L’agenzia giornalistica Reuters ha pubblicato una lista dei mille scienziati più influenti nello studio dei cambiamenti climatici. Su 1000 nomi, solo 5 provengono dal continente africano e solo 122 sono donne. Può sembrare incredibile visto che il tema ambientale coinvolge tutti e i paesi più poveri sono quelli che per primi soffrono gli effetti dei cambiamenti climatici. Negli ultimi anni i rischi naturali collegati, come frane, siccità, inondazioni, tempeste e cicloni tropicali, incendi boschivi hanno causato gravi perdite di vite umane e mezzi di sussistenza, distruzione di infrastrutture economiche e sociali e danni ambientali. I disastri di piccola e media scala sono aumentati in modo sostanziale e le loro conseguenze, se non si adottano misure appropriate, si preannunciano devastanti. Nel 1999 sono state perse più di 100 000 vite ed entro il 2050 saranno necessari circa 300 miliardi di dollari all’anno per far fronte ai problemi associati ai disastri naturali. Nonostante sia stato inizialmente concepito come una questione soprattutto scientifica e tecnica, è ormai chiaro che gli impatti dei cambiamenti climatici sono molto più ampi e coinvolgono la sfera socioeconomica. Il rapporto sullo sviluppo umano del 2007 riconosce che il global warming minaccia di erodere le libertà umane e amplifica la disuguaglianza di genere. Per combatterlo è quindi necessario considerare anche questi effetti.
La categoria più vulnerabile
Le donne sono la categoria più afflitte dagli effetti dei disastri naturali causati dal cambiamento climatico; non perché siano “naturalmente più deboli”, ma perché affrontano tali eventi in condizioni di vulnerabilità diverse rispetto agli uomini.
- Durante l’ondata di caldo che ha colpito l’Europa nel 2003 sono morte più donne che uomini. In Francia, la maggior parte dei decessi è avvenuta tra le donne anziane.
- Nell’emergenza causata dall’uragano Katrina negli Stati Uniti, la maggior parte delle vittime intrappolate a New Orleans erano donne afroamericane con i loro figli.
- In Sri Lanka, durante lo tsunami, per gli uomini è stato più facile sopravvivere perché solo ai ragazzi viene insegnato a nuotare e ad arrampicarsi sugli alberi; questo pregiudizio sociale significa che le ragazze e le donne dello Sri Lanka hanno pochissime possibilità di sopravvivere a tali disastri in futuro.
Anche in circostanze meno drammatiche, le donne sono più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico rispetto agli uomini perché costituiscono spesso una categoria svantaggiata e sono più dipendenti per il proprio sostentamento dalla natura. Nei paesi in via di sviluppo le donne e le ragazze hanno spesso ruoli basati sulla gestione di risorse naturali: solo per raccogliere acqua, le donne che vivono nell’Africa subsahariana trascorrono 40 miliardi di ore all’anno, equivalenti a un anno di lavoro da parte dell’intera forza lavoro in Francia. Questa dinamica le rende più esposte ai vari effetti del global warming, per esempio alla siccità, e le obbliga a rimettere in discussione il loro ruolo nella famiglia e nella comunità. Al 14° Meeting della Commissione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile (CSD, 2006), il Women’s Major Group ha sottolineato come le donne, a causa dei loro ruoli sociali, discriminazione e povertà, siano colpite in modo diverso dagli effetti del cambiamento climatico e come non siano sufficientemente rappresentate nei processi decisionali sulle strategie di adattamento e mitigazione.
Le donne come agenti del cambiamento
Le donne non sono solo vittime, ma anche agenti efficaci di cambiamento: possiedono infatti un solido corpo di conoscenze e competenze che possono essere impiegate nella riduzione dei disastri e nelle strategie di adattamento. Nella comunità di Keur Moussa in Senegal, per esempio, l’erosione stava compromettendo la disponibilità di acqua, provocando inondazioni dei terreni utilizzati per la semina delle colture e costringendo giovani e donne a migrare verso le città. Le organizzazioni femminili hanno contribuito a controllare l’erosione costruendo canali a forma di mezzaluna per trattenere l’acqua, recuperare i terreni coltivati e migliorare la produzione agricola. Oltre a prendersi cura delle loro famiglie, le donne in tutto il mondo in via di sviluppo spendono una parte considerevole del loro tempo e della loro energia usando e preservando la terra per la produzione di cibo e per generare reddito per la loro comunità. In aggiunta all’aumento dei carichi di lavoro, le donne sono particolarmente colpite dall’aumento dell’emigrazione maschile dovuta al peggioramento delle condizioni ambientali. Le donne stanno assumendo di fatto il ruolo del capofamiglia, ma mentre le loro responsabilità sono aumentate, non c’è stato un corrispondente aumento di influenza e opportunità.
Prossimi passi per un futuro sostenibile
L’ONU ha identificato il degrado ambientale come una minaccia fondamentale per la sicurezza umana; è quindi fondamentale identificare strategie sensibili al genere per rispondere alle crisi ambientali e umanitarie causate dai cambiamenti climatici. Sebbene la loro posizione sociale, economica e politica in molte società le renda più vulnerabili ai rischi naturali, le donne svolgono ruoli cruciali nei momenti critici, dalla valutazione del rischio e mitigazione dei pericoli alla preparazione alle emergenze. Dopo i disastri, sono inoltre spesso protagoniste nella ricostruzione delle comunità, nella promozione della sicurezza e nel garantire la normalità nella vita quotidiana. Dovrebbero quindi essere responsabilizzate in modo che possano essere coinvolte in tutte le fasi dei disastri, dalla preparazione e dall’allerta precoce alla mitigazione e al recupero, e prendere parte ai processi decisionali di gestione dei disastri naturali, sfruttando le loro competenze, intraprendenza e leadership nelle strategie di mitigazione e adattamento. Donne e uomini dovrebbero avere inoltre pari accesso all’informazione, alla formazione, agli strumenti e ai benefici degli approcci commerciali per contrastare i rischi ambientali. Escludere le donne dai processi decisionali sui cambiamenti climatici mette a tacere le voci di metà della popolazione mondiale, nega i loro diritti e rende meno efficace la battaglia contro il cambiamento climatico.
Maria Monica Avanzi
30 giugno 2022 alle 15:37
Ottimo, lo userò