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Il deserto di Atacama tra sfruttamento e innovazione sostenibile

Ricchissimo di risorse fondamentali per diversi settori industriali, da quasi due secoli è un luogo di contrasti, in bilico tra impoverimento e progresso

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Il deserto di Atacama, in Cile, è considerato il deserto non polare più arido del mondo. Si tratta di una lingua di terra lunga e stretta che si estende per centinaia di chilometri, chiusa tra le Ande a est e l’Oceano Pacifico a ovest. La sua altitudine varia considerevolmente (in alcune zone supera i 5000 metri), così come i suoi paesaggi. Il deserto di Atacama è un luogo in cui contrasti estremi convivono in un delicato equilibrio ed è capace di lasciare in chi lo visita una sensazione di bellezza profonda.

Ma è anche un luogo complesso e l’approccio che gli esseri umani hanno, e hanno avuto, nei suoi confronti riflette le contraddizioni e le difficoltà della nostra società contemporanea. Patria di popoli indigeni, come i Likan Antai, che da millenni vivono in una stretta comunione con questo ambiente, rispettandolo. Risorsa da sfruttare senza alcun limite. Fucina di un nuovo approccio all’energia. Teatro di sfide ambientali e sociali complesse. Hotspot di biodiversità. Laboratorio di importanti studi scientifici, come, per esempio, le ricerche di microbiologia del Giovannelli Lab dell’Università di Napoli Federico II o gli studi sull’Universo freddo dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), ad oggi il più grande radiotelescopio del mondo.

Il salnitro, l’oro bianco di Atacama

La storia dello sfruttamento intensivo delle risorse minerarie di questo territorio comincia a metà Ottocento, quando si scopre che il nitrato di potassio (chiamato salnitro) può essere utilizzato prima per produrre esplosivi e, poi, come fertilizzante. È proprio come fertilizzante che il salnitro diventa così richiesto da essere soprannominato l’oro bianco del Cile. Il suo valore commerciale era diventato talmente importante da essere tra le cause scatenanti della Guerra del Pacifico tra Cile, Bolivia e Perù. Una guerra che tra il 1879 e il 1884 ridisegnò i confini geopolitici di questa parte del Sud America.

Nei primi anni del Novecento il Cile era il primo produttore di fertilizzanti azotati del mondo e l’industria del salnitro rappresentava l’80% delle esportazioni del paese. Durante la Prima Guerra Mondiale, però, la situazione cambia repentinamente. In Germania erano stati inventati i fertilizzanti sintetici, più economici e altrettanto efficaci del salnitro. In pochi anni la richiesta di salnitro colò a picco e con essa il fiorente mercato che si era sviluppato attorno alla sua estrazione.

Oggi, a testimoniare quest’epoca che non c’è più, sono rimaste le cittadine fantasma di Humberstone e Santa Laura. Siamo lungo la strada che porta a Iquique, capitale della Regione di Tarapacá e importante città portuale del Cile. Questi due insediamenti vennero costruiti durante l’epoca d’oro del salnitro per ospitare le famiglie dei minatori che lavoravano nella vicina miniera. Si stima che qui vivessero circa 3700 persone. A metà degli anni Cinquanta del Novecento, però, queste due cittadine vennero abbandonate di fretta e furia. Senza più lavoro, restare in questi luoghi dove la vita veniva consumata dal sole non aveva più senso. Nel 2005 Humberstone e Santa Laura sono state dichiarate patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Entrare nelle case di queste famiglie di minatori è un viaggio in un tempo che si è fermato di colpo, lasciando spazio a polvere, ruggine e a brandelli di vita non vissuta.

La miniera di rame più grande del mondo

Il deserto di Atacama è ricco di minerali, tra cui rame, litio, molibdeno, ferro, argento, piombo, zinco e oro. Vicino alla cittadina di Calama, nella regione di Antofagasta, a un centinaio di chilometri dalla suggestiva e turistica San Pedro de Atacama, si trova la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo, in termini di volume scavato, e la seconda più profonda. La miniera di Chuquicamata è attiva da oltre un secolo e, insieme ad altre miniere, alcune delle quali situate anch’esse nel deserto di Atacama, ha contribuito a fare del Cile il principale produttore di rame al mondo.

Ma a che prezzo? A causa delle polveri, dei gas e dell’inquinamento causato da altri sottoprodotti minerari, gli abitanti della cittadina di Chuquicamata, nata un po’ come Humberstone e Santa Laura per ospitare i minatori, si sono trasferiti nella vicina Calama e così, dal 2007, a Chuquicamata non ci vive più nessuno. A peggiorare la situazione c’è anche il fatto che il processo di estrazione del rame necessita di enormi quantità di energia e di acqua, una risorsa già scarsa in un ambiente arido come questo.

Nonostante i gravi problemi legati alla salute, all’inquinamento e alla frammentazione degli habitat, l’estrazione del rame continua senza sosta. Anzi, la sua richiesta è oggi in aumento. Il rame, infatti, è un elemento fondamentale per poter attuare la transizione energetica.

L’estrazione del litio nel Salar de Atacama

Un altro elemento chiave per la transizione energetica è il litio. Nel Salar di Atacama, situato nella regione di Antofagasta, si trova la seconda miniera di litio più grande del mondo. Purtroppo, anche in questo caso, l’impatto ambientale della sua lavorazione è significativo. Non solo per estrarre il litio servono enormi quantità d’acqua, ma l’acido solforico e l’idrossido di sodio utilizzati durante il processo di estrazione penetrano nel sottosuolo, contaminando l’intero ecosistema, comprese le limitate risorse idriche presenti. Inoltre, questo processo produce elevate emissioni di anidride carbonica.

In questo video realizzato dal The Guardian si approfondisce la controversa questione dell’estrazione del litio nel Salar di Atacama:

Rinnovabili tra sostenibilità e innovazione tecnologica

Percorrendo le lunghe e dritte strade del deserto di Atacama ci si imbatte con facilità in pale eoliche e distese di pannelli solari. Con i suoi 330 giorni di sole all’anno, un vento che sferza costantemente il suolo, e spazi pianeggianti che si estendono a perdita d’occhio, il deserto di Atacama è un luogo ideale per produrre energia rinnovabile. Di impianti già realizzati, o in procinto di esserlo, ce ne sono diversi, soprattutto da quando il Cile ha dichiarato di voler azzerare le proprie emissioni di carbonio entro il 2050.

A circa 10 chilometri da Calama si trova il parco eolico Valle de Los Vientos. Operativo dalla fine del 2013, nel 2020 è stato integrato con il parco solare fotovoltaico Azabache. Insieme, i due impianti raggiungono 150,9 MW di potenza installata e costituiscono il primo impianto ibrido in Cile.

Un altro importante impianto solare si trova nel piccolo comune di María Elena, a un centinaio di chilometri da Calama. Si tratta della Planta Solar Cerro Dominador – Molten Salt Thermal Energy Storage System, un impianto solare a concentrazione (CSP) da 110 MW. A differenza dei tradizionali pannelli solari fotovoltaici, che trasformano direttamente la luce in elettricità, i sistemi CSP utilizzano specchi parabolici per concentrare la radiazione solare in un unico punto. Il calore così generato viene usato per riscaldare un fluido, generalmente una miscela di sali fusi, che produce vapore ad alta pressione e che, a sua volta, alimenta una turbina. In questo modo l’impianto genera elettricità come farebbe una centrale a combustibili fossili, alimentata però da una fonte di calore rinnovabile.

Questo tipo di impianti offre grandi opportunità per un futuro energetico più sostenibile, ma non è privo di costi ambientali. Le centrali CSP hanno bisogno di grandi spazi per poter essere realizzate e la conseguente frammentazione dell’habitat può avere impatti significativi sulla biodiversità locale.

Una discarica di vestiti a cielo aperto

Un altro problema di derivazione antropica che sta mettendo in serio pericolo questo ambiente così magnifico e delicato deriva dalla fast-fashion, la cosiddetta “moda veloce”. In Cile ogni anno arrivano dagli Stati Uniti, dall’Europa, e dall’Asia migliaia di tonnellate di vestiti usati o invenduti. Si tratta di capi low cost di bassa qualità, realizzati con materiali sintetici e venduti per pochi spiccioli. Una volta arrivati in Cile, gli abiti meglio conservati vengono selezionati per essere rivenduti nei negozi di seconda mano. La maggior parte, però, è talmente di scarsa qualità che non resta altro da fare che gettarli in discariche abusive.

Nella periferia di Alto Hospicio, una cittadina a pochi chilometri dal porto franco di Iquique, si trova una delle più grandi discariche illegali a cielo aperto di vestiti che derivano dalla fast fashion. Ogni giorno enormi camion zeppi di indumenti percorrono le strade che dal porto salgono verso il Cerro de La Mula, dove scaricano illegalmente il loro contenuto. Spesso poi questi vestiti vengono bruciati in giganteschi roghi, i cui fumi tossici rimangono nell’aria per settimane.

La comunità di Alto Hospicio non se ne sta con le mani in mano. Per quanto questa situazione coinvolga dinamiche globali, ci sono diverse organizzazioni, come Desierto Vestido, che stanno cercando di trasformare questo problema in un’opportunità.

In questo video realizzato da Patagonia si racconta come la comunità di attivisti di Alto Hospicio sta affrontando questa situazione:
All’inquinamento causato dalla moda Giancarlo Sturloni ha dedicato un approfondimento intitolato Quanto inquina la moda?

Una terra di migrazioni

Il deserto di Atacama non è teatro solo di problemi ambientali ma anche di gravi questioni sociali. Le migrazioni interne dai vicini paesi, in particolare da Venezuela, Perù, Colombia e Bolivia, hanno creato il fenomeno delle “tome”. Una toma è una baraccopoli, un agglomerato urbano non autorizzato, chiamato così perché chi arriva, “toma” (ndr prende) un pezzo di terreno apparentemente disabitato e vi costruisce una casa con quello che trova. Sempre nel comune di Alto Hospicio, non distante dai cumuli di vestiti abbandonati, c’è n’è una delle più grandi. È la Toma de La Mula e si chiama così perché si trova lungo una vecchia mulattiera, usata prima dai popoli originari per raggiungere il mare dall’entroterra, e poi anche dai minatori di Humberstone e Santa Lucia per portare il salnitro al porto di Iquique. Si stima che nella Toma de La Mula, possano vivere più di diecimila persone, la maggior parte famiglie con almeno due figli. Nella periferia di Calama, dove polvere e vento gareggiano con il sole, ce un’altra toma, altrettanto grande: la Toma del Viento.

Questo intreccio di storie ci insegna molto sulla complessità della società contemporanea e sulle sfide globali che dobbiamo affrontare per conciliare sostenibilità, innovazione e progresso, senza depauperare gli ecosistemi. È difficile immaginare soluzioni semplici e immediate, ma questo non significa che non ce ne siano. Ognuno di noi può, con le proprie scelte, impegnarsi a proteggere la bellezza del pianeta. Prima però è importante imparare a conoscerlo. Perché, come scrive Baba Dioum, ingegnere forestale senegalese:

Alla fine conserveremo solo ciò che ameremo, ameremo solo ciò che capiremo e capiremo solo ciò che ci avranno insegnato.

immagine di copertina: Gabriele Orlini

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Il deserto di Atacama è un luogo di estremi che riflette la complessità delle sfide che siamo chiamati ad affrontare (immagine: Lisa Zillio)

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La Toma del Viento, nella periferia di Calama (immagine: Lisa Zillio)

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Il parco eolico Valle de Los Vientos (immagine: Lisa Zillio)

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La cittadina mineraria di Humberstone (immagine: Lisa Zillio)

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Ancora oggi per movimentare i materiali si usa la vecchia rete ferroviaria che collegava le miniere nel deserto di Atacama con le città portuali (immagine: Lisa Zillio)

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La miniera di Chuquicamata ha profondamente trasformato il territorio circostante. Questa immagine è stata acquisita il 4 gennaio 2024 da OLI-2 (Operational Land Imager-2) Landsat 9 (immagine: NASA)