«Qualcuno la chiama ansia climatica, altri ecoansia, altri ancora si concentrano sull’effetto soverchiante del problema e parlano di ecoparalisi». Il punto è che la crisi climatica sta compromettendo anche la salute mentale delle persone. Perché come scrive il giornalista Fabio Deotto nel libro L’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia (Bompiani), il riscaldamento globale sta esigendo anche il suo dazio psicologico: studi sempre più numerosi rivelano infatti che il cambiamento climatico aggrava l’incidenza di disturbi d’ansia, depressione, insonnia, stress post traumatico.
Un’azione urgente per il clima
Che la crisi ambientale sia grave lo evidenziano i dati. Più di un secolo di utilizzo di combustibili fossili e di uso non sostenibile delle materie prime e del suolo – con il conseguente accumulo senza precedenti di diossido di carbonio (CO2) e di altri gas serra in atmosfera – ha determinato l’aumento delle temperature globali di circa 1,1°C rispetto ai livelli pre-industriali, innescando l’intensificarsi di eventi meteorologici estremi che hanno impatti sempre più pericolosi sugli ecosistemi e sulle persone in ogni regione del mondo. E ogni decimo di grado in più della temperatura media globale comporta una rapida crescita di questi fenomeni: siccità estrema, ondate di calore più intense, precipitazioni più violente che compromettono la sicurezza alimentare, la disponibilità delle risorse idriche, la salute umana e l’integrità degli ecosistemi.
Ma se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro sostenibile e vivibile per tutti. Lo afferma l’IPCC, il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, nella sintesi del suo Sesto Rapporto di Valutazione: una sorta di guida per la transizione energetica ed ecologica. Come ha detto il segretario generale dell’ONU António Guterres, se il clima è una bomba a orologeria pronta a esplodere, questo rapporto è una guida per disinnescarla.
Come? Dobbiamo sfruttare tutte le opzioni a disposizione per ridurre le emissioni di gas serra e dobbiamo riuscire a farlo entro il 2030. Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze è uno degli obiettivi (Goal 13) dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: un piano d’azione che 193 Paesi delle Nazioni Unite hanno sottoscritto il 25 settembre 2015 e che dovremmo seguire come una bussola per attuare il necessario processo di transizione. La nostra azione, o inazione, determinerà infatti l’incremento delle temperature del pianeta.
Crisi climatica e salute mentale
Il cambiamento climatico è una delle sfide più importanti della nostra epoca. E «mentre il suo impatto si fa via via più visibile, anche la preoccupazione sta aumentando», spiega Susan Clayton, professoressa di psicologia e studi ambientali al College di Wooster, in Ohio. «Dieci anni fa, nei Paesi sviluppati, molti consideravano il cambiamento climatico qualcosa di distante: in termini di tempo, con effetti che si sarebbero manifestati dopo decenni, e di spazio, con conseguenze attese principalmente su piccole isole e nei Paesi più poveri. Per molti il cambiamento climatico era collegato più agli orsi polari che morivano di fame che a un impatto riconoscibile sugli esseri umani». Del resto, la nostra mente fatica ad afferrare la portata di processi molto grandi, globali, non lineari, lenti e progressivi come la crisi ambientale e il riscaldamento del pianeta. «Ma di recente, tale impatto si è reso sempre più evidente e nessuno può ritenersi totalmente al sicuro dalle sue ricadute: non sorprende, quindi, che sia una minaccia anche per la salute mentale», aggiunge Clayton.
Come spiega lo psichiatra e psicoterapeuta Matteo Innocenti nel libro Ecoansia. I cambiamenti climatici tra attivismo e paura (Erickson), tutto questo non riguarda solo chi viene direttamente colpito dalle catastrofi ambientali, ma si riscontra anche tra chi si preoccupa dell’enorme minaccia che il cambiamento climatico rappresenta. «Sul benessere mentale non influiscono solo gli eventi meteorologici estremi, che creano traumi e sono associati a un aumento di ansia, depressione e disturbo da stress post-traumatico, ma anche cambiamenti più graduali delle condizioni climatiche, come le ondate di calore e il peggioramento della qualità dell’aria che alimentano l’aggressività, riducono la coesione sociale e compromettono le capacità cognitive».
Inoltre, la consapevolezza che molto di ciò a cui teniamo è a rischio, l’incertezza sulle sorti del pianeta e sulle tempistiche con cui si manifesteranno le conseguenze della crisi ambientale, e la frustrazione derivante dall’insufficiente risposta contro queste minacce danno vita a una miscela complessa di emozioni, come dolore, ansia, rabbia e persino senso di colpa.
Ecoansia ed emozioni ambientali
Per illustrare lo spaesamento di fronte al cambiamento climatico e ai suoi effetti sull’ambiente, il filosofo australiano Glenn Albrecht ha coniato il neologismo solastalgia. «Combinazione della parola latina solatium (conforto) e della radice greca algia (dolore), indica lo stato emotivo che si manifesta quando una persona soffre percependo che il proprio ambiente naturale sta inesorabilmente mutando», spiega Innocenti.
La solastalgia è solo una delle cosiddette emozioni ambientali. «Alcune sono positive e ancestrali. La sumbiofilia, per esempio, descrive l’amore per la natura e il sentimento di gioia per la coesione con l’ambiente naturale. Altre invece sono negative e possono scaturire in risposta agli stimoli indotti da tutto ciò che è connesso con la rovina ambientale. Queste emozioni possono originare da un’esposizione diretta al cambiamento climatico, come per esempio una calamità naturale o la perdita di una persona cara a causa di essa, oppure possono nascere in tutti coloro che, pur non avendo un contatto diretto con eventi climatici estremi, ne sviluppano consapevolezza». L’ecoparalisi, per esempio, descrive il senso di impotenza e la perdita di speranza e motivazione di fronte ai cambiamenti climatici.
L’ecoansia invece, come spiega Innocenti «è un’esperienza emotiva molto comune nella quotidianità della società occidentale», e ha a che fare con il senso persistente e profondo di malessere, tristezza e preoccupazione per la crisi climatica. «Si tratta di un’emozione che accomuna chi si interessa di ambiente e in particolare le fasce più giovani, dai 16 ai 30 anni». Un ruolo chiave nella genesi di questo tipo di emozione è giocato dall’esposizione a notizie sulla crisi climatica e dal modo in cui vengono veicolate. «Un’accezione catastrofica, la mancanza di un’adeguata spiegazione, l’assenza di soluzioni al problema possono aumentare il senso di preoccupazione, generando livelli sempre maggiori di ecoansia», puntualizza lo psichiatra. Così come sembra esserci una relazione tra ansia climatica e l’inazione della politica, che a sua volta alimenta sfiducia da parte dei più giovani nei confronti delle istituzioni.
La speranza nel futuro
Da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Planetary Health, che ha coinvolto migliaia di giovani di età compresa tra i 16 e i 25 anni di dieci diversi Paesi, è emerso che oltre la metà degli intervistati si definisce molto o estremamente preoccupata per il cambiamento climatico. Per il 45% l’ansia climatica colpisce direttamente la quotidianità (il modo di giocare, mangiare, studiare e dormire), il 58% ritiene che i governi stiano tradendo la loro e le generazioni future, mentre il 64% afferma che i propri governi non stanno facendo abbastanza per evitare una catastrofe climatica.
Come illustra Matteo Innocenti nel libro, lo “spettro della rovina ambientale” è pericoloso perché rischia di togliere fiducia e speranza nel futuro e innescare appunto la cosiddetta ecoparalisi nella convinzione che non ci sia più nulla da fare. A tal proposito Innocenti racconta che «lo psicologo norvegese Espen Stoknes ha definito le campagne di comunicazione sul cambiamento climatico il più grande fallimento nella storia di una campagna di comunicazione scientifica, perché il catastrofismo, dipingere il nostro futuro come un’apocalisse climatica non è una modalità comunicativa che stimola l’azione delle persone ma l’esatto contrario».
Ma come dobbiamo comportarci se, rendendoci conto che le nostre azioni stanno distruggendo gradualmente il pianeta, sviluppiamo emozioni negative? «L’etimologia della parola emozione già risponde alla domanda», chiarisce Innocenti. «Dal latino ex e movere, significa muoversi da, quindi spostarsi da una condizione a un’altra. Di fatto, l’attivazione di uno stato emotivo è una spinta ad agire, generata da uno stimolo che l’ha attivata verso la sua soluzione. Qui sta la natura adattiva e risolutiva dell’emozione. La direzione verso la quale dovrebbero essere indirizzati tutti coloro che soffrono per l’ambiente è quella di trasformare gli stati emotivi innescati dalla crisi ambientale da negativi a positivi in modo che una sana ansia inneschi un sano impegno».
La preoccupazione, per esempio, spiega Innocenti, è uno stato emotivo fondamentale per attivare il cambiamento e l’adozione di comportamenti pro-ambientali, «ma deve essere accompagnata da un buon livello di autoefficacia». In altre parole, dalla fiducia nelle proprie capacità, dall’idea di poter fare qualcosa di utile. E la fiducia in se stessi può essere alimentata dalla conoscenza, da informazioni chiare e scientifiche. «Se le persone vengono istruite su cosa possono fare per l’ambiente e quali comportamenti possono adottare, per esempio, per ridurre le emissioni o limitare l’inquinamento dei mari, si potrà contrapporre al senso di impotenza una percezione di speranza: non è vero che tutto è perduto, qualcosa può essere ancora fatto».
L’attivismo climatico
Agire, fare qualcosa di concreto per l’ambiente è considerata una buona strategia per ridurre gli effetti dell’ecoansia o della solastalgia. «Assumere attivamente comportamenti pro-ambientali, invitare gli altri a farlo, fare rete, condividere le preoccupazioni, chiedere alle istituzioni di prendere provvedimenti a salvaguardia dell’ambiente, riconnettersi con la natura: tutto questo aiuta a migliorare il proprio senso di autoefficacia, a sentirsi meno in colpa e a placare le paure e il senso di desolazione davanti a un destino che sembra ogni giorno sempre più inevitabilmente catastrofico».
Innocenti mette in guardia però dall’accollarsi il peso delle sorti del mondo sulle proprie spalle. Citando il libro I bugiardi del clima di Stella Levantesi (Laterza), puntualizza: «Di fatto siamo tutti chiamati a fare la nostra parte per contrastare il cambiamento climatico, salvaguardare la biodiversità e promuovere uno sviluppo sostenibile, ma attenzione a una certa narrazione dell’emergenza climatica che punta a responsabilizzare le scelte individuali dei cittadini e delle cittadine deresponsabilizzando quelle delle aziende e dei governi: noi possiamo consumare meno, riciclare la plastica, preferire la bicicletta all’automobile e sostituire i mezzi privati con quelli pubblici, ma è la politica che deve agire concretamente e subito per promuovere l’abbandono delle fonti fossili e ridurre le emissioni climalteranti».
Come è stato ribadito in occasione della presentazione dell'ultimo rapporto dell’IPCC, dobbiamo infatti usare tutte le conoscenze scientifiche e gli strumenti a nostra disposizione per invertire la nostra attuale traiettoria, ed è importante che tutti ne prendano atto perché solo dalla consapevolezza possono derivare comportamenti e scelte responsabili. L’oceanografa Edith Widder nel libro Sotto la soglia delle tenebre (Bollati Boringhieri) rivendica l’importanza dell’ottimismo: «Serve un incrollabile ottimismo per essere ambientalisti. Bisogna essere convinti di poter fare la differenza. Altrimenti perché provarci?».
Anche nella guida dell'American Psycological Association pubblicata nel 2017 dal gruppo di lavoro di Susan Clayton, che contiene consigli utili per migliorare la propria capacità di affrontare gli effetti psicologici del cambiamento climatico, si sottolinea l’importanza di alimentare l’ottimismo, ma non false illusioni. «L’ottimismo è giusto finché è giustificato», chiosa Innocenti. Serve in sostanza – come sostiene il premio Nobel Giorgio Parisi – «l’ottimismo della volontà quando il pessimismo della ragione non può essere ignorato». Per questo, conclude l’autore di “Ecoansia”, «è di fondamentale importanza poter accedere a una corretta informazione circa le tematiche ambientali e conoscere gli strumenti necessari per attutirne il contraccolpo emotivo: la consapevolezza è cruciale per affrontare la paura e agire nel modo giusto per mitigare il riscaldamento globale e limitare i danni. E in questo la scuola ha un ruolo imprescindibile».
Rappresentazione schematica degli effetti del cambiamento climatico sulla salute umana. (Fonte: Matteo Innocenti, Ecoansia. I cambiamenti climatici tra attivismo e paura, Erickson, 2022).
Rappresentazione schematica delle emozioni ambientali, divise in positive e negative. (Fonte: Matteo Innocenti, Ecoansia. I cambiamenti climatici tra attivismo e paura, Erickson, 2022).
A che punto siamo in Italia nelle azioni per raggiungere il Goal 13 dell’Agenda 2030. (Fonte: ASVIS)
La finestra di opportunità per evitare gli scenari peggiori della crisi climatica si sta riducendo, ma siamo ancora in tempo per limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C. (Fonte: IPCC)