Se la avete, guardate le alette oscillanti con amore. Se vi manca, la bramate, mentre il caldo vi annebbia i pensieri e le gocce di sudore cambiano il colore di quello che indossate. In estate più o meno tutti saremmo concordi nell’attribuire a chi ha inventato l’aria condizionata il premio Nobel per la pace, ma l’impatto che questa ha sull’ambiente ci obbliga a fare delle riflessioni sul suo utilizzo. Il primo problema è rappresentato dai refrigeranti che circolano all’interno dei macchinari, mentre il secondo riguarda l’energia elettrica necessaria per farli lavorare. Il terzo è insito nel tipo di funzionamento: partiamo provando a capire proprio quest’ultimo.
Come funziona un condizionatore?
Le macchine frigorifere compiono un’operazione per noi importante: raffreddano un ambiente freddo – il loro interno – ma a un costo. Infatti, oltre a consumare energia elettrica, riscaldano l’ambiente esterno, già più caldo in partenza. Ecco perché, quando decidiamo di comprare un gelato in una giornata afosa, entrando in gelateria ci rendiamo conto che fa decisamente caldo: dai bocchettoni dei frigoriferi che ci mostrano tutti quei gusti invitanti esce infatti il calore estratto dall’interno (sommato all’energia necessaria per far funzionare il macchinario). I condizionatori fanno la stessa cosa: prelevano calore da una sorgente a temperatura più bassa, cioè l’interno della casa, per riversarlo verso una sorgente più calda, cioè l’ambiente esterno.
Affamati di energia elettrica
Tanto caldo, tanti condizionatori, tanta energia elettrica: nelle giornate più afose lo accendiamo tutti, creando un picco nella domanda. Secondo un report del 2018 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia:
[...] si prevede che la domanda globale di energia da parte dei condizionatori d’aria triplicherà entro il 2050, […] il parco globale di condizionatori d’aria negli edifici crescerà fino a 5,6 miliardi entro il 2050, rispetto agli attuali 1,6 miliardi, il che equivale a 10 nuovi condizionatori venduti ogni secondo per i prossimi 30 anni.
Sempre secondo il report, l’utilizzo di questi macchinari e di ventilatori elettrici per stare al fresco rappresentava già in quel periodo circa un quinto dell’elettricità totale utilizzata negli edifici di tutto il mondo, ovvero il 10% del consumo globale. Con il miglioramento dei redditi e degli standard di vita in molti Paesi in via di sviluppo, la crescita della domanda di aria condizionata nelle regioni più calde è destinata ad aumentare: entro il 2050 si prevede che l’uso dell’aria condizionata sarà la seconda fonte di crescita della domanda globale di elettricità, dopo il settore industriale.
Proviamo a pensare, però, cosa succede se la potenza che impieghiamo per produrla proviene dai combustibili fossili: più aumentano le ondate di calore, maggiore sarà la richiesta di aria condizionata, e quindi di elettricità. Ma se l’elettricità viene prodotta con gli stessi mezzi che inquinano e fanno alzare le temperature del Pianeta siamo di fronte a quello che si definisce retroazione (o feedback) positiva: questo significa che in un sistema dinamico, la variabile di uscita di un processo va a influenzare la variabile di ingresso di quello stesso processo, amplificando le deviazioni del sistema dal suo stato (se fosse negativa, contrasterebbe invece le deviazioni e manterrebbe il sistema stabile). In questo caso, quindi, una tendenza al riscaldamento provoca effetti che inducono ulteriore riscaldamento, in un ciclo vizioso per noi nocivo.
Se invece quell’energia provenisse da fonti rinnovabili, il problema potrebbe verificarsi di notte: i pannelli fotovoltaici, infatti, non riuscirebbero a contribuire e lo squilibrio tra la richiesta e la capacità di produzione potrebbe sovraccaricare l’infrastruttura e portare al blackout.
Energia sì, ma quale?
Secondo uno studio del 2018, pubblicato sulla rivista Public Library of Science (PLOS) Medicine, la previsione degli scienziati è che – solo negli Stati Uniti orientali – ogni anno ci sarà un migliaio di morti in più per gli elevati livelli di inquinamento causati dall’incremento nell’utilizzo di combustibili fossili per rinfrescare case e ambienti di lavoro. L’analisi degli scienziati combina le proiezioni provenienti da cinque diversi modelli per prevedere l’aumento nell’uso di energia in un mondo più caldo e come questo potrebbe incidere sul consumo di corrente proveniente da fonti fossili, sulla qualità dell’aria, sulla salute umana nei prossimi decenni. A causa dei cambiamenti climatici le ondate di calore tenderanno a diventare più frequenti e intense, e secondo Jonathan Patz, primo autore dello studio e professore di scienze ambientali e della salute all’Università del Wisconsin-Madison, è innegabile che l’aria condizionata salvi e continui a salvare delle vite.
Lo studio stima 13000 morti aggiuntive ogni anno causate dai livelli più alti di polveri sottili in estate e 3000 provocate dalla presenza di ozono a livello del terreno (entrambi sottoprodotti della combustione delle fonti fossili) nella parte orientale degli Stati Uniti entro la metà del secolo. La maggior parte di queste saranno attribuibili a processi naturali legati alla chimica atmosferica e a emissioni non provocate dall’uomo, che vengono influenzate dall’aumento di temperatura. Ma circa 1000 di queste saranno proprio collegate all’utilizzo di aria condizionata, se l’energia che sfrutta proviene da combustibili fossili. I risultati della ricerca sottolineano quanto ci sia bisogno di fonti di energia più sostenibile, come quella eolica e solare, e che è necessario impiegare condizionatori più efficienti sotto il profilo energetico.
Si tratta di problemi che siamo in grado di controllare, e che ci possono aiutare a contrastare sia i cambiamenti climatici, sia l’inquinamento. In caso contrario peggioreranno entrambi. C’è da dire, in ogni caso, che gli americani hanno un rapporto con le alette oscillanti diverso rispetto a noi europei: infatti se tutti adottassero lo stile di vita degli Stati Uniti per quanto riguarda l’aria condizionata la domanda di energia elettrica potrebbe essere dieci volte quella attuale (l’87 per cento delle abitazioni statunitensi ha un condizionatore).
Storia dell’aria condizionata e dei suoi gas
In realtà non è stata inventata per noi, ma per biglietti, libri e manifesti. Il suo primo uso avvenne infatti in una tipografia negli Stati Uniti, quando due estati molto calde e umide ne misero a rischio la produttività: carta e inchiostro infatti mal la tollerano. Si pensò quindi di raffreddare l’aria, utilizzando prima tecniche sperimentate in passato, poi progettando nel 1902 un macchinario apposito, un ventilatore che spingeva l’aria attraverso bobine piene di acqua fredda. Era però un metodo poco efficiente, e nel 1922 Willis Carrier inventò il Centrifugal Refrigeration Compressor, considerato il primo vero condizionatore della storia.
Sembra che il maggior comfort dell’ambiente di lavoro per le persone sia stato un gradito effetto collaterale. I primi frigoriferi e condizionatori utilizzavano fluidi tossici o infiammabili, come l’ammoniaca, il biossido di zolfo, il cloruro di metile, il propano o l’isobutano, che potevano causare incidenti mortali in caso di fuoriuscite. Il cloruro di metile era il più pericoloso: tossico e infiammabile, essendo inodore, le sue eventuali perdite non venivano rilevate facilmente come con ammoniaca e biossido di zolfo, subito riconoscibili dal nostro naso. Il propano e l’isobutano sono altamente infiammabili, ma le cariche erano relativamente piccole e l’illuminazione era a quell’epoca generalmente elettrica.
C’era però bisogno del refrigerante ideale per far fare il balzo a questa tecnologia: Charles F. Kettering della General Motors diede quindi il compito di trovarlo all’abile ingegnere Thomas Midgeley Jr.. Avrebbe dovuto essere stabile, non tossico, non infiammabile, miscibile con l’olio lubrificante, in grado di funzionare nei macchinari domestici senza scendere al di sotto della pressione atmosferica, un buon isolante elettrico e avere altre proprietà simili a quelle dei fluidi precedentemente impiegati per non dover rivedere ex novo la struttura degli elettrodomestici. Una scelta non semplice, che nel 1930 ricadde sul Freon (R-12), il primo gas clorofluorocarburo non infiammabile e non tossico creato, poi seguito da altri della stessa famiglia. Sembrerebbe un’ottima notizia, se non fosse che questi composti chimici, pur non essendo nocivi per l’uomo – almeno non direttamente – sono molto dannosi per l’ambiente. A seguito di un articolo pubblicato il 16 maggio 1985 da un gruppo di scienziati su Nature, che indicava come i clorofluorocarburi (CFC) fossero i principali responsabili di un buco nella fascia di ozono (ipotesi introdotta nel 1974 dai ricercatori Rowland e Molina), alcuni di questi composti sono stati banditi dal protocollo di Montréal del 1987, eccetto che negli usi per cui non si possono trovare gas sostitutivi.
E arrivano gli HFC
In sostituzione dei CFC e degli HCFC (idroclorofluorocarburi, anch’essi ritenuti dannosi per le stesse ragioni) arrivano gli idrofluorocarburi (HFC). La buona notizia è che non contribuiscono all’assottigliamento dello strato di ozono, quella cattiva è che sono però dei potenti gas serra, come l’anidride carbonica e il metano. Gli HFC, però, intrappolano il calore a tassi migliaia di volte superiori. Sebbene il numero di molecole di refrigerante nell’atmosfera sia di gran lunga inferiore a quello degli altri gas serra, la loro forza distruttiva, molecola per molecola, è di certo superiore.
Secondo uno studio del 2022, pubblicato su Atmospheric Chemistry and Physics, se l’utilizzo degli HFC non verrà limitato, potrebbe contribuire di 0,5 °C al riscaldamento globale entro il 2100. Nell’ottobre 2016 si è quindi decisa una modifica: durante la ventottesima Riunione delle Parti del Protocollo di Montréal, tenutasi a Kigali, in Rwanda, oltre 170 Paesi hanno stabilito di ridurre gradualmente la produzione e il consumo di HFC. L’emendamento è entrato in vigore il 1 gennaio 2019, con l’obiettivo di raggiungerne una riduzione di oltre l’80% entro il 2047. Proprio nel 2019, le emissioni annuali prodotte dagli HFC sono state pari a 175 milioni di tonnellate di anidride carbonica. In linea teorica, un condizionatore che usa HFC e funziona correttamente non rilascia gas nell’atmosfera. Ma se ci sono perdite, se la manutenzione viene fatta scorrettamente o non viene effettuata, o se i vecchi condizionatori non vengono smaltiti in maniera adeguata le cose cambiano.
A livello europeo, i gas fluorurati costituiscono attualmente il 2,5% delle emissioni totali di gas a effetto serra. L’uso degli idrofluorocarburi – i gas fluorurati più comuni, che rappresentano circa il 90% delle emissioni di questo tipo – verrebbe ridotto del 95% rispetto al 2015 entro il 2030 e azzerato entro il 2050. Nei nuovi modelli di condizionatori d’aria sarà obbligatorio usare i gas più rispettosi del clima, mentre in altri tipi di apparecchiature dovranno essere eliminati del tutto. In più, verrà introdotto il divieto di esportare nel resto del mondo le apparecchiature obsolete che utilizzano refrigeranti con un alto potenziale di riscaldamento globale di cui è vietata la vendita nell’UE.
immagine di copertina: Mathieu Vivier da Pixabay
Il disegno schematizza la retroazione positiva per il sistema P (immagine: Wikipedia)