92 del 28 luglio 2010 ha riconosciuto che:
il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico sanitari è un diritto dell’uomo essenziale alla qualità della vita e all’esercizio di tutti i diritti dell’uomo
Cinque anni dopo, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ha dedicato un obiettivo specifico (il numero 6) al nesso che esiste tra l’accesso all’acqua e la salute. L’obiettivo è di ottenere entro il 2030 «l’accesso universale ed equo all’acqua potabile che sia sicura ed economica per tutti». Ma come farlo? La politica si divide sui concetti, perché non tutti sono concordi nel riconoscere all’acqua lo status di diritto universale, ma anche sulle ricette, perché anche se concordiamo sull’obiettivo – acqua sicura ed economica per tutti – come lo raggiungiamo? L’acqua è un bene pubblico o un bene del mercato?
L’affermazione di un «diritto universale all’acqua» è una novità recente, ma come abbiamo visto ha dietro di sé la carica simbolica che l’acqua possiede sul piano culturale e dell’immaginario. L’acqua come bisogno universale che parimenti ai diritti umani non conosce steccati nazionali, l’acqua come segreto del pianeta blu e della sua capacità di generare vita: sono due sentimenti ancestrali, che trovano facile collocazione nel messaggio ecologista mainstream (peraltro ben sfruttato dalle stesse aziende di settore per esigenze di greenwashing del proprio brand).
A questa nuova sensibilità ambientalista, che smuove le coscienze e mobilita consenso, i politici e gli addetti ai lavori sono oggi chiamati ad affiancare la razionalità e la praticabilità delle soluzioni. Un buon metodo per evitare il rischio della «sacralizzazione dell’acqua» è di tenere sempre distinte la risorsa dalla rete di distribuzione. Questo ci consente di denunciare il water grabbing quando siamo in presenza di poteri privati multinazionali che sfruttano la risorsa acqua senza ritorno per le popolazioni del territorio, senza riguardo per gli sprechi e senza avere impatti redistributivi (cosa che avviene soprattutto nei contesti politici fragili dell’Africa centrale), ma al contempo ci consente di non trasformare il problema dell’acqua in un conflitto tra angeli del bene pubblico e demoni dell’interesse privato. Come molti amministratori locali sanno, sia in Italia che in Europa, il settore idrico a carico della finanza pubblica non garantisce di per sé il diritto all’acqua, soprattutto là dove i bilanci (dello stato o dei comuni) sono in negativo. Per usare le parole dell’economista Antonio Massarutto: «Gestione dell’acqua pubblica e gestione pubblica dell’acqua non sono sinonimi: affermare l’idea che l’acqua è pubblica non vuol dire che debba essere gestita da enti pubblici, né erogata a spese della fiscalità».
- Emanuele Bompan, Federica Frangipane, Mariariosa Iannelli, Riccardo Pravettoni (a cura di), Atlante geopolitico dell’Acqua. Water grabbing, diritti, sicurezza alimentare ed energia, HOEPLI, 2020.
- Edoardo Borgomeo, Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico, Laterza, 2020.
- Antonio Massarutto, Privati dell’acqua? Tra bene comune e mercato, il Mulino, 2011.
- Giulio Boccaletti, Acqua. Una biografia, Mondadori, 2022.
- Margherita Ciervo, Geopolitica dell’acqua, Carocci, 2010.
- Daniela Padoan (a cura di), Gli stati generali dell’acqua, Castelvecchi, 2022.
- Giancarlo Elia Valori, Geopolitica dell’acqua. La corsa all’oro del nuovo millennio, Rizzoli, 2012.
- Emanuele Bompan, Marirosa Iannelli, Water Grabbing. Le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo, EMI, 2018.
Una giovane donna prega nel Holy Spring Water Tirta Empul Hindu Temple di a Bali in Indonesia (immagine: Ko Backpacko via Shutterstock)
Risorse di acqua dolce rinnovabili pro capite per continente; dati del Water resources by continent - FAO AQUASTAT (crediti: Our World in Data)
La Diga delle Tre Gole in Cina (immagine: isabel kendzior via Shutterstock)
Il Triangolo d’Oro: la zona in cui il fiume Mekong bagna i confini di Tailandia, Myanmar e Laos (immagine: Valery Evlakhov via Shutterstock)
La distribuzione d’acqua sulla Terra (immagine: US Geological Survey, Water Science School)