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Speciale Antropocene

L’Antropocene non esiste?

Che le società umane abbiano un impatto sul pianeta è assodato. Più complesso è invece stabilire se viviamo oppure no in una nuova era geologica

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A quanto pare, nonostante il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, l’inquinamento da plastica e l’alterazione dei più importanti cicli biogeochimici del pianeta, non è ancora il momento di ammettere che viviamo in una nuova epoca geologica, l’Antropocene (o epoca dell’uomo), dominata dagli impatti sempre più evidenti delle attività umane sugli equilibri globali. Dal punto di vista geologico, infatti, non sembrano esserci prove sufficienti per dire addio all’Olocene, l’epoca attuale dal clima mite e stabile cominciata 11.700 anni fa che ha consentito alle società umane di svilupparsi e prosperare.

La decisione, presa lo scorso febbraio e svelata da un articolo del New York Times ancora prima dell’annuncio ufficiale, ha suscitato un acceso dibattito che ha travalicato i confini della geologia. Negli ultimi 15 anni, infatti, mentre gli esperti cercavano prove e dibattevano della loro solidità, l’Antropocene si è fatto largo nel dibattito pubblico delle società contemporanee, diventando un termine molto usato negli ambiti più disparati della cultura.

Tutto da buttare? Nient’affatto. Come ha commentato la rivista Science: «L’Antropocene è morto. Lunga vita all’Antropocene». Il dibattito è destinato a continuare e vale la pena di approfondire come si è arrivati alla controversa decisione di non riconoscere l’Antropocene come nuova epoca geologica, senza tuttavia che questo metta in discussione l’importanza di un concetto cruciale per comprendere il nostro tempo, in cui le attività umane stanno lasciando tracce profonde nella geologia del pianeta, influenzando il destino di molte specie che oggi lo abitano, esseri umani inclusi.

Breve storia dell’Antropocene

L’idea dell’Antropocene è piuttosto recente: cominciò a circolare durante un convegno scientifico che si svolse in Messico nel febbraio del 2000. Nel bel mezzo di un dibattito sugli impatti ambientali causati dall’umanità nel corso dell’Olocene, il chimico Paul Crutzen esclamò: «Basta parlare di Olocene, ormai siamo nell’Antropocene!». Da quel momento il concetto conobbe un grande successo nella comunità scientifica. Del resto, Crutzen era una celebrità: nel 1995 aveva vinto il premio Nobel per la chimica grazie alle sue ricerche sull’assottigliamento della fascia stratosferica di ozono che protegge gli organismi viventi dalla radiazione ultravioletta.

Qualche mese più tardi Crutzen pubblicò un breve articolo insieme al biologo Eugene Stoermer, che aveva già formulato il concetto di Antropocene in modo indipendente. Nell’articolo i due scienziati sostenevano che l’industrializzazione aveva trasformato l’umanità in una forza geologica in grado di alterare la biosfera per i millenni a venire. Oggi la comunità scientifica non dubita che le attività antropiche siano diventate il principale motore dei mutamenti ambientali su scala planetaria. Tuttavia, affinché l’Antropocene possa essere riconosciuto ufficialmente una nuova epoca geologica, occorre che identificare una traccia indelebile negli strati rocciosi della Terra riconducibile all’azione umana.

Definire una nuova epoca geologica

Per convenzione la geologia suddivide la storia della Terra in un’unità temporali classificate in base alla loro durata: gli eoni sono i periodi di tempo più lunghi e sono composti da ere geologiche, a loro volta sono formate da periodi, quindi in epoche e infine in età. Il passaggio da un’unità di tempo all’altra è segnato da una netta discontinuità nella geologia della Terra identificabile nelle rocce, nei sedimenti o ghiacci. Per affermare che siamo entrati in una nuova epoca, si dovrebbe quindi individuare una traccia fossile permanente nella stratigrafia del pianeta in grado di segnalare in modo inequivocabile il passaggio dall’Olocene all’Antropocene. Agli occhi di un ipotetico geologo del futuro, queste tracce lasciate dalle attività umane dovrebbero essere ancora riconoscibili tra milioni di anni.

Nel 2009 la Commissione internazionale di stratigrafia (International Commission on Stratigraphy o ICS), che fa parte dell’Unione internazionale di scienze geologiche (International Union of Geological Sciences o IUGS), ha perciò costituito il Gruppo di lavoro sull’Antropocene (Anthropocene Working Group o AWG) affidandogli il compito di raccogliere evidenze sugli impatti delle attività umane destinati a lasciare una traccia profonda nella geologia del pianeta. In altre parole, il Gruppo di lavoro avrebbe dovuto cercare le prove necessarie a decretare la fine dell’Olocene e l’inizio dell’Antropocene.

In cerca di un marcatore

Secondo molti esperti i segni distintivi dell’Antropocene non mancano: a ben guardare, infatti, rischiamo di lasciare più di un’impronta nella geologia del pianeta. Un primo marcatore potrebbe essere la plastica, una classe di materiali artificiali destinati a restare molto a lungo nell’ambiente: in meno di un secolo abbiamo fabbricato oltre 10 miliardi di tonnellate di plastica e quella che si accumula sui fondali oceanici potrebbe formare uno strato ben riconoscibile. Anche il cemento con cui costruiamo edifici e infrastrutture è un buon candidato: ne abbiamo già prodotto almeno 500 miliardi di tonnellate, abbastanza per coprire ogni metro quadrato del pianeta con un chilogrammo di cemento.

Un altro segno della nostra presenza è l’accumulo di diossido di carbonio (CO2) in atmosfera dovuto all’impiego di combustibili fossili. Se non ridurremo le emissioni di gas serra, il riscaldamento globale rischia di porre fine al clima mite dell’Olocene, spingendo il pianeta verso un futuro molto più caldo e instabile. L’alterazione del ciclo del carbonio potrà essere rivelata dalle bolle d’aria ricche di CO2 che restano intrappolate nei ghiacci delle calotte polari, sempre ammesso che non fondano troppo presto per essere scoperte dal nostro ipotetico geologo del futuro. Ma le tracce della fuliggine che si forma nella combustione delle fonti fossili lascerà ugualmente una traccia duratura nei sedimenti.

Altri chiari indizi delle attività umane potrebbero essere gli elevati livelli di azoto e fosforo dispersi dai fertilizzanti usati in agricoltura. Persino le ossa dei nostri animali domestici sembrano destinate a lasciare un segno inequivocabile dei mutamenti subiti dalla biodiversità: in termini di biomassa, infatti, mucche e maiali costituiscono quasi il 60% di tutti i mammiferi che oggi abitano la Terra, gli esseri umani sono il 36%, mentre l’insieme dei pochi mammiferi selvatici rimasti non supera il 4%. In modo analogo i polli sono diventati gli uccelli più diffusi sul pianeta perché costituiscono un pilastro della dieta mondiale. Le innumerevoli ossa di questi animali allevati saranno dunque i fossili più comuni della nostra epoca.

Il Gruppo di lavoro sull’Antropocene è però giunto alla conclusione che la traccia geologica più netta della presenza umana sulla Terra sarà costituita dagli elementi radioattivi dispersi dai test atomici condotti intorno alla metà del Novecento. È stato perciò proposto di considerare come marcatore dell’antropocene il picco di isotopi del plutonio dispersi dalle esplosioni delle bombe all’idrogeno all’inizio degli anni Cinquanta.

Il chiodo d’oro

Scelto il marcatore, non restava che identificare un luogo in cui le sue tracce fossero ben visibili e in grado di segnare una discontinuità negli strati rocciosi che costituisse il momento d’inizio dell’Antropocene. È in questi luoghi simbolici che spesso i geologi lasciano una placca metallica piantata nella roccia chiamata golden spike (chiodo d’oro) per segnalare il passaggio tra due unità di tempo geologiche.

Dopo aver considerato diverse ipotesi in tutto il mondo, nel luglio del 2023 la scelta è ricaduta sul lago Crawford, vicino a Toronto, in Canada. La sua particolare conformazione fa sì che gli strati d’acqua più profondi non si mischino con quelli superficiali, e nei sedimenti sul fondale si osservano con chiarezza le tracce lasciate dagli isotopi del plutonio dispersi dai test nucleari condotti negli anni Cinquanta.

A quel punto, dopo 15 anni di ricerche, il Gruppo di lavoro sull’Antropocene aveva raccolto tutti gli elementi necessari a presentare una proposta per il riconoscimento formale della nuova epoca geologica. La decisione finale spettava però alla Sottocommissione sulla stratigrafia del Quaternario (Subcommission on Quarternary Stratigraphy o SQS), anch’essa afferente all’ICS. Il verdetto è arrivato il 16 febbraio 2024. Con dodici voti contrari, quattro a favore e due astenuti, la commissione ha respinto la proposta di considerare l’Antropocene una nuova epoca perché, in sostanza, non soddisfa gli standard impiegati per definire le unità di tempo geologiche.

La controversia scientifica

La decisione ha scatenato molte polemiche, alimentate anche dalle divisioni che, secondo quanto ricostruito dal quotidiano spagnolo El Pais, avrebbero coinvolto gli stessi membri della commissione, al punto da sollevare dubbi sulla validità del voto. Dal punto di vista scientifico, la controversia si è concentrata sulla scelta, giudicata troppo restrittiva, di collocare l’inizio dell’Antropocene in tempi molto recenti: esattamente nel 1952, in corrispondenza del picco del plutonio rilasciato dalle bombe all’idrogeno.

Già nel 2015, in un intervento sulla rivista Science, il paleoclimatologo William Ruddiman si chiedeva se avesse senso fissare l’inizio di un’epoca dominata dagli esseri umani millenni dopo che la maggior parte delle foreste nelle regioni coltivabili era stata abbattuta per far spazio all’agricoltura. Nel 2023 lo scienziato ambientale Erle Ellis si era dimesso dal Gruppo di lavoro sull’Antropocene ritenendo che una proposta troppo restrittiva avrebbe impedito di comprendere l’enorme portata della trasformazione che la Terra sta subendo per effetto della attività umane.

Infine, lo scorso 20 marzo l’IUGS ha confermato la piena legittimità del voto rigettando, almeno per ora, la proposta di aggiungere una nuova epoca geologica alla storia della Terra, sia perché molti effetti antropici sul sistema terrestre sono antecedenti agli anni Cinquanta, sia perché si tratterebbe di un’unità di tempo troppo breve, inferiore al tempo di una singola vita umana, mentre tutte le precedenti si misurano in migliaia o addirittura milioni di anni.

Quando inizia l’Antropocene?

Come hanno osservato gli scienziati Simon Lewis e Mark Maslin nel saggio Il pianeta umano, la scelta di collocare l’inizio dell’Antropocene più o meno lontano nel tempo non è neutra perché implica di ricondurre il nostro impatto ambientale o in un’epoca preindustriale, in cui ancora mancavano le conoscenze ecologiche, oppure, al contrario, in un momento assai più recente, che metterebbe in discussione il nostro attuale modello di sviluppo.

Come anticipato, nella comunità scientifica c’è chi sostiene che l’Antropocene sia cominciato con la diffusione dell’agricoltura, circa 12.000 anni fa, che ha portato a sacrificare molte foreste per lasciare spazio a coltivazioni, pascoli e insediamenti umani. Altri ritengono che debba coincidere con la scoperta delle Americhe, che ha portato alla globalizzazione dei commerci marittimi, in grado di annullare le barriere geografiche e consentire così il passaggio di molte specie da un continente all’altro, portando a un’inedita omogeneizzazione della biodiversità del pianeta.

Pur osservando che stabilire l’inizio dell’Antropocene è inevitabilmente una scelta arbitraria, Crutzen propose il 1784, l’anno in cui James Watt progettò il suo motore a vapore, simbolo della seconda Rivoluzione industriale con cui abbiamo acquisito la capacità di alterare l’ambiente su scala planetaria. C’è infine chi colloca la nuova epoca in tempi più recenti, negli anni Cinquanta del Novecento, in un periodo che gli storici dell’ambiente indicano come la grande accelerazione perché contraddistinto da una crescita vertiginosa dei consumi di energia e materie prime, nonché della produzione su vasta scala di materiali artificiali come la plastica, il cemento o gli elementi radioattivi dispersi dai test atomici.

Lunga vita all’Antropocene

Questi enormi cambiamenti sono avvenuti in momenti e luoghi diversi, rendendo più difficile decretare quando le attività umane potrebbero aver dato inizio a una nuova epoca geologica. Ma allo stesso tempo, come ha osservato Ellis, nessuna delle motivazioni che hanno portato a respingere la proposta di aggiungere l’Antropocene alla scala dei tempi geologici nega l’evidenza che le società umane stanno alterando equilibri millenari del pianeta.

La discussione scientifica sull’Antropocene, del resto, non sembra affatto destinata ad esaurirsi, anche se per le regole interne della Commissione internazionale di stratigrafia una nuova proposta potrà essere avanzata solo tra dieci anni, lasciando alle polemiche il tempo di placarsi. Nel frattempo, l’Antropocene potrebbe essere considerato un evento geologico anziché un’epoca, ovvero un evento complesso, trasformativo e ancora in corso, analogo al Grande evento ossidativo che tre miliardi di anni fa cambio il corso della vita sulla Terra, secondo una definizione che trova maggiore consenso senza nulla togliere all’importanza delle attività umane sulle dinamiche del pianeta.

In ogni caso, nessuna querelle scientifica potrà togliere forza al concetto di Antropocene, ormai entrato stabilmente nell’immaginario pubblico, perché di straordinaria efficacia per riflettere sugli impatti ambientali delle attività umane, e sulla necessità di porvi rimedio prima che della nostra civiltà non resti che un sottile strato di roccia pieno di plastiche, plutonio, cemento e ceneri dei combustibili fossili.

Come riconosce anche l’IUGS a conclusione dello stesso documento in cui ha respinto la proposta di nuova epoca geologica:

[...] il concetto di Antropocene continuerà a essere ampiamente usato non solo dagli scienziati che studiano la Terra e l’ambiente, ma anche da chi si occupa di scienze sociali, dai politici e dagli economisti, così come dal pubblico in generale. Continuerà a essere una descrizione inestimabile delle interazioni tra gli esseri umani e l’ambiente.

In questa lezione Giancarlo Sturloni spiega il concetto di «antropocene»: che cosa indica il termine, perché è stato inventato e in che modo riguarda le nostre vite.
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Rifiuti di plastica su una spiaggia di Accra, in Ghana (immagine: Wikimedia Commons)

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Il lago Crawford, in Ontario, Canada (immagine: Whpq/Wikimedia Commons)

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Il golden spike che segna l’inizio del periodo Ediacarano, cominciato circa 635 milioni di anni fa (immagine: Bahudhara/Wikimedia Commons)

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Una miniera tedesca di lignite, una forma di carbone particolarmente impattante sull’ambiente (immagine: Rhetos/Wikimedia Commons)

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Uno schema della scala dei tempi geologici (immagine: U.S. Geological Survey/Wikipedia)

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Un test nucleare statunitense condotto nel 1946 nell’atollo di Bikini, in Micronesia (immagine: United States Department of Defense)

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