I pesci cartilaginei o condroitti sono comparsi sulla Terra molto prima dei dinosauri. Sono i discendenti dei placodermi, forme corazzate e primitive di pesci marini, da cui è derivata anche la linea evolutiva dei pesci ossei. Nella storia evolutiva dei pesci cartilaginei sono passate specie con una grande varietà di forme e con adattamenti particolari. A non essere mai cambiate sono le caratteristiche di resistenza che hanno permesso a questo gruppo di superare tutte le estinzioni di massa, periodi in cui buona parte delle forme di vita acquatiche e terrestri si sono estinte a causa di stravolgimenti climatici e geologici di scala planetaria.
Attualmente in tutto il mondo la classe dei condroitti conta quasi 1000 specie, raggruppati in 2 sottoclassi, 15 ordini e 53 famiglie. Tra queste ci sono il grande squalo bianco (Carcharodon charcharias e la chimera (Chimaera sp.), la manta (Mobula sp. e Manta sp.) e lo squalo goblin (Mitsukurina owstoni), ma anche la torpedine (Torpedo sp.) e il pesce sega (Pristis sp.), in una straordinaria galleria di forme ed adattamenti diversi.
Nel mar Mediterraneo i pesci cartilaginei sono presenti con circa 76 specie distribuite tra habitat pelagici, come la verdesca (Prionace glauca), e habitat vicini al fondale, come le varie specie di razze del genere Raja sp. e i gattucci dei generi Scyliorhinus sp. e Galeus sp. Le specie predatrici di grandi dimensioni, come squali mako (Isurus oxyrinchus), smerigli (Lamna nasus), squali volpe (Alopias sp.), pesci martello (Sphyrna sp.) e lo stesso squalo bianco, seppur ancora presenti nel Mar Mediterraneo, sono ormai una rarità nel nostro mare.
Le cause della scomparsa
Anche se i condroitti sono riusciti a sopravvivere a diverse estinzioni di massa in passato, oggi sono a forte rischio a causa delle attività umane (sfruttamento delle risorse marine e pesca), dell’inquinamento e del cambiamento del clima. Vanno quindi aggiunti alla lunga lista delle specie minacciate dall’estinzione di massa in corso. Come riportato da numerosi articoli scientifici e dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura o IUCN, il 50% delle specie di squali e razze è minacciata di estinzione e il 33% è sull’orlo dell’estinzione. Nel mar Mediterraneo è evidente la contrazione nel numero degli individui e nell’estensione delle zone abitualmente occupate da molte specie di grandi dimensioni, come i grandi squali pelagici (mako, smerigli, verdesche, squali martello, volpe e squali bianchi) che hanno subito un crollo del 99% nell’ultimo secolo.
I pesci sega o la razza gigante (Bathytoshia lata) sono invece considerati localmente estinti nel nostro mare, mentre altre specie si accingono a diventarlo, quali i pesci chitarra (Squatina sp.) e violino (Rhinobatos sp. e Glaucostegus cemiculos).
La pesca diretta e le catture accidentali sono imputate come primo fattore di rischio nella letteratura scientifica, stando ai dati della quantità di pesci cartilaginei che risultano come catture di molte tipologie di pesca. Anche se poi vengono rigettati in mare, questi esemplari subiscono degli stress che possono portarli alla morte.
Un’altra causa rilevante è la pratica del finning o spinnamento, una pratica che consiste nel tagliare la pinna di questi animali, per poi rivenderla attraverso il commercio illegale ma molto fruttuoso, soprattutto in Estremo Oriente.
La terza causa è quella del cambiamento climatico e dell’habitat, che sta alterando le correnti marine e le caratteristiche idrologiche ed ecologiche delle acque oceaniche, laddove avvengono i più importanti cicli biologici di questi animali. Anche l’inquinamento è una minaccia importante, senz’altro più subdola perché agisce sui sistemi fisiologici e sul benessere dell’animale. Per esempio, l’ingestione di plastiche e dei contaminanti a esse adesi compromette il sistema endocrino e ha quindi riflessi sulla sfera riproduttiva e dello sviluppo. A essi vanno aggiunti l’ampia gamma di contaminanti di origine antropica assunti con la respirazione e la dieta, che, con effetto di bioaccumulazione, arrivano a concentrazioni straordinariamente grandi.
Le conseguenze della scomparsa
L’evoluzione e la capacità di adattamento dei pesci cartilaginei ha forgiato forme e funzioni molto disparate: da una parte ci sono i superpredatori, che sono in vetta alla piramide trofica e regolano gli equilibri dei flussi di energia e materia delle catene alimentari marine; dall’altra ci sono forme meno attive ma non meno interessanti per le loro implicazioni bioecologiche sull’ecosistema marino.
La scomparsa di questi predatori sta alterando la catena alimentare nei livelli più bassi: le loro prede primarie aumentano in modo incontrollato e questo condiziona i livelli successivi, alterando i normali equilibri preda-predatore lungo tutta la piramide trofica, anche nei livelli dove si inserisce il prelievo umano con le attività di pesca. Ciò implica una riduzione nella quantità e nella qualità del pescato con ripercussioni socio-economiche sulla disponibilità di pesce come fonte di reddito e cibo.
La scomparsa di specie non apicali nella catena trofica ha invece effetti più subdoli e meno diretti, perché sposta gli equilibri di competizione all’interno dei livelli trofici e degli ecosistemi a cui appartengono. Per esempio, la generale scomparsa dei grandi squali pelagici, soprattutto nel mar Mediterraneo, ha comportato oscillazioni sempre più ampie e preoccupanti di specie oggetto di pesca a causa dell’alterazione dei loro equilibri di competizione e ha avuto conseguenze su tutti i livelli trofici: è cambiata la quantità di tonni (Thunnus sp.), che ha portato conseguenze sulle loro prede, ovvero alici (Engraulis encrasicolus), sardine (Sardina pilchardus) e sgombri (Scombrus sp.), che a loro volta hanno determinato oscillazioni sui produttori primari, come il fito e lo zoo-plankton.
L’effetto totale sugli ecosistemi marini è dunque disastroso: tendono a perdere biodiversità e provocano la semplificazione ecologica degli ecosistemi (tecnicamente si parla di «banalizzazione ecosistemica»). Gli ecosistemi marini risultano così popolati da meno specie, che sono però più resistenti e opportuniste e sono interessati sempre più dall’aumento delle specie aliene provenienti da ambienti marini estranei al mar Mediterraneo.
Le azioni per contrastare l’estinzione
Negli ultimi anni sono aumentati gli sforzi per la conservazione di questo gruppo di animali marini. Per esempio, l’introduzione di tecniche di mitigazione delle catture accidentali, come griglie di esclusione nella pesca a strascico, ami circolari e/o magnetici nei palangari e deterrenti magnetici nelle reti da posta. In campo legislativo internazionale sono ora in campo norme efficaci per la limitazione del bycatch (ovvero la cattura accidentale e non voluta di specie non oggetto di pesca) e il divieto di sbarco, ma soprattutto il bando del finning a livello europeo e internazionale. Efficace è stata anche l’istituzione di santuari marini per queste specie, ovvero aree marine protette designate lungo le acque nazionali di tutti gli Stati membri. Il Santuario dei cetacei nel mar Ligure è uno di questi esempi per il mar Mediterraneo, come pure l’immensa area marina protetta dell’arcipelago delle isole Palau nell’oceano Pacifico, specificamente dedicata a squali e razze.
Si tratta tuttavia di una lotta contro il tempo: la risposta dei condroitti al cambiamento è molto lenta, a causa della loro longevità, della tardiva maturità sessuale e della scarsa fecondità. Tali caratteristiche infine si traducono in una scarsa capacità di resilienza, cioè una scarsa capacità di ripristinare un ottimale equilibrio demografico all’interno delle loro popolazioni decimate. Molto rimane ancora da fare, soprattutto perché tutto è legato a problemi più generali come il cambiamento climatico e l’inquinamento marino.
Nell’immagine di copertina esemplare di verdesca o squalo azzurro (Prionace glauca) (Wikimedia Commons)
Ripartizione delle specie rilevate nelle acque italiane nel 2022 secondo le categorie di rischio di estinzione IUCN (fonte: Scacco et al., articolo scientifico in preparazione)
Catture globali di pesci cartilaginei espresse in migliaia di tonnellate: dal 1950 al 2000 l’andamento dei dati è in aumento, ma dopo il 2000 si osserva la riduzione delle catture a causa del declino di molte popolazioni (fonte: FAO. Per dati più specifici si può consultare il report annuale)