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Speciale Antropocene

L’Africa e i materiali critici

Ricchissimo di elementi necessari alla transizione ecologica, per il continente africano si rinnova una sfida annosa: gestire in autonomia le proprie risorse

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I minerali critici sono una delle strettoie da cui passa il futuro dello sviluppo umano. Sono quelli da cui dipende la transizione rapida a un’economia a basse emissioni, perché sono componenti essenziali delle batterie per le auto elettriche o delle tecnologie su cui si basano le fonti rinnovabili di energia (per non parlare delle tecnologie digitali). Ancora non esiste una definizione univoca di cosa sia un minerale critico, ma due caratteristiche essenziali è che non hanno sostituti noti e hanno catene di produzione e commercio vulnerabili.

Non è nemmeno chiaro quanti siano: l’Australia ne conta 47, gli Stati Uniti ne identificano 50, di cui 45 sono considerati strategici, l’Unione Europea invece 34. I più importanti, quelli che sono in tutte le liste, sono litio, cobalto, nickel, manganese, terre rare (un gruppo di diversi 17 elementi chimici). Alcuni stanno vivendo una crescita furibonda: secondo un’analisi dell’Agenzia internazionale per l’energia, il mercato del litio è triplicato in cinque anni. La domanda media dei metalli critici raddoppierà entro la fine del decennio e quadruplicherà entro il 2050, con proiezioni di fatturato di 400 miliardi di dollari all’anno. Sarà, insomma, un grandissimo affare. E dove si fanno grandi affari, ci sono anche grandi rischi, ecologici e sociali. La mappa di questi rischi in questo momento punta dritta verso l’Africa, che potrebbe assistere con i metalli critici a una nuova edizione della sua maledizione delle risorse, cioè il principio secondo il quale la sua ricchezza di risorse naturali ha portato alle popolazioni locali guerra e instabilità invece che prosperità e benessere.

La ricchezza africana

Un terzo dei metalli critici che serviranno alla transizione energetica sono nelle riserve del continente africano, dove si trovano il 55% del cobalto terrestre, il 47,65% del manganese, il 21,6% della grafite naturale, il 5,9% del rame, il 5,6% del nickel e l’1% del litio. Il problema è che queste ricchezze, presenti e potenziali, vengono drenate via dall’estrattivismo delle grandi potenze straniere.

La prima a intravedere questo enorme margine di sfruttamento è stata la Cina, ma anche Stati Uniti e Unione Europea hanno delle politiche strategiche su queste minerali, che prevedono il commercio e l’estrazione in Africa. Il cobalto è un caso di studio ideale capire come funziona lo sfruttamento dei metalli critici: il principale produttore è la Repubblica Democratica del Congo, un quinto di questo metallo (che oggi è fondamentale per le batterie per la sua stabilità e densità energetica) viene estratto in miniere artigianali, fuori da ogni regolamentazione e con ampio e documentato uso di lavoro minorile, in condizioni di schiavitù o semi-schiavitù. Nel 2009 l’allora presidente Joseph Kabila strinse un accordo col governo cinese, che da quel momento prendeva in concessione 15 delle 19 principali miniere di cobalto nel paese. Non è andata meglio quando aziende occidentali hanno iniziato a lavorare in Congo, con diversi procedimenti per violazione dei diritti umani aperti nei confronti dei grandi brand che hanno iniziato a comprare o estrarre cobalto in Congo. Anche il radicamento del gruppo paramilitare russo Wagner in Mali e Sudan è stato solidificato grazie ad attività minerarie predatorie, secondo un report dello United States Institute of Peace. È quello che succede quando un solo paese contiene un metallo fondamentale per tutte le economie mondiali. La Repubblica Democratica del Congo ha sul sul territorio più della metà delle riserve, ma soprattutto il 70% del cobalto attualmente estratto.

Il manganese, altro minerale critico secondo ogni definizione, è per due terzi posseduto da tre paesi: Sudafrica, Ghana e Gabon. Lo Zimbabwe potrebbe avere immense e inesplorate riserve di litio. La Guinea Conakry, in Africa occidentale, ha il 23% delle riserve mondiali di bauxite, il minerale da cui si estrae l’alluminio. La mappa del continente africano è interamente accesa di zone di rischio e di opportunità legate alla tavola periodica.

Miniere sostenibili

Le economie africane stanno provando a riprendere nelle proprie mani il controllo su queste risorse, sottraendole al monopolio di tecnologie e capitali stranieri, cercando il modo per mettersi in proprio nell’estrazione e soprattutto nella lavorazione. Un buon esempio è proprio quello della bauxite: secondo il Fondo monetario internazionale il minerale grezzo sul mercato vale circa 65 dollari a tonnellata. Ma una volta trasformato in alluminio, ecco che vale fino a 2335 dollari a tonnellata. È il motivo per cui diversi paesi stanno iniziando a mettere limitazioni alle esportazioni, tra cui Namibia e Zimbabwe. Da quest’ultimo paese ogni giorno partono carichi di bauxite per la Cina, perché manca la tecnologia per produrre alluminio in loco, ma le ricchezze inesplorate delle riserve di litio hanno fatto decidere al governo che almeno su questa risorsa si cercherà di creare un’industria interna. È un esempio che ci aiuta a capire quale potrebbe essere la direzione futura per lo sviluppo dell’estrazione di minerali in Africa: una riappropriazione delle risorse.

La sfida delle miniere sostenibili in Africa è una di quelle da vincere a ogni costo, ed è per questo che anche le Nazioni Unite ne hanno fatto una priorità. Il segretario generale dell'ONU António Guterres ha lanciato il Panel on Critical Energy Transition Minerals, un gruppo di lavoro con l’obiettivo di un’estrazione mineraria equa, con investimenti trasparenti, sostenibile dal punto di vista ambientale e dei diritti umani. Cioè l’esatto opposto di quello che avviene oggi in Africa. «Un mondo alimentato da rinnovabili è un mondo affamato di minerali critici, per i paesi in via di sviluppo sono una grande opportunità per creare lavoro, diversificare le economie e aumentare i budget. Ma solo se saranno gestite correttamente. Dobbiamo evitare di ripetere gli errori del passato», ha detto Guterres presentando il progetto.

Delle sfide economiche, sociali e ambientali connesse alla transizione ecologica ha scritto un articolo per noi Davide Michielin, che trovi cliccando qui
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Rapporto tra la domanda di materiali critici del 2050 e il 2022 in uno scenario che consentirebbe emissioni nette pari a zero (fonte: IEA – World Energy Outlook 2023)

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Treno-merci per il trasporto di bauxite in Guinea (immagine: Shutterstock / Igor Grochev)

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