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Speciale Antropocene

Una risorsa da tutelare: la sabbia

Per fare il cemento utile per strade e palazzi delle nostre città ne consumiamo miliardi di tonnellate ogni anno, ma la sabbia non è illimitata.
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Viviamo ormai immersi in una tecnosfera: è l’insieme degli oggetti artificiali che, assieme alle forme di vita della biosfera, popola lo strato più esterno della superficie terrestre. È costituita da tutto ciò che di duraturo gli esseri umani hanno prodotto nel corso della storia (templi, strade, tubature, utensili, ecc.) e secondo uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’Anthrpocene Working Group avrebbe un peso stimato di 30 miliardi di miliardi di tonnellate: più di tutte le piante e gli animali messi assieme, umani compresi. A rendere così pesante la tecnosfera è soprattutto un materiale da costruzione duttile e solido, economico e resistente, che più di molti altri ha cambiato la storia recente dell’umanità e il destino naturale dell’intero pianeta. Parliamo del cemento, un composto inesistente in natura ottenuto fondendo assieme calce e altri minerali come silicio, alluminio, ferro e magnesio. Preso di per sé il cemento non serve a molto, ma combinato a sabbia, ghiaia e acqua dà vita al calcestruzzo, l’austera e grigia “roccia artificiale” di cui sono fatte le città e gli edifici in cui viviamo.  

L’epoca umana del cemento

Nell’ultimo secolo e mezzo il cemento e il suo derivato calcestruzzo hanno letteralmente invaso il pianeta, perché sono i materiali con i quali è stata edificata la modernità: senza la loro produzione industriale su vasta scala, l’urbanizzazione di massa sarebbe stata di fatto impossibile. Di cemento e calcestruzzo ce n’è ormai così tanto in giro per il mondo che se lo appiattissimo sulla superficie terrestre potremmo ricoprire l’intero pianeta con un guscio artificiale di qualche millimetro di spessore. Ovunque siano arrivati, questi due materiali così dirompenti e rivoluzionari hanno portato cambiamenti enormi, persistenti, e spesso irreversibili. Persino se un domani l’umanità intera dovesse estinguersi, si lascerebbe alle spalle una gravosa eredità fatta di grattacieli, ponti e capannoni industriali in rovina che potrebbero restare in piedi per centinaia, forse migliaia d’anni. Cemento e calcestruzzo sono destinati a diventare dei tecnofossili, al punto da essere annoverati tra i possibili marcatori dell’ingresso nell’Antropocene.  

Breve storia del cemento

L’ascesa della roccia artificiale ha avuto inizio già al tempo dei Romani, i primi a utilizzare il calcestruzzo nelle costruzioni. Nella miscela originale messa a punto dall’architetto Vitruvio nel primo secolo avanti Cristo, la sabbia veniva mescolata alla pozzolana e al tufo per realizzare opere longeve, maestose e tuttora esistenti come il Pantheon. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il calcestruzzo visse un millennio e mezzo di oblio e tornò in auge soltanto a metà dell’Ottocento. Fu un insieme di fattori a decretarne il successo: l’introduzione del cemento come legante principale al posto delle ceneri vulcaniche, la standardizzazione produttiva delle miscele, l’impiego di barre metalliche all’interno delle colate di calcestruzzo per ottenere il cemento armato, più resistente agli stress meccanici. Al pari del carbone e del petrolio, il cemento e il calcestruzzo sono indubbiamente tra i materiali che più hanno contribuito a rendere possibile la rivoluzione industriale e l’espansione dell’economia capitalistica, portando con sé sia progresso e benessere materiale, sia cambiamenti sociali e gravi danni ambientali.  

L’impatto ambientale per la produzione e l’uso

Ovunque vengano versati, infatti, cemento e calcestruzzo consumano quella risorsa scarsa e non rinnovabile che è il suolo, dove si pensa viva fino a un quarto delle specie viventi, distruggendo in maniera spesso irreversibile i suoi servizi ecosistemici. Ma è lo stesso processo produttivo del cemento a essere dannoso per l’ambiente: la fusione della calce e degli altri minerali avviene di norma in colossali fornaci alimentate a gas naturale e la sintesi chimica del clinker, il prelavorato da cui si ottiene poi la polvere di cemento, rilascia grosse quantità di diossido di carbonio (CO2). L’intero processo produttivo del cemento è responsabile oggi di circa l’8% delle emissioni di gas serra – solo carbone, petrolio e gas fanno peggio – e se l’industria del cemento fosse una nazione sarebbe al terzo posto per emissioni dietro a Cina e Stati Uniti. Nell’immaginario dominante i combustibili fossili sono ormai largamente associati al riscaldamento globale, mentre ci riesce ancora difficile pensare al settore delle costruzioni come a uno tra i più inquinanti e impattanti, oltre che tra i più difficili da decarbonizzare.
Um impianto di estrazione di rocce dove avviene la trasformazione del materiale in sabbia e ghiaia (Immagine: borchee/istock photo).
 

Un’edilizia meno grigia e più verde

Per rendere più sostenibile l’industria edilizia c’è urgente bisogno di soluzioni innovative su più fronti. Anzitutto occorre elettrificare i cementifici per alimentare il processo di fusione della calce e degli altri minerali con fonti di energia pulita e rinnovabile anziché con i combustibili fossili. Bisogna poi ridurre le emissioni liberate dalle reazioni chimiche di calcificazione del cemento, e le misure proposte al riguardo sono molteplici. C’è chi suggerisce di rimpiazzare la miscela oggi più in voga, il Portland, con dei “nuovi cementi” a ridotta intensità di clicker e dunque a basse emissioni, se non addirittura a emissioni negative nel caso di alcune miscele capaci di assorbire più CO2 di quanto ne viene rilasciato nel processo produttivo. In bioedilizia si cerca oggi di sostituire il calcestruzzo con materiali più sostenibili, come il legno, mentre chi lavora sul riciclo di cemento e calcestruzzo punta tutto sulla creazione di una filiera circolare che porti al riutilizzo dei rifiuti edili nelle nuove costruzioni.  

E se finisse la sabbia?

Più che da soluzioni tecnologiche, però, la svolta decisiva potrebbe arrivare da una variabile oggi assai sottostimata ma potenzialmente disastrosa per il mercato edilizio: l’esaurimento della sabbia, che combinata al cemento, alla ghiaia e all’acqua rappresenta un elemento essenziale per la produzione del calcestruzzo. La sabbia è in assoluto la risorsa naturale più consumata al mondo dopo l’acqua, e assieme alla ghiaia spicca per essere il materiale più estratto, superando persino i combustibili fossili. Allo stato grezzo la impieghiamo per produrre calcestruzzo e asfalto, ma anche per contrastare l’erosione delle coste o per creare da zero nuove terre emerse. Negli ultimi decenni isole artificiali sono affiorate dalle acque in Medio Oriente, Cina, Singapore e ora anche lungo le coste africane. Secondo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori olandesi, dal 1985 a oggi gli esseri umani hanno ampliato le zone costiere per oltre 13.000 chilometri quadrati di superfici artificiali: un’area estesa quanto la Regione Campania.  

C’è sabbia e sabbia

La crisi della sabbia è un fenomeno di cui non abbiamo piena consapevolezza dal momento che la sabbia ci appare ancora una materia prima illimitata, perciò di poco valore e sfruttabile all’eccesso come tutti quei beni comuni il cui consumo è complesso e oneroso da regolamentare. Questa percezione di diffusa abbondanza si scontra però con il fatto che non tutta la sabbia è uguale, e quella utile per gli scopi umani è ormai scarsa e in via di esaurimento. La sabbia accumulata nei deserti, ad esempio, frutto dell’erosione da parte dei venti e non dell’acqua, presenta granelli troppo levigati e tondeggianti per produrre del buon cemento. Occorre perciò raccogliere quella depositata nelle zone alluvionali, sul letto di fiumi e laghi, oppure in riva al mare. Ecco perché nazioni immerse nella sabbia del deserto, come Dubai, sono costrette ad importarne in grande quantità dall’estero per alimentare il vorace settore edilizio domestico. Se poi allarghiamo il discorso alla produzione di vetro, microchip e pannelli solari, è necessario ricorrere a un numero ancora più ristretto di varietà pregiate, come la sabbia silicea.
 

L’estrazione estensiva non è sostenibile

Si calcola che ogni anno, nel mondo, vengano estratti circa 50 miliardi di tonnellate di sabbia mista a ghiaia: una quantità che è triplicata negli ultimi vent’anni e che eccede ormai di gran lunga il ritmo naturale di rinnovamento della sabbia, al punto che già a metà di questo secolo la domanda potrebbe superare l’offerta. È facile immaginare come estrarre 50 miliardi di tonnellate annue di un qualsiasi materiale abbia un impatto enorme sull’ambiente e sulle persone che ci vivono. L’estrazione intensiva della sabbia, per esempio, ha ormai devastato il delta del fiume Mekong, uno degli ecosistemi più vasti e ricchi di biodiversità al mondo. Nel delta del Fiume delle Perle, in Cina, il prelievo selvaggio di sabbia ha invece determinando un abbassamento delle falde acquifere, complicando le forniture d’acqua potabile e danneggiato ponti e argini. Fenomeni analoghi vanno moltiplicandosi un po’ in tutto il mondo.  

Prima che la sabbia si esaurisca

Per una gestione più sostenibile della sabbia servirebbe anzitutto un sistema di certificazione trasparente e vincolante a livello internazionale, che porti a prelevare questa risorsa da siti rinnovabili e con il minor impatto ambientale possibile. Secondo Vince Beiser, autore del saggio The World in a Grain: The Story of Sand and How It Transformed Civilization (2018), bisognerebbe inoltre inventare miscele di calcestruzzo che richiedano un impiego limitato di sabbia e cemento. Per ridurre la dipendenza del settore edilizio da questa risorsa in crisi occorrerà appoggiarsi a materiali sostitutivi – come scorie industriali, ceneri volanti, plastica di scarto – e riciclare il più possibile quella già utilizzata, recuperando e macinando il calcestruzzo di demolizione per fabbricarne di nuovo senza ricorrere a ulteriore materia prima. Sarà però indispensabile anche limitare la domanda di nuove costruzioni, valorizzando il patrimonio immobiliare esistente e massimizzando il ciclo di vita degli edifici con progetti urbanistici mirati e nuove politiche di recupero architettonico. Il cemento e la sabbia in assoluto più sostenibili sono infatti quelli che evitiamo di utilizzare.   -- Fonte dell’immagine nel banner e nel box: Bogdanhoda/istock photo
Rock Quarry
Cement mixer machine at construction site, tools and sand

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